Mettiamo che, per un portentoso scherzo del destino, a quasi cinquecento anni dalla sua morte, in un piccolo borgo fuori Firenze o in una qualunque altra latitudine di un pianeta globalizzato, venga al mondo un nuovo Leonardo da Vinci: un bambino (o meglio, come si vedrà, una bambina) dotato della stessa genialità, un talento altrettanto poliedrico e libero. Riuscirebbe a diventare Leonardo da Vinci e a mettere a frutto il suo ingegno visionario anche nel 2019? E, soprattutto, quale ruolo potrebbe ottenere nella nostra società?

Un fuoriclasse del fare come lui oggi si sentirebbe spiazzato, circondato da innumerevoli piccoli cloni (creatori di start-up, maker 3d, ingegneri, programmatori, produttori di app). Lui che frequentava un futuro soltanto suo, da cui portava in dono formidabili intuizioni, automobili, valvole aortiche e paracadute, forse si scoprirebbe superfluo in una società consumata dal domani o dall’attesa, a cominciare dall’ansia per un nuovo messaggio, per un’altra fotografia. Guardandoci sulla metropolitana, la mattina, si accorgerebbe subito che le invenzioni più amate sono quelle che in realtà ci rendono schiavi del godimento che offrono. E allora a che pro ideare ancora?

Parola d'ordine: generatività

C’è però l’altro Da Vinci con cui fare i conti: il pioniere rinascimentale, chi per primo ha saputo mettere al centro l’essere umano. E così un suo possibile ruolo nel mondo contemporaneo comincia a tratteggiarsi. Se il futuro in cui già viviamo non ci piace è perché la tecnologia è stata portata in ogni modo possibile anche dentro di noi, e ci ha travolto. Il Rinascimento di cui abbiamo bisogno deve condurci verso un orizzonte più simile a noi, con un’inversione a U che rimetta l’uomo e i suoi bisogni al centro dell’inevitabile rivoluzione tecnologica.

Per questo ci vuole un decisivo cambio di paradigma. Un Leonardo del 2019, perché possa davvero diventare Leonardo e occuparsi di tutti noi, ridandoci la preminenza che ci è stata sottratta, dovrebbe probabilmente nascere donna, o comunque fare uso della parte femminile del suo cervello straordinario. Dotato di una leggendaria bellezza, quasi aliena, con il suo muoversi liberamente tra culture e confini, Leonardo potrebbe diventare l’angelo custode che ci richiama a una generale riscoperta delle priorità umane.

C’è chi sostiene che nel volto della Gioconda sia già riflessa l’identità fluida, velatamente femminile dell’artista. Può essere, ma il suo quadro più celebre offre uno spunto più importante ancora. Secondo le scansioni effettuate sul dipinto dal Centro nazionale canadese delle ricerche, Monna Lisa è rivestita da un velo di mussolina, all’epoca portato dalle donne che avevano partorito da poco. L’aristocratica Lisa Gherardini era stata raffigurata subito dopo la nascita del suo secondo figlio. Si può partire da qui allora, dalla gioia vertiginosa e saggia del dare alla luce.

Abbiamo bisogno di un (una) portavoce, un leader della generatività (parola coniata dallo psicologo e psicoanalista tedesco Erik Erikson). Generativo è chi non si limita a mettere al mondo figli (o prodotti, invenzioni, politiche), ma chi fornisce loro gli strumenti per andare avanti per proprio conto, chi decide di prendersene cura senza però controllare o manipolare la propria opera per dominare o celebrare individualismo e narcisismo. L’esatto contrario della strada percorsa da Mark Zuckerberg e Jeff Bezos (e da gran parte della classe politica degli ultimi decenni), i cui progetti non fanno altro che ribadire all’infinito l’impronta, piena di limiti, dei fondatori.

Segnali di cambiamento

È necessario il cervello empatico della donna. Anche se rischia di ripetere un vecchio cliché, una ricerca compiuta su un campione di 670mila persone dall’Università di Cambridge, conferma che il cervello maschile è costruito per apprendere meccanismi (e ne abbiamo fin troppi) e quello della donna per capire le emozioni. Ciò di cui ci sarebbe bisogno è la volontà di lasciare alla società ciò che origina da una competenza personale, ma poi resta per sempre in mani altrui, fornendo una spalla su cui salire. Non Leonardo stavolta, ma le sette madamine torinesi che hanno creato la mobilitazione pacifica e super partes per sbloccare il pantano in cui era finita Torino, o le 117 donne elette alle urne del Midterm in America, possono essere segnali di un cambiamento.

