Per 10 anni la cantante Janelle Monáe ha cancellato la propria identità, affidandola a un alter ego: la replicante Cindi Mayweather. «Mi ha aiutato a proteggermi dalle insicurezze», ha detto la nuova stella della black music, che quest’anno ha deciso di togliersi la maschera di umanoide e pubblicare l’album Dirty Computer. «Vorrei che i giovani di qualunque identità sessuale si sentissero liberi di esprimersi: questo album è per loro». Janelle è uscita allo scoperto, ma la storia è un brulicare di donne rimaste nell’ombra, dimenticate o costrette ad annullarsi. L’arte contemporanea al femminile racconta tutto questo in modo esplicito. Un’attitudine anti selfie, in cui vige la tesi della sottrazione. Più non si appare e più si diventa protagoniste. Della serie: “Mi cancello, dunque sono”.

Durante l’ultima fiera di fotografia Paris Photo, la sezione Elles x Paris Photo coinvolgeva artiste che in molti casi raccontavano la femminilità attraverso ritratti dai lineamenti cancellati. Come Cig Harvey, Jo Ann Callis o Linder. O come la catalana Andrea Torres Balaguer, che nella serie The Unknown ritrae sempre se stessa, coprendosi il viso con una pennellata di colore. «Il mio lavoro è sulla personalità delle donne e sul suo valore simbolico», ci rivela Andrea, che espone i suoi ritratti alla galleria parigina In Camera. «Mi nascondo, ma posso essere qualunque persona decida lo spettatore. Posso essere chiunque, tranne me». È così che l’artista ventottenne mette in scena il meccanismo che fa apparire le donne come la società le vuole. È un atto di coraggio, soprattutto se si considera una recente ricerca dell’Università di Glasgow secondo cui il volto è lo specchio dell’anima, ma solo per le donne. «Lo studio è stato effettuato su migliaia di volti», spiega il professor Rob Jenkins. «Nei soggetti femminili il legame fra carattere ed esteriorità si è rivelato più evidente rispetto agli uomini. Non ci aspettavamo una tale differenza fra i due sessi».

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Julie Cockburn. Courtesy Flowers Gallery, London
Julie Cockburn, It’s Complicated

Anche Julie Cockburn è una pasionaria. Ama le foto anni 50 e 60 che recupera su eBay o negli antiquari sparsi per Londra, città dove è nata nel 1966. Si tratta per lo più di ritratti di signore, sui quali interviene ricamandoci sopra pois e forme geometriche. «Gli scatti di quell’epoca sono così austeri», ci spiega Julie, rappresentata dalla Flowers Gallery di Londra. «Così, applicando le mie maschere colorate rendo tutto più gioioso e lieve». La leggerezza però sfuma quando si parla del ruolo delle donne nell’arte. «So bene quanto siamo sottostimate, ma il #MeToo ha cambiato un po’ le carte in tavola. La strada è lunga».

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ANDREA GRAZIOSI
Carolle Bénitah, Groupe de femme plage

Carolle Benitah guarda al futuro usando istantanee di ieri. 54 anni, nata a Casablanca ma residente da anni a Marsiglia, cerca fra le bancarelle dei mercatini vecchi scatti di famiglia, che poi modifica nascondendo i volti dei protagonisti con strisce di colore. Donne al mare, a cena, in campagna. La serie ha un nome che sembra una promessa: I Will Never Forget You. «Amo i personaggi di quelle foto ingiallite», ci dice l’artista che ha lo studio nella zona del Vieux-Port. «Non so se esistono ancora, non so i loro nomi, ma per me sono fantasmi che riporto in vita per ricostruire la memoria della mia famiglia che non c’è più». Carolle ci spiega che la sua vita e il suo lavoro sono la stessa cosa. E che tutta la sua poetica gira attorno a temi come perdita, ricordo e condizione femminile. Argomenti universali che nel suo Paese d’origine hanno un ruolo chiave. «In Marocco abbiamo bisogno di una nuova generazione di madri capaci di educare i figli al rispetto verso chi appartiene all’altro sesso e a considerare le donne come alleati e non come avversari». Carolle si definisce pessimista idealista. «Il futuro dipende da noi, da quanto vogliamo metterci in gioco, da che cosa siamo disposte a sacrificare».

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Katrien de Blauwer. Courtesy Galerie Les Filles du Calvaire, Paris
Katrien de Blauwer, Dark Scenes

«Noi non vediamo le cose come sono, le vediamo come siamo», diceva la scrittrice Anaïs Nin. E Katrien De Blauwer, “fotografa senza macchina fotografica”, trasforma in opere questo pensiero. Belga, anzi fiamminga di Ronse, Katrien crea ritratti riciclando immagini di vecchi giornali. Il suo lavoro flirta col nostro inconscio grazie a volti femminili che ritaglia e occulta. Sono collage nei quali, senza mai apparire, rivela momenti della sua storia personale, che poi diventa la storia di tutte le donne. È un modello di generosità, perché, annullando la propria identità, l’artista offre agli altri la possibilità di averne una. Mica male per una che vive nell’epoca più individualista di sempre, dominata dai selfie su Instagram e Snapchat e dai Grandi Fratelli in televisione. «Le mie opere si oppongono a tutto questo», ci dice l’artista, i cui lavori sono alla galleria Les Filles Du Calvaire di Parigi. «Rendendo irriconoscibili i visi, voglio creare un mondo ideale, dove si possono incontrare infinite storie, compresa la mia». E gli uomini? Introvabili. «I maschi sono assenti perché erano davvero assenti quando, da bambina, avevo bisogno di loro», dice. «E quelle rare volte in cui li uso, se ne stanno da soli in un angolo della foto».