Una notte del 1996, Diana Markosian, che aveva allora 7 anni, e suo fratello David, di 11, sono svegliati dalla mamma Svetlana per prepararsi a compiere un viaggio di cui non conoscono la destinazione: il giorno dopo da Mosca, la loro città natale, si ritrovano all’aeroporto di Los Angeles dove li attende un signore anziano con in mano un bouquet di rose. Né Diana, né suo fratello hanno la più pallida idea di chi sia quest’uomo di nome Eli: presentato come un amico di famiglia in grado di aiutarli, li avrebbe portati a vivere nella sua villa a Santa Barbara, in seguito avrebbe sposato la mamma e si sarebbe sentito chiamare papà per i successivi nove anni di relazione con Svetlana. Il loro vero padre sarebbe rimasto in patria senza avere loro notizie per i successivi 15 anni, fino a quando Diana non sarebbe tornata a cercarlo e l’avrebbe poi trovato in Armenia, loro paese di origine. Una storia famigliare che si percepisce densissima già da queste poche righe, a cui si aggiunge una scoperta che scombussola profondamente il come e il perché del loro drastico cambio di vita. È solo cinque anni fa che la mamma di Diana, oggi 32enne, decide di confessarle come siano andate veramente le cose: Eli era in realtà un perfetto sconosciuto che aveva risposto all’annuncio pubblicato da sua madre su un catalogo di mogli per corrispondenza che recitava così: “Sono una donna di 35 anni, voglio venire in America e incontrare un uomo gentile che mi mostri il Paese”. Svetlana non era mai stata in America, ma l’atmosfera della California le era in qualche modo familiare e desiderabile.


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Da Santa Barbara (Aperture 2020) Diana Markosian
L’arrivo / Quando Svetlana approda con i figli Diane e David in California, le sembra di essere arrivata in un deserto che la fa sentire isolata.

In una Russia prostrata dalla povertà in seguito al crollo dell’Unione Sovietica, uno dei pochi momenti di evasione dalla realtà era guardare tutte le sere la soap opera Santa Barbara, la prima serie americana trasmessa nei Paesi dell’Est dal gennaio 1992: era come entrare in un altro mondo, altamente seducente e mai visto prima, fatto di glamour e sole dorato, che sembrava esistesse solo là. La verità conosciuta per 20 anni dell’approdo sicuro oltreoceano grazie a un amico di famiglia si ribalta e sparpaglia un vaso di Pandora che apre tanti fronti: una donna disillusa e tradita dal suo paese e dal marito -padre dei suoi figli- che l’abbandona, l’improvvisa miseria che si trova ad affrontare, il desiderio di cambiare vita innescato da una fiction, un sogno americano che può diventare realtà solo tramite un matrimonio per corrispondenza e un taglio netto con la propria patria e per i figli una separazione totale dal padre. Una storia di migrazione dolorosa e intrepida, e anche amara, a partire dal fatto che Eli, il pensionato appesantito e ultrasessantenne venuto a prenderli all’aeroporto, non assomigliava per niente all’uomo piacente visto e scelto come marito solo in foto. E proprio nel contesto e nelle leggi narrative di una fiction, la confessione della madre verrebbe definita un colpo di scena spettacolare, un potente snodo narrativo. Ma nella vita reale è un evento traumatico che può intrappolare nel dolore, nella rabbia e nel sentirsi traditi, oppure -pur sentendo le stesse emozioni- si può provare a capire cos’è successo davvero.

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Da Santa Barbara (Aperture 2020) Diana Markosian
I miei genitori insieme / Svetlana e il marito Arsen con Diana, quando vivevano a Mosca.
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Da Santa Barbara (Aperture 2020) Diana Markosian
Il matrimonio / Svetlana sposa Eli, l’uomo conosciuto tramite un annuncio e per cui è andata a Santa Barbara.

Diana Markosian ha scelto di indagare con gli strumenti che le appartengono -quelli di fotografa affermata, filmaker e scrittrice - e ha trasformato il suo vissuto in una storia autobiografica sorprendente. Ha creato una macchina del tempo per rivivere le vicende della sua famiglia dal 1996 al 2005 mettendole letteralmente in scena. Per quasi un anno e mezzo ha cercato attori che potessero interpretare -sia per somiglianza fisica che per profonda comprensione di cuore- sua madre, Eli, lei stessa, suo fratello e il padre. Con questo cast ha ideato e diretto la puntata # 2138 della serie Santa Barbara ispirata alla sua vita, scritta in collaborazione con uno degli autori originali della serie, Lynda Myles. Il progetto complessivo non poteva che chiamarsi Santa Barbara e comprende un cortometraggio di 13 minuti e un libro dal titolo omonimo (la sua prima monografia) edito da Aperture, che raccoglie la sceneggiatura della puntata e molte immagini inscenate per fissare i capitoli emblematici della sua famiglia, intervallate da qualche foto originale, che mostrano la continuità tra realtà e fiction. Sarà anche in mostra al SFMoma di San Francisco quest’estate e all’ICP di New York in autunno assieme alle puntate originali della serie e ai video con lo svolgimento del casting.

