È morto il grande fotografo sudafricano, David Goldblatt. L'uomo che meglio di chiunque altro ha saputo raccontare gli anni dell'Apartheid. "Baasskap", dominazione bianca, come lo chiamava lui stesso.

Aveva 87 anni, aveva il volto docile ma aveva vissuto gran parte della sua esistenza nel dolore e nell'ingiustizia, raccontati attraverso scatti rigorosamente in bianco e nero. Perché «alcune cose - diceva - sono troppo dure e difficili per poterle fotografare a colori».

Era nato nella cittadina mineraria di Randfontein, ed era il più piccolo di tre fratelli di una famiglia di origine lituana. Laureato in commercio all’Università dello Witwatersrand (WITS) di Johannesburg, ha iniziato a fotografare fin dal 1948, dopo essersi innamorato dei magnifici reportage pubblicati su magazine come LIFE e Picture Post.

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David Goldblatt
La rimozione della statua di Cecil John Rhodes

Per oltre mezzo secolo ha ritratto le infinite contraddizioni della società sudafricana che, nonostante le promesse di una Rainbow Nation, resta ancora oggi fortemente segnata da una pesante disgregazione sociale.

Dalle baraccopoli di Johannesburg ai quartieri residenziali di Cape Town, dalle strade isolate ai parchi immensi: immagini asciutte, ispirate alla quotidianità. Mai crude, eppure scomode. «Perché - come raccontava lo stesso David - anche dove sembrava non accadesse nulla in qualche modo i miei lavori ribadivano le differenze. E irritavano l'establishment».

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David Goldblatt
Prostitute, Joannesburg

Goldblatt è stato il primo artista sudafricano a esporre con una personale al MoMA di New York (era il 1998). Ha partecipato a Documenta a Kassel e a mostre nei più importanti musei internazionali. Nel 2006 ha vinto l’Hasselblad Award e nel 2009 l’Henri Cartier Bresson Award. Dal 19 ottobre al 3 marzo, il Museum of Contemporary Art di Sydney gli dedicherà una maxi-retrospettiva che ha il retrogusto del tributo: Photographs 1948-2018, summa della sua poetica artistica. Ci mancherà, ma mancherà soprattutto al suo amatissimo Sudafrica.