Se negli ultimi vent’anni di notte a Milano avete preso le linee 90 o 91 dell’autobus probabilmente avete incontrato Maria. È una signora con gli occhi verdi, lo sguardo ironico, l’accento del Sud e molte borse. Il suo nome di battesimo è Ripalta, in omaggio a un santuario in provincia di Foggia. Però a lei non è mai piaciuto chiamarsi Ripalta, così è diventata Maria, alla cui santità è dedicato il santuario. Maria è arrivata a Milano poco più che trentenne, alla fine degli anni 80, ed è sempre stata senza dimora. «Barbona, per me puoi dire barbona». La 90 e la 91 sono le due linee di bus che circumnavigano la città, di notte i posti in fondo si trasformano in un rifugio viaggiante per chi ha bisogno di riscaldarsi, appoggiare la testa e dormire.

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Maki Galimberti
Maria, di origini pugliesi, vive nel centro accoglienza di viale Ortles a Milano. I senza fissa dimora, in 158 comuni italiani, sono 50 mila (Istat). Se si considera chi non usa servizi di accoglienza, il numero potrebbe salire molto.

Al mattino Maria si lavava e cambiava in quello che oggi si chiama Parco della Resistenza, poi attraversava la strada per pranzare all’Opera Cardinal Ferrari, le giornate a camminare, le notti di nuovo in autobus. Ha iniziato che era una giovane («Ero bellissima, ero magra»), ha smesso poco prima di compiere sessant’anni, quando è entrata nella Casa dell’accoglienza Enzo Jannacci, quella che per tutti i milanesi dalla fine degli anni 50 è «Il dormitorio». La permanenza massima sarebbe di un anno, per i casi di grave emergenza come il suo fanno un’eccezione. «Doppia fragilità», si chiama, tecnicamente. Secondo l’ultimo censimento del Comune, a Milano ci sono 2.608 persone senza dimora, 587 in strada, 2.021 in strutture di accoglienza notturna. Un numero stabile, praticamente identico a quello nella rilevazione del 2013. Il 14% sono donne. Secondo Claudia Polimene di Cena dell’Amicizia «le donne sono nettamente meno perché hanno reti di relazioni più ampie e profonde rispetto agli uomini e fanno meno fatica a chiedere». È quando la rete si spezza che diventano senzatetto. Gli uomini arrivano in strada per una catena di eventi che parte dalla perdita o dalla mancanza del lavoro. «Per le donne, invece, il terremoto parte quasi sempre dalla famiglia», spiega Agostina Stano, volontaria di Avvocato di Strada, una onlus che offre assistenza legale ai senza dimora. Agostina ha aiutato decine di donne ed erano pochi i casi in cui il marciapiede non era stato l’ultimo passaggio di una storia iniziata con un divorzio, un allontanamento violento, una delusione. Come quella di Maria, quella di tante donne finite a dormire sotto i portici, nei parchi o sui bus di Milano.

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Secondo Claudia Polimene di Cena dell’Amicizia «le donne senzatetto sono nettamente meno perché hanno reti di relazioni più ampie e profonde rispetto agli uomini e fanno meno fatica a chiedere»

A poco più di vent’anni rimase incinta. Aveva fatto sesso col macellaio del paese dove era nata (Lavello, in provincia di Potenza), «Non era niente di serio, ero solo una ragazza, successe». Fu spedita dai fratelli a Roma in un centro per ragazze madri gestito dalle suore. Christian nacque nell’agosto del 1982 («Tre chili e mezzo, scelsi Christian perché mi piaceva la N finale, senti come suona bene?»). «Metti la firma e andiamocene», le disse suo fratello, ma Maria non si staccò da Christian. «Prendemmo un treno di notte io, mio fratello, mia cognata e il bambino». Il compromesso fu che sarebbe stato affidato al Brefotrofio di
Potenza, dove lei lo avrebbe potuto visitare ogni domenica. Questo equilibrio ha retto per sette anni, finché un giorno Maria scoprì che Christian era stato dato in adozione: da allora non lo ha mai più visto. «Sono impazzita, ho pianto per settimane». Quando ha smesso è scappata, è salita su un treno, è arrivata a Milano, senza soldi, documenti, depressa e ferita per sempre. L’unica cosa che ha trovato ad accoglierla è
stata la 90. L’assistente sociale che la segue, nella Casa Jannacci, mi dice che «è un’accumulatrice, conserva tutto, ha il terrore di perdere le cose, i suoi armadi sono strapieni».