Come sei passata dalla rabbia per la verità rivelata dopo 20 anni alla scelta di fare un progetto artistico sulla storia della tua famiglia?
È stato un processo complesso. Capire, accettare, creare non è accaduto in una maniera lineare, ma lentamente, con il tempo. Tutte le volte in cui ho sentito di aver accettato quello che era successo, sono anche stata rimbalzata indietro nel provare rabbia. Più dettagli trovavo, più la storia diventava dolorosa. È difficile accogliere un pezzo di verità che non corrisponde a quello che hai creduto per così tanto tempo.

Perché proprio una puntata di Santa Barbara?
Dopo aver compreso il quadro completo della vicenda, ho capito che dovevo farne un film e una sceneggiatura e ho cercato di avvicinarmi il più possibile alla soap opera originale perché la storia della mia famiglia assomiglia a una soap opera.

Pur essendo fotografa, Markosian non ha mai scelto di limitarsi solo all’ambito fotografico. È sempre stata pioniera nel creare nuovi mezzi espressivi per trasmettere la visione d’insieme a seconda della storia che raccontava, come in 1915, il suo lavoro sul genocidio degli Armeni, e in Inventing My Father e Mornings (With You), sulla relazione riallacciata con il padre.

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Da Santa Barbara (Aperture 2020) Diana Markosian
La casa di Eli / In questa villa, Svetlana va a vivere con il nuovo marito e i due figli.
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Da Santa Barbara (Aperture 2020) Diana Markosian
Mamma in piscina / Svetlana in un momento di solitudine nel giardino della loro casa.

Perché la storia è raccontata dal punto di vista di tua madre e non dal tuo?
La scelta più facile sarebbe stata quella di raccontare la mia versione della storia, ma non era ciò che mi interessava. Quello che mi ha ispirato a fare questo lavoro è l’idea di mettermi nei panni di mia madre, di rivivere la sua realtà di donna. Avevo bisogno di comprendere le sue decisioni per amarla davvero e accettarla come figlia.

Come ha reagito tua madre?
Non avrei potuto fare questo progetto senza di lei, senza il suo aiuto. Sin da subito mi ha chiesto: "in che modo ti posso essere utile, che cosa hai bisogno da me?" e dall’inizio è stata consapevole di quanto sarebbe stato doloroso per noi tutti riaprire il passato e i suoi traumi. È stato così duro viverli, ma riviverli è stato un atto di scelta e una volta aperta una porta, non si può più tornare indietro.

L’esperienza è stata rivissuta collettivamente, ma è stata anche prodotta grazie a una modalità partecipativa, perché i membri della famiglia hanno contribuito attivamente alla sceneggiatura. Lo script procedeva confrontando i feedback dei diversi componenti che ricordavano particolari diversi delle stesse vicende o in alcuni casi non ricordavano affatto. Markosian ha potuto realizzare e dirigere le varie scene solo chiedendo prima a sua mamma di darle tutte le informazioni possibili, per cui si può dire che abbia davvero avuto modo di scoprire e conoscere sua madre tramite lo svolgimento di questo progetto e non come punto di partenza iniziale.

Come hai scelto l’attrice che l’ha interpretata?
Sapevo esattamente cosa avevo in mente, ma non lo trovavo, era come cercare l’unicorno perfetto che non si riesce a catturare: ho fatto casting a 380 aspiranti attrici. Ci ho messo un anno e qualche mese e mi sono dovuta spingere fuori da Hollywood, in Armenia, Georgia e Russia, in un terreno di provenienza e di lingua simile a quello di mia madre e alla fine ho scelto un’attrice georgiana, Ana Imnadze. Nel momento in cui l’ho vista, l’ho riconosciuta, ho capito immediatamente che poteva essere lei. Volevo attori che potessero credere nella storia di Svetlana e fidarsi del tutto di me come regista, stavamo ricreando esperienze realmente accadute. Avevo bisogno di qualcuno che non solo comprendesse la storia, ma si calasse davvero nei panni di Svetlana, anche in senso letterale perché Ana ha indossato il suo guardaroba originale. La parte più importante del progetto è stato il casting. Ho anche pensato di interpretare io stessa mia madre e di far interpretare nostro padre a mio fratello, ma ho capito che non poteva funzionare perché non sono una mamma e inoltre mi sono sentita troppo coinvolta per poter offrire la stessa sensibilità di un’attrice.

