“Meno del 5% degli artisti della sezione di Arte Moderna sono donne, ma più dell’85% dei nudi sono femminili.” Era il 1989 quando il gruppo di artiste Guerrilla Girls, con l’opera provocatoria Do women have to be naked to get Into the Met.Musem? riempiva gli spazi pubblicitari di New York, dando vita a una bufera mediatica. Non si è ancora placata la voce della protesta (come dimostrato dal recente scandalo Weinstein o dai neonati movimenti di denuncia come #MeToo) ma, da trent’anni a questa parte, le donne sono effettivamente riuscite a varcare la soglia del museo, vestite. E soprattutto autorevoli, preparate, brillanti e propositive. Alla direzione di importanti istituzioni o nel ruolo di curatrici indipendenti, le storie di queste figure meritano di essere raccontate. E con loro, quel retrogusto di amore e lotta che caratterizza ogni conquista. Oggi parliamo di...

Non c’è dubbio, al Guggenheim quando le cose si fanno, si fanno bene. A dimostrarlo è il progetto “Guggenheim UBS MAP Global Art Initiative”, nato nel 2012 dalla collaborazione con il colosso americano UBS. Questa ricerca internazionale -la più articolata e ampia mai intrapresa dal museo- ha coinvolto artisti provenienti dal Medio Oriente, Nord Africa, America Latina, Sud e Sudest asiatico. Molte delle loro opere sono state acquisite ed esposte in otto mostre itineranti. Un progetto (ma soprattutto un successo) planetario. L’ultima tappa di questo lungo viaggio è proprio a Milano: la mostra Una Tempesta dal Paradiso: Arte Contemporanea del Medio Oriente e Nord Africa, ospitata alla Galleria d’Arte Moderna è visitabile fino al 17 giugno 2018. A curarla, non poteva esserci figura più indicata di Sara Raza, la curatrice inglese con il cuore rivolto a Oriente.

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La sua carriera parte dalla Tate Modern, quando diventa la responsabile del Public Program del museo londinese. Nel 2008, decide di intraprendere la carriera di curatrice indipendente, lavorando nel Golfo, nel Caucaso e in Asia Centrale. Un passaggio fondamentale che le permette di ricongiungersi con le proprie radici culturali persiane e orientali, lavorando in luoghi del mondo dove l’arte ha una storia e uno sviluppo ben diversi da quella occidentale. Ha curato il Central Asian Salon per la sesta Biennale di Tashkent (Uzbekistan) e la seconda mostra internazionale al Bishkek Historical Museum (Bishkek, Kyrgyzstan). Ha riscosso successo anche al Maraya Art Centre e al Sharjah Raza (Emirati Arabi) e al Alaan Artspace (Arabia Saudita).

<<La ricerca è molto importante per la mia pratica curatoriale; passo la maggior parte del mio tempo nelle librerie, o nelle biblioteche. Li considero come una seconda casa, una sorta di santuario. Questo viene dal mio background familiare, dall’apporto culturale che ho avuto fin da bambina.>> si legge sul sito del Guggenheim. Ad ispirarla da sempre, le figure storiche come i poeti persiani e filosofi islamici dell’età dell’oro, un connubio tra filosofia, cosmologia e matematica. Il rapporto con gli artisti è parte integrante del suo percorso: molti di essi, conosciuti all’inizio della carriera, non hanno smesso di influenzare le sue idee e il suo operato. Tra gli artisti a lei più vicini, l’inglese (a sua volta di origini indiane-pakistane) Shezan Dawood, gli scultori Yerbossyn Meldibekov e Reza Aramesh e il performer Wafaa Bilal.

<<Ero profondamente eccitata quando ho saputo di essere stata nominata curatrice per il Medioriente e il Nord Africa all’interno del Guggenheim UBS MAP. Sentivo che era proprio l’incarico per il quale mi stavo preparando sin dall’inizio della mia carriera curatoriale.>> ci racconta <<Avere legami con artisti provenienti da zone così diverse tra loro è stato un punto di forza, che mi ha permesso di valutare il mio lavoro da molteplici prospettive.>> Portare all’interno di un museo occidentale opere di simile provenienza, comporta un arricchimento incomparabile, una visione che valica totalmente i confini dell’arte europea e americana come siamo abituati a vederla.

L’ultimo impegno di Sara Raza è il libro che sta scrivendo, dal titolo Punk Orientalism: Central Asia’s Contemporary Art Revolution. <<Sono molto affascinata dalle vicende artistiche che sono emerse tra le popolazioni dell’Asia Centrale e del Caucaso. Attraverso le mie ricerche spero di aprire e incoraggiare un ampio dialogo sull’arte contemporanea che fin ora è stato relegato dietro una cortina di ferro.>> Non a caso “punk” è il concetto chiave: una parola nata in Inghilterra da un bisogno di ribellione, lo stesso che, trent’anni più tardi, anima lo spirito di resistenza con cui questi popoli combattono le proprie battaglie e creano fratture con la società. Gli artisti hanno un ruolo centrale in tutto questo e l’operato di Sara è la voce della loro lotta.