Andy Warhol, Giocondapinterest
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Sopra, la Gioconda di Leonardo da Vinci rielaborata da Andy Warhol.

Gli innovatori assolutisti ed egocentrici hanno fatto il loro, il nostro, tempo. Servirebbe lo sguardo pacificato e fiducioso nell’avvenire della Gioconda. Hannah Arendt aveva scritto il pensiero generativo per eccellenza: «Siamo nati per cominciare». Dall’arrivo di un Leonardo pedagogo, di nuovo visionario, con a disposizione non più soltanto i suoi codici scritti da destra a sinistra, ma l’ubiquità e la persistenza della Rete. Da lui potremmo ricevere una rieducazione necessaria. A cominciare da un coming out. Non su una presunta omosessualità, quanto sul suo essere stato anche un cattivo esempio: l’originale di un modo di esistere in cui si vuole essere tutto, multitasking incluso. Per ricordarci che conoscere, o illuderci di conoscere più vite di quella che possiamo vivere, è fonte d’infelicità. Ma poi, forte di ottomila pagine di codici e diari in cui parla del pianeta ma tace su di sé, Leonardo potrebbe anche convincerci che senza segreti non si crea e non si cresce.

Maker emotivo cercasi

Il Maestro troverebbe un modo per restare in contatto con noi. Un avatar portatile. Un maker, sì, ma di un’indispensabile correttezza emotiva. Potrebbe così riportare libertà e uguaglianza al cuore del progresso. Liberandoci da una sensazione sempre più opprimente in questo presente artificiale, quella della nostra irrilevanza (non a caso una parola ricorrente nel libro di Yuval Noah Harari 21 lezioni per il XXI secolo, Bompiani). Per insegnarci una rilevanza diversa, non più decisa dall’alto o dalle convenzioni sociali, e senza la sopraffazione del prossimo o della natura, con la quale invece rifare alleanze.

Questo sarebbe diventare Leonardo. Che dovrebbe però lottare per restare Leonardo. Chi
avrebbe contro? Investitori, ingegneri, la logica dei profitti, la nebbia del fake, il pensiero violento o conformista, la distrazione alimentata dalla ricerca di piacere, il meccanismo con il quale chi domina la tecnologia controlla anche noi.

È però un’impresa dura. Anche per una donna. Se lui, genio della procrastinazione creativa, ce la facesse, ci libererebbe dal perfezionismo. I suoi splendidi difetti ci proteggerebbero da una cultura che ci vuole infallibili, senza errori, oppure omologati. Diventerebbe il salvatore di due o forse tre generazioni. Con la sfida di ridarci il bene perduto: la lucidità. Un individuo dotato del suo spirito d’osservazione capirebbe il malinteso (non accidentale, voluto) che ci opprime. Le nostre scelte, i rapporti tra noi, sono guidati e ordinati dall’alto, come ha scritto Stefano Diana in un saggio davvero leonardesco, Noi siamo incalcolabili (Stampa Alternativa): attraverso gli algoritmi stiamo perdendo la meraviglia di un mondo che non era chiuso in numeri e classificazioni ma prodotto ogni giorno dall’umano venirsi incontro. Perché siamo esseri volubili e imprevedibili, dice Diana, «che s’innamorano perdutamente in un giorno di pioggia e scappano al primo raggio di sole... che insistono in un errore che amano più di loro stessi». Leonardo il genio potrebbe deviare il futuro, già tra noi nella sua versione tecnologica e consumista, verso una direzione “gentile”, “solidale”. Un Rinascimento per tornare a guardare “dal basso” l’esistenza dei rapporti umani e le competenze messe in circolo, e non dall’alto di un sistema in cui tecnologia e potere sono in poche mani. Sarebbe la rivoluzione della generatività.

Lui, figlio illegittimo, essere dall’identità sfumata e lieve, ma dalla volontà di ferro, viandante della creatività, potrebbe insegnarci a guardare lontano, invece di fissarci sul presente di uno schermo. Lo farebbe però con un obiettivo che oggi è ridotto a una caricatura narcisistica: noi.