C’è un momento magico nel panorama culturale londinese, in cui tutti i riflettori del mondo artistico sono puntati su un unico palco, quello di Frieze Art Fair. Per cinque giorni la fiera d’arte, leader indiscussa del regno UK, ha riscosso un successo sorprendente anche nella sua sedicesima edizione. Tra i numerosissimi visitatori che ne hanno affollato le sale, sono state avvistate anche alcune celebrities, una su tutte Claudia Schiffer, che radiosa ha solcato il suolo di Regent’s Park durante il primo giorno di preview. Sono state poi avvistate l’attrice Rose McGowan, che è stata parte in causa all’interno delle ultime vicende #MeToo, oltre all’eccentrica nutrizionista delle star Belinda Scriven in compagnia del fashion designer e collezionista Raimund Berthold. Non sono mancati ovviamente i grandi nomi del sistema artistico, a partire dalla leggenda della curatela Hans Urlich Obrist, passando dalla direttrice della Tate di Londra Maria Balshaw e infine l’affermatissimo artista inglese Marc Quinn. Una piattaforma costituita d’altronde non solo da affari, ma anche da iniziative culturali coraggiose e stimolanti: impossibile non citare i progetti Live e Social Works, dedicati rispettivamente al mondo della performance e all’arte femminile.

Ma quali sono state le opere più irriverenti di Frieze 2018? Ecco qui la nostra top five:

1. Elmgreen & Dragset, Anger Management

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In tempi di Brexit ogni provocazione è poesia. Il lavoro artistico del duo scandinavo, già conosciuto in Italia per aver inserito una macchina e una roulotte che sembravano essersi appena schiantate sul pavimento della galleria Vittorio Emanuele di Milano, è presentato a Frieze dalla galleria Victoria Mirò. L’idea alla base dell’opera Anger Management, ovvero “gestione della rabbia”, è molto semplice: un classico sacco da boxe che porta al centro la bandiera EU. Non vi sembra già abbastanza intuitivo? I due artisti, dal loro studio di Berlino città europeista per antonomasia, hanno decretato che ci sarebbe voluta una rappresentazione concreta per la bufera mediatica che spesso accompagna le mosse del parlamento europeo. Modalità d’impiego dell’opera? (Forse) nelle migliori palestre di Bruxelles?

2. David Shringley @ Stephen Friedman Gallery

L’artista, alto 197 cm (come tiene a precisare nell’intro del suo sito web davidshrigley.com), è stato rappresentato dalla Stephen Friedman Gallery e ha allestito uno spazio che assomiglia più a uno store di tendenza che a uno stand fieristico. Su due vetrine sono stati disposti infatti dei segnali luminosi al neon, che esprimono tutta la causticità dell’animo di questo artista: le parole “responsibilities” e “distractions” si ripetono ossessivamente, mentre dall’altro lato si staglia la scritta “my art work is terrible and I am a very bad person”. Sì, perché “ogni artista concettuale deve fare almeno un’opera al neon nella vita”, ironizza Shrigley. Accanto ad alcuni video animati, l’artista istituisce una sorta di Newspaper dalla copertina che cambia ogni giorno, che riporta titoli eloquenti come quello riferito all’opening della fiera: “Persone si riuniscono sotto un grosso tendone”. L’anti-apologia della figura dell’artista diventa la firma di Shringley, e la sua ostentazione della banalità il motivo che ci porta ad amarlo.

3. Urs Fisher, Francesco

Varcando la soglia della fiera londinese si viene accolti da una scultura maestosa quanto intimidatoria, presentata dalla galleria Sadie Coles HQ: niente meno che il ritratto del celebre curatore italiano Francesco Bonami (anche direttore della Biennale di Venezia del 2003). Posta su un piedistallo a svariati metri di altezza, la scultura raffigura il critico intento a controllare il proprio smartphone, una posa piuttosto casual se non fosse per le grandi dimensioni in cui è immortalato. Un artistico Hulk ma in cera rossa anziché verde che, come una comune candela, è possibile accendere e vedere consumarsi lentamente. Un monito alle abitudini phone-addicted della società occidentale, o un semplice inno alla quotidianità, anche quella dei critici più acclamati? Qualsiasi fossero gli intenti di partenza dell’artista, il potenziale acquirente (colui che avrà “il cuore” e le tasche per accaparrarsela alla cifra di 733 mila sterline) deciderà se accendere o meno la miccia.

4. Julia Scher, Guards, Hidden Camera

Più che un’opera, quella di Julia Scher costituisce un progetto interattivo che coniuga l’installazione e la performance. Durante i giorni di Frieze infatti, non raramente si poteva incappare nelle ronde composte da coppie di sorveglianti che non passavano di certo inosservate: erano parte dello staff di “Security by Julia”, un team multietnico di donne di mezza età che, vestito di una divisa total pink, passeggiava tra gli stand delle gallerie scrutando tutti dall’alto al basso. Al centro della sezione Focus invece, delle telecamere di sorveglianza erano poste al centro di alcune panchine, registrando i movimenti dei visitatori e proiettandoli su piccoli schermi a poca distanza. Così l’artista porta al centro del dibattito questioni del tutto attuali, come l’invisibilità delle donne non più giovani contrapposto all’iper-visibilità dei sistemi di sorveglianza nella nostra società. Un’analisi dei meccanismi di controllo unita a una decisa critica femminista.

5. Camille Henrot, Bad Dad and Beyond, Enough is Enough, Ded Moroz, Guilt Tripping, Dawg Shaming

Cosa fa una serie di telefoni dalle forme estrose attaccata alle pareti della fiera londinese? A differenza di quadri e sculture sì, si possono utilizzare. Si può accostare la cornetta all’orecchio interagendo -o almeno provandoci- con le richieste a dir poco assurde delle voci registrate. “Premi 1 se ti vuoi lamentare del tuo corpo. Premi annulla se ti vuoi lamentare del tuo vicino.” “Premi 5 se il tuo cane ti manipola con bugie, contraddizioni o promesse.” Neanche a dirlo, i tasti non funzionano. Tutto qui è fittizio, a parte quella sensazione crescente di frustrazione misto ad irritazione che tutti noi, svariate volte nella vita, abbiamo provato nei confronti all’assistenza telefonica. È l’opera fin ora più provocatoria dell’artista Camille Henrot, che inserisce nel contesto artistico una situazione a noi familiare ma portata all’estremo surreale.