Quando si parla d'Africa sembriamo avere tutti la memoria corta, ma la sua diaspora che vive in tutto il mondo da generazioni, usa la memoria in modo resiliente, per difendere la sua identità millenaria, rinnovarne il retaggio culturale alla luce della globalizzazione e promuovere lo sviluppo di un continente saccheggiato degli interessi internazionali. Utile a comprendere il passato, quanto a guardare al futuro in un contesto interculturale, la memoria nutre anche lo sguardo sull’Africa del MAXXI -Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo di Roma, con due progetti espositivi dedicati a questo continente in continuo movimento. Road to justice (fino al 14 ottobre) e African Metropolis. Una città immaginaria (fino al 4 novembre 2018).
Mettendo a frutto la capacità eversiva e rigenerativa della memoria, i due progetti paralleli offrono importanti occasioni d'incontro e dialogo con le comunità africane presenti a Roma, per spingersi oltre stereotipi e idealizzazioni nostalgiche. Un viaggio di scoperta che attraversa il tempo e lo spazio con la vitale scena artistica africana, puntata sulla complessità del continente africano e delle sue metropoli contemporanee, insieme a un ricco calendario d'incontri con artisti, architetti, scrittori, cinema, danza, musica live e una sfilata benefica con abiti da sposa dall’Africa.
Sono le complessità che lasciano ferite profonde e i possibili scenari futuri, a guidare il progetto sperimentale che integra opere della collezione del museo di Roma con quelle scelte per la mostra road to justice, a cura di Anne Palopoli nella Galleria 5 del MAXXI. Sono video, dipinti, fotografie e installazioni, dedicate a colonialismo, memoria e identità, ad attraversare passato, presente e futuro, nelle undici opere di nove diversi artisti.
Al passato di schiavitù, segregazione, stereotipi etnici e brame del capitalismo, sono dedicate le ombre dipinte da Marlene Dumas sul volto di Black Jesus Man (1994) e la visionaria Peripeteia (in greco: περιπέτεια; un'inversione di circostanze, o punto di svolta) di John Akomfrah (2012). Un sogno a occhi aperti pronto a dare movimento alla vita di un uomo e una donna di colore, ritratti in un disegno del maestro del Rinascimento tedesco Albrecht Dürer.
L’apartheid, i movimenti di liberazione, il tema della migrazione e il recupero da traumi di cui siamo tutti testimoni ancora oggi, sono protagonisti dell'approccio irriverente e di denuncia di T.W. Batons (Circle) (1994) di Kendell Geerse e delle mappe rielaborate da Moshekwa Langa. Il periodo rivoluzionario di Algeri e la speculazione storica dei soggetti invisibili, entra anche nella stanza d'albergo della delegazione del Black Panther Party con Foreign Office (2015), di Bouchra Khalili. In modo analogo, resta ancorata al presente la denuncia dello stato di abbandono sociale e sradicamento culturale, delle immagini intime e introspettive del video 4160 (2014) di Malik Nejmi, come della selezione di fotografie di Michael Tsegaye, giunto a Roma anche con un'altra mostra interessante.
Il futuro si palesa con la visione apocalittica del pianeta nel video The End of eating Everything (2013), di Wangechi Mutualla, insieme all’esaltazione del perdono come forza liberatrice nell’opera It’s a Pleasure to MeetYou (2016) di Sue Williamson, analogo a quello che Nelson Mandela auspicava come principale risposta ai crimini dell’apartheid.
La grande mostra African Metropolis a cura di Simon Njami con Elena Motisi, con oltre cento opere di trentaquattro artisti, allarga il viaggio, puntando lo sguardo sulla bellezza e la complessità della metropoli contemporanea. Un viaggio in una città che non esiste per raccontare, attraverso l’intensità e la ricchezza dell’arte africana, l’identità composita, eterogenea, stratificata della metropoli contemporanea.
Vagando, Appartenendo, Riconoscendo, Immaginando e Ricostruendo, le diverse azioni/sezioni in mostra, intraprendono un viaggio nella città immaginaria, innescando un balletto con lo sguardo, al ritmo con fotografia, installazioni, sculture, tessuti e video delle opere allestite come elementi di uno skyline cittadino. Complesso e stratificato. Lavori intimi, alternati a diverse opere monumentali e rielaborazioni site-specific, consentono di esplorare lo spazio fisico e quello mentale della metropoli e di chi la guarda. Della metropoli creata da chi la abita.
Il colore delle prospettive intime che abbracciano i corpi e la vulnerabilità maschile, con l'obiettivo della giovane fotografa kenianaa di stanza a Nairobi Mimi Cherono Ng'ok (in mostra a Photo London 2018), si arricchisce della sinfonia cromatica, di simboli e tessuti delle opere dell'artista di Bamako Abdoulaye Konaté.
II Cianotipi del Cidade em movimento di Delio Jasse offrono un vivace ritratto della sua Luanda, l'inquieta capitale dell’Angola in equilibrio tra realtà e memoria, architetture contemporanee ed edifici abbandonati in cui persistono le tracce del passato coloniale. Le immagini della sua Luanda ricordata e ritrovata, sono un esercizio di memoria, in sintonia con l'alternarsi di immagini e immaginari che raccontano le città di tutto il mondo. Ne emerge il ritratto della città nella quale ci sentiamo un po' tutti stranieri, con la prospettiva che consente di vivere insieme in uno spazio scandito da differenze insuperabili.
La fotografia ironicamente provocatoria che apre questa segnalazione, è scattata dall'angolano Kiluanji Kia Henda all'interno dell'Istituto di Scienze, Lettere e Arti del Veneto, fondato nel 1802 da Napoleone. Ritrae un musicista Senegalese come un venditore di borse contraffatte, abbigliato con l'opulenza del mercante di Venezia (2010), come i soggetti di colore che compaiono nella Cena in Emmaus dipinta da Caravaggio, parte di una vasta indagine fotografica sui mori nella storia di Venezia.
Promuovendo la connessione fra temi, idee, persone ed eventi, lo sguardo sul complesso e articolato continente africano del MAXXI, offre nuove interpretazioni, connessioni e prospettive non solo sull'Africa ma sul contemporaneo.