C'è il titolo di una loro canzone che traduce in brasileiro una intera filosofia di vita. Bem devagar, molto lentamente. Ma non senza uno sguardo cristallino, un po' fatalista e molto tranquillo sul mondo. Ramiro Levy, voce e chitarra dei Selton, riesce a evocare un universo che sembra un paradiso accessibile attraverso una telefonata da dopopranzo, con il caffè che fuma e la voce ritmata sulla cadenza morbida del Rio Grande Do Sul. Erre che rotolano e qualche ci e gi che scivola tra le pieghe di un italiano morbidissimo. Tra un accenno musicale (il loro ultimo lavoro in studio si intitola Manifesto Tropicale, il loro album più "serio") e una disquisizione profonda sulla difficoltà di spiegare cosa sia la saudade, abbiamo curiosato in casa Selton per scoprire che il concetto di chillax è per loro molto semplice. La potenza rilassata dell'oceano al tramonto, l'aria che si riempie del profumo di lime e... un posto speciale dove rilassarsi.

Come va? So che siete appena rientrati da Barcellona...

Esatto, sono appena tornato, sono andato per il Primavera Sound!

Sei andato da turista?

A questo giro sì, sono andato così, a vedere. Ci dà sempre un sacco di input belli, quando riusciamo ci andiamo.

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Cosa ti è piaciuto quest'anno? Tanti concerti sono stati apprezzati, altri meno.. Ne avete parlato sui social ma saperlo dalla tua viva voce è un'altra cosa.

Concerti che mi hanno sorpreso... Father John Misty, per esempio. Ero già un grande fan ma ero curioso di vederlo dal vivo ed è stato bravissimo, super. Poi anche Lorde mi ha sorpreso in positivo. Non me la aspettavo così comunicativa, pensavo fosse un po' più sulle sue. Invece wow, comunicava un sacco con il pubblico, parlava, supersciolta... È stato proprio un bel live! Vince Staples ha spaccato tutto. Gli Arctic Monkeys anche... Tante belle cose comunque!

Voi quest'anno festeggiate 10 anni di attività discografica, dalla fondazione, chiamiamola così. State preparando qualcosa? Una canzone nuova, o un progetto speciale?

A dire il vero no (ride), non ci stiamo pensando! Anche perché il primo progetto discografico che abbiamo fatto, Banana à milanesa, non era un disco nostro ma un album con versioni di pezzi di Jannacci... Non lo sentiamo così "primo disco". È stato un po' da Saudade uscito nel 2013 che abbiamo iniziato veramente a scrivere dischi con contenuti e concetti forti dietro, quindi tutto quello che c'è stato prima è stato un po' un riscaldamento. Saudade, Loreto Paradiso e Manifesto Tropicale sono i dischi che veramente sentiamo nostri. La nostra storia artistica e autorale comincia da qui.

Anche la differenza tra Loreto e Manifesto è veramente grande. Quando ho sentito il disco ho pensato "Sì, sono loro...ma come sono più saudade, ancora più brasiliani".

Può essere, sì! È il paradosso per cui più passa il tempo e stiamo lontani dal Brasile, più brasiliani diventiamo, non so come dire. Credo sia una crescita anche molto naturale. Da Saudade in avanti è partita una ricerca a livello di identità e a livello artistico che continua ad andare avanti, vediamo veramente ogni disco come un passo più in là alla scoperta della nostra vera essenza.

Se dovessi definire la saudade, come la definiresti tu? Lo so, ti ho fatto una domanda filosofica...

Eeeh (sorride). La saudade è molto difficile da definire. È vero che è una parola che esiste solo in portoghese, ma il sentimento in realtà è universale. Spesso la saudade viene associata alla malinconia, ma non è vero. La differenza tra saudade e malinconia è che la saudade può essere anche bella, positiva. C'è un pezzo brasiliano che si chiama Qui Nem Giló, scritto negli anni 50 (che abbiamo registrato anche nel nostro disco Saudade), dove il concetto di saudade viene finalmente "svelato". In questo pezzo l'autore parla di due tipi diversi di saudade: quella cattiva, di quando hai perso qualcuno o qualcosa, la saudade che ti può ammazzare. Invece la saudade positiva è quella che ti fa ricordare con un sorriso di qualcosa che è passato, quasi un combustibile che ti porta avanti e non una cosa che ti fa soffrire. La saudade è complessa, è difficile da definire per questo!

Può essere anche musicale, può essere un quadro, un tramonto ad esempio..

Sì, anche!

Il 7 giugno suonerete alla Terrazza di Via Palestro per Sanset di Sanbitter, un evento dove si celebra il relax. Ma un musicista che a fine giornata inizia veramente a lavorare perché ha un concerto, come si rilassa?

Diciamo che un aperitivo al tramonto è sempre un bel modo... (ride) Poi io sono anche un grande fan dell'amaca, ce l'abbiamo anche a casa Selton! Anche leggere un bel libro sull'amaca è un bel modo per rilassarsi.

Amaca in mezzo agli alberi, che parola magica...

Eh l'amaca è tanta roba, spesso viene sottovalutata! Ha dei poteri speciali.

Voi siete sempre divisi tra Milano e il Brasile, siete un gruppo un po' apolide, che prende ispirazione da tante cose. Ma non vi manca mai il Brasile in modo esagerato, da dire "Basta mollo tutto e torno lì?"

Mmmmh... Ovviamente sì, ci manca perché abbiamo amici e famiglie che sono lì. Però una volta che parti da casa e inizi a costruire qualcosa in un altro posto, il concetto di casa viene un po' ribaltato. Quando torniamo lì ci sentiamo a casa, ma dall'altra parte non è più casa nostra. La casa che abbiamo costruito è qua. C'è sempre questa dicotomia che quando andiamo lì, dopo un tot ci manca tornare di qua, dove sono le nostre vite. Non mi ricordo chi era l'autore che aveva scritto che un albero, una volta trapiantato, non può più tornare al suo posto. Ed è un po' questo, c'è questa eterna saudade che ci accompagnerà sempre (ride). Tornare in Brasile comunque non è una cosa a cui pensiamo. Ci piace andare a trovare la famiglia e gli amici, o andarci a suonare. Solo questo.

E con Ramiro dei Selton ci si saluta sognando un cocktail fresco con uno spicchietto di limone e il dondolio lento di un'amaca nel tramonto del giorno. Saudade sì. Ma positiva.