Sotto la scrivania il pavimento trema. Sembra scosso da un moto
dal ritmo incessante ma preciso, puntuale. Sopra la scrivania, quello
che rimane delle quattromila pagine dei Pentagon Papers è nelle mani di Ben Bagdikian, l'uomo che ha portato al Washington Post le prove di uno degli scandali politici più famosi della storia americana. Ovvero, quei "Documenti del Pentagono", studio top-secret voluto dall'allora Segretario della Difesa degli Stati Uniti Robert McNamara, che in settemila pagine in totale provavano ciò che quattro amministrazioni avevano nascosto alla popolazione americana sulla guerra del Vietnam sotto il banale titolo Storia delle decisioni U.S. in Vietnam, 1945-66. Quel tremolio provocato dal pavimento che sussurra, scosso dalle rotative al piano terra della redazione di quello che Katharine Graham "trasformò da mediocre giornale a un'istituzione americana" (NY Times), è una sensazione che chi scrive, e la generazione dei suoi coetanei, non ha mai provato. E che mai proverà. Chi la ricorda, quardando The Post non può che essere avvolto dalla nostalgia. Questa è solo una delle tante scene del nuovo film di Steven Spielberg con Meryl Streep e Tom Hanks, nelle sale italiane dall'1 febbraio, che spiega perché questo sia già uno dei migliori film sulla storia del giornalismo (che non c'è più). Ma non solo. «Molti di voi in questa sala non sono abbastanza vecchi da ricordare che nel '71 le redazioni dei grandi giornali erano composte soltanto da uomini - ha detto Meryl Streep rivolgendosi a noi giornalisti all'Hotel Four Season di Milano - Erano tutti bianchi, tutti uomini. Le donne c'erano, ma erano le segretarie».

The Post di Spielberg non è solo un film sulla storia del giornalismo (che non c'è più) perché è, anche, un film che fa riflettere sulla libertà di stampa. Ieri, ma soprattutto oggi. «È un diritto che consente ai giornalisti di essere i veri guardiani della democrazia - ha spiegato Spielberg - Questo è quello che mi è stato insegnato quando ero piccolo, e resta una verità incontrovertibile. Se pensiamo ai fatti del '71, Nixon non solo ha cercato di negare il diritto alla pubblicazione dei Pentagon Papers. C'è voluto addirittura un giudizio della Corte Suprema, in quanto la Corte d'Appello aveva di fatto impedito al NY Times di proseguire con la pubblicazione. Quello è stato veramente un atto inaudito. Era la prima volta che accadeva dalla guerra civile americana". E oggi? «Ci troviamo ancora una volta a osservare una minaccia reale alla libertà di stampa. Questo fa sì che ci sia una rilevanza assoluta e un parallelo tra i fatti raccontati nel film e il presente. Tant'è che dalla stampa americana il film ha ricevuto tantissimo sostegno e manifestazioni di supporto. Quella americana è una stampa che si trova ogni giorno a respingere gli attacchi che subisce dall'amministrazione, e che deve lottare quotidianamente contro la disinformazione. Troppo spesso vengono usate etichette facili come "fake news" quando una storia non piace al Presidente». È di poche ora fa la notizia dell'Ansa che riporta la censura del film in Libano, che ha inserito Spielberg nella "lista nera per il suo presunto sostegno alla guerra israeliana contro il movimento sciita libanese Hezbollah nel 2006".

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Ben Bradlee e Katharine Graham nella redazione del Washington Post
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Tom Hanks e Meryl Streep nei panni del direttore Ben Bradlee e dell’editrice Katharine Graham nella redazione del Washington Post

The Post di Spielberg non è solo un film sulla storia del giornalismo (che non c'è più) perché è, anche, la storia di un sodalizio unico tra editore e giornalista. «Per
la prima volta nella mia carriera mi sono trovato a ritrarre un rapporto umano così complesso come quello che è realmente esistito tra il direttore Ben Bradlee e l'editrice Katharine Graham. Ho avuto un'enorme fortuna ad avere due attori così grandiosi come Hanks e Streep, per la prima volta insieme sul grande schermo», ha raccontato
Spielberg spalleggiato da Tom Hanks. «La verità è che ogni volta che mi sono trovato sul set con Steven è sempre arrivato quel giorno in cui gli avrei detto: man, se solo Meryl fosse qui con noi in questo film!». In realtà questo trio si è già trovato riunito davanti alla stessa macchina da presa in un altro contesto: il documentario Everything Is Copy su Nora Ephron, alla quale è dedicato il film. «È la donna che ci ha fatto incontrare e
che ci ha portato a lavorare insieme. Non conoscevo bene Tom prima di allora. Lui e Nora però erano grandissimi amici, come lo eravamo io e Nora. E poi lui vive in California, e io a New York - ha precisato la Streep - È grazie a lei che abbiamo avuto l'opportunità di lavorare insieme. Praticamente ci siamo conosciuti sul set, lavorando. Nora è stata una grandissima fonte d'ispirazione per tutti noi. Sarebbe bellissimo se lei potesse potesse essere qui a commentare questo film, ma anche il momento che stiamo vivendo. Nessuno lo potrebbe fare in un modo più divertente e pungente di lei. Fondamentalmente, ciò di cui le donne sono capaci!».