Ana si è immedesimata così profondamente durante le riprese da suggerire in alcuni casi come la vera Svetlana si sarebbe comportata. E, terminato il film, è ad Ana che Markosian affida il compito di intervistare sua madre nell’epilogo del libro. Tra le varie domande, le chiede: quando hai visto Santa Barbara, era come ti aspettavi? «No. Ho sentito che ero arrivata a niente e nessuno» risponde la vera Svetlana «Non so che cosa mi aspettassi, ma quando ho visto la California, ho visto un deserto. Mi sono sentita molto isolata». E prosegue chiedendo: hai amato Eli? «Penso di aver imparato ad amarlo col tempo» afferma Svetlana «ero riconoscente per tutto quello che ha fatto per me e per i miei figli. Ero troppo traumatizzata quando sono arrivata…non potevo vedere la differenza tra gratitudine e amore».

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Da Santa Barbara (Aperture 2020) Diana Markosian
Primo pasto in America / Eli porta al ristorante la sua nuova compagna e i bambini.

Il progetto Santa Barbara è una fiction autobiografica - una realtà romanzata in omaggio alla serie omonima da cui tutto origina-, e al tempo stesso è una forma di esperienza terapeutica che ricrea e mostra le proprie vicende famigliari raccontandole come una storia e attivando la distanza di una storia.

Cosa hai scoperto rivivendo il tuo passato?
La capacità di vedere la verità di un’altra persona è un momento di enorme coraggio. Metti da parte il tuo punto di vista e ti concedi di accettare realmente qualcuno per quello che è. Questo è quello che ho scoperto e ho amato di mia madre.

Cosa hai imparato su te?
Il coraggio che ho scoperto in lei l’ho visto riflesso in me. Io e mia madre siamo molto simili, per questo è stato così difficile…siamo entrambe molto intrepide. La sensazione di afferrare un’opportunità quando non sai che cosa c’è realmente dall’altra parte è quello che mia madre ha fatto a 35 anni ed è come io ho vissuto la mia vita. È stata davvero temeraria: erano gli anni ’90, era prima di Internet, ha preso questa occasione alla cieca, non riesco a immaginare molte donne e molte madri fare lo stesso. Non mi capacito ancora di quello che ha fatto, ha mosso cielo e terra perché potessimo avere una seconda chance. Sono cresciuta e ho capito che devo essere coraggiosa come lei e forse questo progetto mi ha ricordato proprio questo.

La verità sulla propria famiglia è così importante?
L’idea della verità è tremendamente affascinante, è solo che non è mai né bianca né nera, è più grigia. È complicata, sfaccettata e a volte scomoda. Il grigio è il colore che più appartiene alla famiglia. Penso che ci sia più onestà nel grigio di quanto le persone vogliano ammettere. Nel momento in cui si può parlare del grigio - ovvero del segreto - si inizia un processo che porta a sentirsi più vicini come famiglia.

Forse questo colore è un segreto da condividere anche per un altro motivo, potenzialmente valido per tutti: è la zona neutra dove le diverse verità bianche e nere dei singoli famigliari si possono unire grazie all’empatia e alla comprensione profonda e reciproca. E dopo che si sono affrontati i segreti al posto di sotterrarli, dopo che non si prova più vergogna per la propria storia, non si avverte più il suo peso e non ci si identifica più con ciò che è successo, quello è il momento in cui ci si inizia a sentire liberi.

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Da Santa Barbara (Aperture 2020) Diana Markosian

***Diana Markosian è un’artista, fotografa e regista russo-americana di origini armene di fama internazionale. Le sue foto sono stata pubblicate su National Geographic, New Yorker e New York Times. È conosciuta per il suo intimo approccio narrativo tramite foto e video. Diana raccoglie fondi per Armenia Fund.

Tutte le immagini sono tratte dal libro Santa Barbara (Aperture.org), con foto e testi di Diana Markosian e un saggio scritto da uno degli autori della serie tv, Lynda Myles. Santa Barbara sarà in mostra allo SFMOMA di San Francisco quest’estate e a settembre all’ICP di New York con queste immagini, la sceneggiatura, il cortometraggio di 13 minuti, installazioni con la realizzazione del casting e le puntate originali di Santa Barbara.