Cosa servirebbe oggi per cambiare gli stereotipi che legano ancora le parole donne e tv? Ma soprattutto, come si evolverà questo rapporto se i cliché di oggi resteranno fermi, stagnanti? Una nuova (e profonda) riflessione è appena arrivata sul palco di un teatro romano, l'Agorà, tra le parole della giovane attrice Sara Pallini nelle vesti della prostituta Enza, protagonista di Pazza d'amore: il nuovo spettacolo teatrale scritto da Dacia Maraini per la regia di Emanuele Vezzoli, pronto a ritornare a Roma con la

nuova stagione teatrale in partenza ad ottobre.

Con lei abbiamo parlato del ruolo della donna nella televisione italiana, di giornalismo e web. Ma anche di un'Italia in crisi, che «è possibile combattere solo
mettendosi in gioco costantemente e lavorando sodo affrontando la
concorrenza». E con una grande e - forse- unica arma: la cultura.

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Dacia Maraini alla presentazione del suo nuovo libro, La Grande Festa

Una prostituta, uno studio tv e il rapporto del paradosso tra spettatore e la tv: come nasce questo testo teatrale?
Il testo nasce dall'indignazione nei riguardi di una certa tv che utilizza le persone per fare spettacolo.

La ricerca spasmodica dello scoop, il rapporto tra intervistatore e intervistato, le dinamiche che muovono una tipica intervista tv. Cosa lei definisce oggi vera informazione?
L'informazione dovrebbe essere ricerca, dubbio. Un interrogarsi e discutere sui grandi problemi che ci riguardano. Mentre spesso si cade nel sensazionale e nel patetico. Si cerca di colpire allo stomaco lo spettatore anziché farlo ragionare.

Negli anni il pudore è andato via via scomparendo o è sempre stato così?
In un certo senso sì. Mano mano che si diventa padroni del mezzo si diventa anche più cinici e indifferenti. È difficile mantenere il rispetto e il pudore nella quotidianità della professione. Eppure bisognerebbe sforzarsi di farlo.

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Dacia Maraini in un’immagine tratta dal docufilm Io sono nata viaggiando dedicato alla sua vita

Quali sono per lei gli esempi di donne che oggi riescono ad andare davvero controcorrente?
La prima è Milena Gabanelli, con il suo giornalismo serio e coraggioso. Ma ce ne sono molte altre come la Sciarelli, la Annunziata e molti alitri nomi di donne che non sto qui ad elencare.

Cosa servirebbe oggi per cambiare davvero questa condizione della donna in tv?
Ho ascoltato con piacere che non si faranno più quest'anno le tre o quattro serate dedicate a Miss Italia. Una manifestazione mortificante. Così si dovrebbero cancellare o modificare quei tanti programmi in cui le donne sono usate come corpi in vendita.

Come secondo lei si evolverà questo suo ruolo in futuro?
Io sono ottimista e penso che le cose possono cambiare e debbono cambiare. Se ci saranno più donne dirigenti sarà più facile che ciò avvenga.

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Dacia Maraini con Pier Paolo Pasolini in un’immagine tratta dal docufilm Io sono nata viaggiando dedicato alla sua vita

Cosa pensa invece della nuova generazione di donne che non solo parlano di parità ma profetizzano addirittura la fine del ruolo dell'uomo?
Sono contro i fanatismi di ogni genere. La provocazione a volte è necessaria, ma non è l'odio o la voglia di distruggere che cambierà il mondo.

Ha di recente dichiarato che «la rete non cambia l'essere umano ma la velocità della comunicazione. L'importante è come la si usa, darsi delle regole è fondamentale». Qual è il suo rapporto con il web?
Lo uso come tutti, ma senza feticizzarlo. Detesto l'anonimato e gli sfoghi umorali. Qualsiasi critica, anche la più dura, la si fa mettendo il proprio nome, rispettando l'avversario, e risparmiando gli insulti.

Ha anche dichiarato che «metterci in competizione sfrenata con paesi come la Cina solo sul piano industriale non ha senso. Per uscire dalla crisi l'Europa deve puntare sulla cultura». Cosa devono cambiare i giovani oggi?
Il lavoro è cambiato. Gli strumenti sono cambiati. La globalizzazione esige competenze molto approfondite, capacità di invenzione e creatività. Il concetto del posto fisso non esiste più. Bisogna mettersi in gioco costantemente e lavorare sodo affrontando la concorrenza. Ci sono meno difese, meno reti di difesa locali, ma c'è anche più libertà. Il fatto è che noi italiani siamo poco abituati alla meritocrazia, e la globalizzazione la pretende.