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Meryl Streep nei panni di Katharine Graham in The Post
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The Post di Spielberg non è solo un film sulla storia del giornalismo (che non c'è più) perché è, anche, un film che prova che l'ostinazione e la qualità possono cambiare la storia. Il giornale deve essere quotato in borsa.
Lei, Katharine detta Kay, non ha mai partecipato a una riunione simile dal giorno in cui il marito è scomparso suicidandosi. Si trova in una sala di soli uomini, dove deve riuscire a convincere azionisti e investitori (ma anche i suoi stessi collaboratori) che gli stipendi di quei "25 giornalisti, i migliori sul campo", sono e saranno utili al successo del giornale. Davanti a tutto ciò riesce solo a farfugliare, delusa, mentre attorno a lei la
quotazione del giornale si abbassa e l'accordo viene chiuso al ribasso. Poco tempo dopo però, sarà sempre lei, la mano stretta alla cornetta del telefono e un abito da sera in seta che la avvolge, a dare il consenso, poco prima della mezzanotte, alla pubblicazione di una delle prime pagine più famose di sempre negli USA. Il resto è storia - ciclica, lo si sa - e guardando questa scena i confronti con il presente sono assai ovvi. «Questo film fa riflettere su figure incredibili come Ben Bradlee - spiega Hanka parlando del suo
personaggio. «Era un uomo estremamente competitivo. Era determinato ad avere non UNA storia, ma LA storia».

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Katharine Graham e Ben Bradlee all’uscita della redazione del Washington Post

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Tom Hanks e Meryl Streep nei panni di Katharine Graham e Ben Bradlee nell’ufficio del direttore del Washington Post

The Post di Spielberg non è solo un film sulla storia del giornalismo (che non c'è più) perché è, anche, un film su una donna che non era coraggiosa. E che poi ha trovato il coraggio.
«Al di là del messaggio politico e della difesa della libertà di stampa, ho deciso di fare questo film soprattutto per la figura di Katharine Gramah - ha presisato Spielberg - Una donna che è stata così meravigliosamente intrerpetata da Meryl Streep. Una donna che si è trovata ai vertici, sotto pressione, con una grande difficoltà nel farsi avanti, nel farsi valere, nel trovare la propria voce in un mondo governato da uomini. Sia all'interno della sua professione che nella società stessa. Poi quella voce l'ha trovata, in un momento cruciale, e ha saputo mettere tutti al proprio posto. Credo che questo sia il nucleo emotivo del film, una figura di donna che riesce a essere se stessa e
trovare la propria voce». Cosa Katharine Graham può insegnare alle donne di oggi? «La prima versione della sceneggiatura è stata acquistata da Amy Pascal sei giorni prima del risultato delle elezioni presidenziali. Tutti noi pensavamo che questo film potesse essere uno sguardo nostalgico rispetto al presente. A quanta strada le donne avevano fatto, in previsione di una presidente donna. Cosa che tutti quanti abbiamo dato per scontata. Invece, ci siamo trovati davanti a un aumento di ostilità nei confronti della libertà di stampa, di attacchi nei confronti delle donne. Qualcosa che veniva addirittura realizzato e mostrato all'apice del nostro governo. Quindi, in un certo senso, questo
film è diventato una riflessione di quanta strada non abbiamo fatto nei confronti delle donne. E forse è meglio che mi fermi qui», ha dichiarato serafica la Streep.«Questo film racconta però di molti atti di coraggio.

Il primo, quello di Daniel Ellsberg, soldato e giornalista, che aveva deciso di sfidare la legge contro lo spionaggio e di trafugare i documenti fatti poi arrivare a Neil Sheehan del NY Times, che aveva a sua volta rischiato la propria carriera, quella del suo editore
e del suo direttore, per poterli pubblicare. La conseguenza di questo atto di coraggio è stata la scoperta da parte della popolazione americana di fatti volutamente tenuti segreti e di qualcosa di tremendo. Il fatto che per ben quattro amministrazioni il governo avesse mentito al popolo americano. E che il quinto presidente, Nixon, stesse facendo di tutto per continuare a nascondere la verità e quindi sopprimere la
libertà di stampa. L'ulteriore conseguenza è l'atto di coraggio di Kay Graham, una donna che aveva la sensazione di non essere al posto giusto. Di non essere al posto che le competeva». Si può imparare a essere coraggiosi? «Katharine Graham non lo era e imparò. Il problema è che oggi non lo insegniamo abbastanza alle nostre ragazze. Dovremmo farlo di più».

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Katharine Graham nel 1976 alla prima di "Tutti gli uomini del presidente"
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Meryl Streep nei panni di Katharine "Kay" Graham