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Maki Galimberti
Doina faceva la badante. In un solo giorno, quando la persona che assisteva è morte, ha perso casa e lavoro. Come il 23% dei senza dimora milanesi non ama i rifugi e quindi dorme alla stazione centrale su un letto d’erba.

La incontro e mi porge un pezzo di carta. Sopra c’è scritto il suo nome, Doina, la data di nascita, i nomi dei genitori, il posto dove è nata. La sua storia, come quella di Maria, è la storia di tante donne, spesso straniere. Arrivano qui per lavorare, se rimangono disoccupate finiscono senza rete, in strada. Spesso, come Doina, sono ex badanti, quando la persona che assistono muore o viene ricoverata perdono lavoro e casa nello stesso giorno. Non tutte le famiglie si chiedono dove andranno a finire. A Doina non piacciono i rifugi: il 23% dei senzatetto milanesi è come lei. Spesso non vengono accettati (chi beve o si droga o è aggressivo, o chi ha un cane), altre volte sono loro che non accettano di rispettare le regole, come nel caso di Doina, che dorme sull’erba di piazza IV Novembre, accanto alla Stazione Centrale. Come per tutte le persone che stanno per strada, la sua vita si regge su un collage di piccole alleanze. Con i cinesi che gestiscono il bar nella piazza, che danno un’occhiata alle sue cose e le fanno usare il bagno. O con un’anziana signora del quartiere: «Non ha figli, così io sono un po’ sua figlia». Non l’ha mai fatta salire in casa, le porta cibo, vestiti, salviette e assorbenti, che Doina custodisce in un marsupio. Come una gattara, solo che il suo gatto è Doina. Una volta alla settimana fa la doccia all’Opera San Francesco. Quando la saluto, mi chiede se posso ridarle il foglio di carta con i suoi dati scritti a penna. È l’unico «documento» che possiede, ha così paura di perderlo che lo lascia in custodia ai cinesi del bar.

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I senza fissa dimora, secondo la legge italiana, godono del diritto di iscrizione all’anagrafe, per questo alcuni comuni hanno istituito una via fittizia per fissarne la residenza. A Milano è via Giorgio Strehler.

Quello della residenza e dei relativi documenti è un problema per chi non ha una casa e quindi un indirizzo, e non può esercitare diritti come avere l’assistenza sanitaria, ottenere la carta d’identità, votare. Per questo motivo alcuni Comuni italiani hanno creato una via fittizia, che non esiste geograficamente, ma è il posto dove risiedono tutti i senzatetto della città. A volte hanno nomi generici, come «Via del Comune» o «Via della Posta», «Via dei Senza Fissa Dimora», altri più poetici ma stranamente adatti, a modo loro, come, «Via della Luna», «Via delle Meteore», «Via delle Stelle». A Milano si usa Via Giorgio Strehler, che esiste davvero, alle spalle del Piccolo Teatro, dove c’è un ufficio del Comune. Le associazioni no profit hanno richiesto nove vie fittizie, una per ogni zona.

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Barbara e Mario sono una coppia. Vivono sotto i portici di piazza Duomo, a Milano.

