Mala tempora currunt. Immaginate un mondo – che è poi quello in cui viviamo – e un Paese, il nostro, in cui non ci sia più spazio per la cultura e in cui dire quello che veramente si pensa ti fa rischiare di brutto, in alcuni casi persino la vita. Lo ha immaginato, e fa davvero paura, lo scrittore Giacomo Papi nel suo nuovo libro, Il censimento dei radical chic, appena pubblicato da Feltrinelli. Partendo da un fatto di cronaca – l'uccisione del timido e colto professor Giovanni Prospero – quello che descrive in quella realtà distopica, è un'Italia allo sbando, un posto in cui “la cultura si è trasformata in inganno e l'ignoranza in innocenza”. C'è un Primo Ministro mammone che pensa solo ad attirare il favore del popolo, perché la gente non ne può più – dice lui, “dei maestrini” e di “continue lezioni”, mal volute perché non capite. L'intelligenza serve per comandare, e lui lo sa bene, ma soltanto se la si tiene nascosta. La colpa, se così si può definire, del professor Prospero, è stata quella di aver citato Spinoza in un talk show, aggravata anche dall'aver imprudentemente indossato un maglioncino in cachemire color aragosta. L'ha pagata cara, finendo ucciso a bastonate sul suo pianerottolo nell'incuranza generale degli altri condomini fino al giorno dopo, quando è stato ritrovato dalla portiera moldava che ha dato l'allarme alla vicina che, a sua volta, ha pensato bene di farsi un selfie con il morto e di pubblicarlo su Twitter.

L'ignoranza – rifletterà Olivia, la figlia del professore, da anni in Inghilterra dove si è laureata in epigrafia bizantina, ma lavora in una pasticceria – non è più oggi soltanto una condizione, ma una scelta. Pertanto, il ministro vuole che sia istituito un registro nazionale degli intellettuali e dei radical chic volto a censire coloro che si ostinano a credersi più intelligenti degli altri. In apparenza li vuole proteggere, saranno in molti a cascarci e, pur di non essere schedati, saranno pronti a sbarazzarsi delle giacche di velluto, dei maglioncini irlandesi come dei tanti, tantissimi libri capaci di modellare lo spazio intorno alla vita di ognuno di loro popolandola di parole possibili.

Basta usare parole difficili, dunque, o inutili. “Pashmina” è da eliminare: meglio usare uno “scialle afgano”; lo stesso vale per “compagnia” al posto di “pletoria”, di “divanetto” al posto di “dormeuse”, di “profumi” o “odori” al posto di “effluvi” e di “fuori moda” invece che “anacronistici”. Il popolo pretende che i suoi rappresentanti, quelli che elegge e stipendia, parlino in modo chiaro e semplice. La semplicità, dunque, prima di tutto, perché la complessità impedisce la verità, umilia, frena l'azione, è superba, quindi odiosa, è confusa, quindi dannosa. Olivia, dal canto suo, è sconcertata davanti a tutto questo e noi con lei. A commentare il tutto, come un coro greco ma con soli due elementi, saranno le due cugine ottantenni Clelia e Anna che ogni giorno parlano ore e ore al telefono fisso discutendo e sorridendo della vita che, nel caso loro, non è poi affatto male. Il mondo cade a pezzi, un altro uomo è stato ucciso annegato con un borsone pieno di vocabolari di greco e latino, altre persone sono state fucilate durante il Festival dei Due Mondi di Spoleto e loro? Continuano a pensare alle loro sedute di pilates, agli incontri di letteratura, a dove mettere i libri per non farsi scoprire, ma la voglia di ribellarsi c'è ed è tanta.

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Il censimento dei radical chic di Giacomo Papi (11 euro su Amazon.it)

“All'inizio se la sono presa con i clandestini, poi con i rom, dopo è venuto il momento dei raccomandati e degli omosessuali, e ora si mettono ad attaccare gli intellettuali. Per quale motivo?”. Si chiederà una di loro. Gli intellettuali sono sì pigri, avidi, comodi e vanitosi, ma non hanno mai punto nessuno, sono sempre cresciuti in un tempo in cui pensare era un mestiere tranquillo, un tempo in cui le parole pesavano poco e si staccavano dalle azioni. E adesso? Tutto possono aspettarsi tranne che diventare pericolosi di nuovo. “Vogliono capire quello che scriviamo”, dirà una di loro a un altro, che prontamente risponderà: “Guarda che mica lo capiscono quello che scriviamo”. Perché, dunque, un intellettuale ricco è più colpevole di un calciatore o di un industriale e perché li chiamano radical chic ? Ma soprattutto: questi radical chic esistono davvero? Il motivo, stando sempre alle parole del ministro, è più semplice del previsto. Il popolo che non ha nulla in cui sperare li detesta perché se è vero che le emozioni sono elementari e facili, dall'altro lato i pensieri restano liberi e complicano le cose. “Dove comanda la ragione, la statistica muore”. La cultura è una scommessa sul fatto che alla fine ci si possa capire.

Fa paura, lo ripetiamo, il mondo immaginato da Papi in questo libro esilarante sin dalle prime righe, uno di quelli in cui l'odio per chi è diverso è circondato da curcuma e quinoa, da terrazzi sontuosi e cachemire, da pinot nero e mojito leggeri, da cinema, da letteratura e politica, un mondo che lo scrittore, già direttore della scuola di scrittura di Belleville, a Milano, conosce molto bene e, per questo, costruisce e demolisce a suo piacere facendone notare tutti i difetti, ma non dopo aver mandato frecciatine velenose alla politica e a chi ci governa. La colpa di tutto questo “é nostra”, spiegherà nel suo testamento il professor Prospero, “perché in molti, per vanità e pigrizia, abbiamo preferito ascoltarci e farci ascoltare invece che ascoltare”. Cercare una coerenza è inutile, perché si può dire tutto e il suo contrario e perché ogni istante è slegato dagli altri. Tanto vale allora godersi lo spettacolo sgangherato della stupidità che va in scena, rinunciare all'antica perdente pretesa di correggere le argomentazioni deliranti e all'idea di poter fare ragionare individui che l'energia destinata al cervello hanno preferita impiegarla per andare in palestra. Ma ne siamo proprio sicuri? Papi ci avvisa, ci ricorda – facendoci amaramente sorridere – che se non ci si sforza di ragionare, il popolo diventerà schiavo del primo tiranno. Un mondo migliore è quindi ancora possibile, basta solo volerlo.