Quando hai venti anni tutto è possibile, la vita non ha limiti. Magari stai facendo le cose più importanti della tua vita e non te ne rendi conto. Magari sei un artista e stai scrivendo la storia.

A me è sempre sembrata più bella una storia quando è nascosta, quando la trovi per puro caso navigando senza uno scopo con Safari e Chrome. Nascosta perché di poesia in generale non si parla molto. Di Africa magari un po’ di più, ma spesso sono notizie tragiche o colorate di pietismo occidentale.

E quindi Bernardine Evaristo nel 2013 crea alla Brunel University di Londra l’International African Poetry Prize. La giuria si aspetta che molti dei poeti che partecipano siano destinati a diventare i grandi nomi della poesia africana del futuro. Theresa Lola è una di questi poeti, la stessa ad aver vinto l’edizione 2018 del premio. Ci abbiamo scambiato quattro chiacchiere.

Per molti di noi europei l’Africa rischia di essere un continente definito in maniera molto sommaria, e non un continente con 54 stati diversi. Qual è la tua Africa?
La mia famiglia arriva dalla Nigeria, io sono nata lì e poi a 13 anni ci siamo trasferiti in Gran Bretagna. La Nigeria è vista come il paese tradizionalmente più chiassoso e sgargiante. Siamo un popolo energico, che lavora duro, fiero della propria cultura. Per molti Nigeria significa jollof rice (un piatto di riso al pomodoro tipico del West Africa ndr), in realtà c’è tanto di più da scoprire. Se dovessi definire io la Nigeria come un piatto, direi un vassoio di dolci assortiti: pieno di vita e di divertimento, a volte un po’ esagerato con il livello di zuccheri.

E invece, cosa accomuna i poeti africani oggi?
Qualsiasi poeta ha le proprie qualità speciali e specifiche. Non è corretto aspettarsi che, per il solo fatto di essere nero, un poeta sia per forza impegnato politicamente. Un tratto comune lo troverei nel grande tema della speranza, in quello dell’identità qualunque forma essa possa avere. Non per forza la mancanza di un’identità, un’identità sofferta. Anzi, spesso è più una celebrazione.

Che rilevanza ha oggi la poesia come genere letterario?
Instagram ha reso la poesia una fonte da cui attingere a velocissime dosi di terapia. I social media la hanno resa in genere più accessibile, più visibile. Ma è sempre stata una forma rilevante e al passo con i tempi. Per dire, quando ti lasci col fidanzato, quasi sicuramente finirai per andarti a cercare poesie sulle pene d’amore. Per molti sarà naturale postarle su Instagram. Guarda per esempio agli Stati Uniti: quando si accende la tensione razziale, nei momenti di crisi, quasi sempre c’è una poesia che diventa virale e che tutti condividono per esprimere i propri sentimenti.

Poesia e musica? Per la black music è un binomio con una tradizione importante. Cosa significa per te oggi?
Sì, il jazz ha sempre flirtato con la poesia: sono due modi simili di giocare con il ritmo. Rappresentano il senso della continuità per gli afroamericani e per i poeti neri in genere.

Oggi c’è una relazione stretta tra poesia e hip hop. Quest’ultimo lo vedo come il fratello casinista. Amo Kendrick Lamar! Come bilancia tecnica, sperimentazione e significato.

Personalmente amo molto l’afrobeat nigeriano: Wizkid, Davido, Simi, Niniola. Un loro concerto ti sconvolge, ti può cambiare la vita. Come cittadina inglese, vorrei citare JHus! Un rapper che ha l’anima giusta, mi fa sentire cool ogni volta che lo ascolto. Il suo album intitolato Common Sense. Un’identità musicale molto forte, è molto inclusive anche nel trattamento dei generi.

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Courtesy photo Michelle for plan-c

I media oggi sono più che mai attenti al tema del femminismo, qual è il tuo punto di vista?
Credo ci siano stati enormi progressi. Certo, il rischio è che online il femminismo diventi una questione di clic. I social media spesso riducono le donne a “donne sole e incazzate”. Che tutto si estremizzi e diventi molto superficiale. Serve più spazio per l’ascolto attento, per conversazioni che possano catalizzare il cambiamento.

L’Italia ha una lunga storia di emigrazione, e una altrettanto intensa di immigrazione. In un contesto magari diverso, hai vissuto anche tu quest’esperienza. Qual è la qualità più preziosa per un paese davanti alla questione dei migranti?
Ciascuno ha una propria storia unica, propri bisogni. Penso che culturalmente sia importante evitare di proiettare un senso di “alterità”. Puoi essere ben accetto in un paese e ugualmente sentirti colpito da un atteggiamento paternalista. Lo vedi sui giornali, quando l’opinione pubblica dice qualcosa come “Dovreste esserci grati” appena osi domandare un qualsiasi cambiamento a fianco dei cittadini di più vecchia data.

Cosa ti interessa oggi più di tutto?
A me diverte la stand up comedy: Dave Chapelle, Chris Rock e Monique. I comici sono osservatori acuti, tolgono tutti gli strati per arrivare alla base e poi rivestirla di humour. Mi sta piacendo e mi ispira sempre di più come prospettiva, quando esploro una poesia e ne riconosco le complessità.

Cosa ti spinge a scrivere, a chi parli?
Scrivo per documentare: è importante non lasciar sparire me stessa, la mia famiglia, quello che mi circonda, il passato. Serve a dare anche agli altri un riferimento per la propria storia. Scrivo anche per interrogarmi ed esplorare, a volte cose impegnative e pesanti, altre volte cose leggere. Scrivo per aprire una porta alla guarigione, qualunque forma essa possa rivestire: non puoi mai sapere chi troverà cosa nei tuoi componimenti.

A cosa stai lavorando in questo momento?
Al mio primo libro, sono tremendamente gasata di poterlo condividere con il mondo.