A volte i patti di mutuo aiuto somigliano a delle famiglie. Barbara e Mario si sono conosciuti che erano senza dimora da anni. Lei in un centro, lui per strada, intenzionato a rimanerci, lei ha rinunciato al tetto per stare con Mario. Dormono accanto al Duomo, rispettano il tacito patto di non belligeranza che c’è tra Milano e i suoi senzatetto. Sono in piedi prima che la zona si animi, di giorno esplorano la città (sono spesso in biblioteca), quando chiudono uffici e negozi tornano sul marciapiede. Barbara in un’altra vita si chiamava Ugo, è nata a Palermo, ha fatto per anni l’operaio a Bergamo, la delocalizzazione della fabbrica le ha portato via il lavoro, ha sceso i gradini della precarietà per finire in strada, senza una rete familiare a soccorrerla. Nel frattempo, ha iniziato a indossare una parrucca bionda e avviato una terapia ormonale, «Sui documenti sono ancora uomo, ma non importa, Mario sa chi sono». La loro, quindi, è stata un’unione civile, Mario e Barbara sembrano allegri, «soprattutto da quando la famiglia si è allargata» a Christian e Maurizio, due fratelli grandi e grossi di Verona, rimasti orfani da bambini per un incidente stradale. Sono in strada da un po’, ma non avevano mai trovato niente del genere. «In Mario rivedo mio padre, lo chiamo papà, Barbara mi ha insegnato a sorridere, a non arrabbiarmi appena sveglio, è mia mamma ora», racconta Christian, che ha superato i quaranta, di giorno fa l’artista di strada e la sera ritrova la sua famiglia. Dormono tutti e quattro in fila. Nonostante le luci e i rumori si sveglieranno la mattina dopo, con l’alba e la pulizia delle strade, prima che i vigili li facciano spostare. Non belligeranza.

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Silvana sta con Ivano, sullo sfondo, ex camionista, rimasto senza lavoro.

Anche Silvana e Ivano sono una coppia. Lui ha un’aria imponente e protettiva, la vede addormentarsi sulla panchina di via Hoepli e mi dice: «Non la sveglieranno nemmeno le cannonate», o la Porsche che sfreccia o la festa di laurea nel locale accanto. Il sonno pesante è fondamentale per vivere in strada. È da poco passato il giro di MIA -
Milano in Azione, una delle onlus che portano cibo, conforto, contatto e chiacchiere ai senzatetto. La città è divisa in aree, i gruppi si alternano, nessun quartiere rimane scoperto, è uno dei momenti in cui la non belligeranza di Milano diventa accoglienza attiva. Di giorno, Silvana e Ivano combattono la noia andando in giro sugli autobus, le loro linee preferite sono la 60 e l’81. Lui ha un matrimonio finito male alle spalle, lei tre figli che non vede mai, lui ha nostalgia inconsolabile del lavoro («Facevo il camionista, guidavo dodici ore di fila, mi piaceva un casino»), lei ricorda con orrore misto a divertimento l’unico giorno in vita sua in cui ha lavorato, aveva provato come magazziniera.

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Secondo gli ultimi dati Istat, i senzatetto in Italia sono sempre più giovani, il 25,7% ha tra i 17 e i 34 anni.

Giuseppe ha deciso di reinventarsi orafo e passa le giornate a disegnare gioielli. Lui è un ex collega di Ivano e sono spesso insieme. «Non dimenticarti del passato, anche se oggi la tua divisa è cambiata», dice, citando (probabilmente in modo apocrifo) Gianfranco Funari. Il suo sogno è frequentare una scuola di tecnica orafa e vedere i suoi gioielli in un negozio, Silvana invece sogna (e aspetta) il reddito di inclusione (e magari di cittadinanza), Ivano semplicemente di arrivare al momento in cui potrà riscuotere la pensione che ha maturato. Unendo le due entrate, hanno calcolato, possono dare la caparra per una casa. Mario e Barbara vorrebbero fare il cammino di Santiago un giorno, forse l’anno prossimo. Doina vorrebbe i soldi per fare il biglietto, tornare in Romania e vedere se i nomi dei suoi tatuaggi esistono ancora. E Maria vorrebbe fare la dogsitter: «Te lo dico, il mio sogno è diventare amica di una signora ricca, con una villa piena di cani. Voglio solo una stanza, un piccolo stipendio e stare coi cani tutto il giorno». Oppure vorrebbe che Christian arrivasse una sera a chiedere di lei, alla portineria della casa Jannacci dove vive. «Oggi ha 36 anni, era il più intelligente del Brefotrofio di Potenza, per questo se lo sono preso». Il 17 ottobre Maria compie 62 anni.