Si chiama Francesca Gavin, ma non lasciatevi ingannare dal nome: nonostante le sue radici italiane è londinese DOC. Scrittrice-giornalista prima ancora che curatrice, ha un passato da dj e al momento sta conducendo un programma radiofonico di talk. È anche una ballerina wannabe (divertenti e sexy, tutte le coreografie ballate all’interno delle “dance-classes” che posta sul suo profilo Instagram). Insomma, Francesca Gavin è un fresco bouquet di esperienze e passioni, e tutte si riconducono all’arte e al suo entusiasmo per la vita. L’essere freelance da sempre è la conditio-sine-qua-non che ben si sposa con il suo pensiero libero. Francesca è la curatrice della nuova generazione, una rappresentante della “vita liquida” che si confronta con gli artisti più innovativi e i problemi più urgenti che premono sulla società di oggi.

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È partita con una “gavetta” alla redazione di Dazed come assistente e oggi scrive per tutte le più importanti testate: Twin, Sleek and AnOther, Good Trouble, Vogue, Kaleidoscope, The Guardian, Financial Times e altri ancora. Nonostante la brillante scalata, non ha di certo perso la semplicità e la carica che l’hanno contraddistinta fin dagli esordi. Come racconta in un’intervista a G-irl: “Al tempo Dazed era un piccolo giornale e quando ero lì spazzavo i pavimenti, portavo i caffè e facevo le fotocopie. Lo adoravo.” E, parlando di oggi: “Non penso a me stessa come critica. Ho scritto delle recensioni di mostre ma è una cosa che in realtà non mi piace fare. Penso a me stessa come entusiasta. Voglio essere entusiasta di qualcosa.”

Si definisce una “curatrice giornalistica” per il suo lavoro nel settore editoriale poi sfociato nell’organizzazione di mostre. Scrivere un libro e organizzare una raccolta di opere sono due attività molto simili, che consistono nel mettere insieme idee e cose, “uno è stampato e l’altro è 3D”, ci spiega.

Di libri fin ora ne ha scritti sei. L’ultimo uscito si chiama “Watch This Space”, un saggio in cui analizza lo schermo (del computer, della tv, del cellulare) e come esso sia entrato radicalmente nella vita di tutti i giorni, influenzandone comportamenti, abitudini, modi di pensare e relazionarsi con gli altri. È l’esito di un percorso continuativo iniziato nelle sue mostre, incentrate sul rapporto dell’uomo con la tecnologia. “Come mi fa sentire lo schermo nei confronti del mio corpo?” “Come influisce sulla mia percezione del mondo?” “Come può cambiare il mio modo di guardare le opere d’arte, di comprenderne significato?”: queste sono le domande a cui la curatrice e i suoi artisti tentano di dare risposta con il loro lavoro. Come hanno fatto in The Dark Cube, svoltasi al Palais de Tokyo di Parigi e in E-Vapor-8, alla Site Gallery di New York.

Un passo fondamentale per la sua carriera è stata la co-curatela dell’esposizione di Manifesta 11, la biennale svoltasi a Zurigo nel 2016. Ambientata in quattro sedi differenti, erano raccolte 250 opere per un totale di 100 artisti, tutte illustrazioni di scene di lavoro. Un’operazione certosina e interminabile, che non ha di certo preso in contropiede l’eclettica curatrice, che ci racconta: “Sono stata alla supervisione della collezione della Soho House di Londra per sette anni, radunando oltre 3000 lavori da tutto il mondo per un valore di circa 6 milioni di sterline. Penso di aver appeso più opere io nelle mostre collettive che nessun altro al mondo!”

Oggi il suo operato si è spostato sulle frequenze radio, grazie a Rough Version, il programma radiofonico che conduce su NTS.live, in cui conversa con artisti di alto livello riguardo alla connessione tra arte e musica. Il suo rapporto con la tecnologia l’ha anche condotta a 4:3, la piattaforma digitale in cui cura mostre online, l’ultima frontiera della pratica espositiva-. Francesca ama il crossover, camminare sul ciglio di mondi diversi, come fossero vasi comunicanti che confluiscono nel grande vaso dell'arte. Con il suo lavoro non smette di mettersi in gioco di fronte a nuove sfide, di mescolare le carte in tavola. Quelli che segue, sono artisti che viaggiano sulla sua stessa lunghezza d’onda: nutre un profondo rispetto per chi non essendo inserito nello star-system dell’arte, lavora per pagarsi l’affitto e mantenere le proprie passioni.

La vita di Francesca Gavin è concitata e frenetica, ma lei sconfigge lo stress premiandosi con piccoli regali. Come andare a comprarsi una gran quantità di riviste, o bere un caffè facendo le parole crociate sul tavolino; talvolta resta semplicemente a sedere senza fare nulla, mentre dalla vetrina della caffetteria guarda la città scorrere davanti ai suoi occhi. Sì, perché quello con Londra è come un rapporto di sorellanza: Francesca ama le sue strade e i suoi parchi, i quartieri di Soho e Mayfair, il modo in cui i musei londinesi continuano ad emozionarla, “l’open-mind” e la multiculturalità. Il suo lavoro è un tutt’uno con la sua vita, e quando le chiediamo qual è il suo sogno nel cassetto ce ne dà conferma: “Sono sempre stata davvero indipendente, a costo di non ricoprire cariche istituzionali. Tuttavia, sarebbe fantastico avere un mio spazio in cui sperimentare e dar vita a mostre di tutti i tipi.