STAGIONE 3, DI BOJACK HORSEMAN: il disvelamento di un mondo. Nella serie animata di Netflix incentrata su un cavallo antropomorfo, attore decaduto alle prese con il disagio esistenziale (da vedere, le nuove puntate partono l’8 settembre), per 25 minuti tutto cambia. La storia si sposta sott’acqua, diventa muta: a raccontarla sono solo le immagini, qualche sopratitolo e una geniale colonna sonora. L’ha creata ad hoc Jesse Novak, e il fatto che il suo nome non ci faccia scattare nessun click è nell’ordine delle cose.

Di lui si sa poco, anche sui social è molto discreto, ce lo immaginiamo come un talentuoso nerd chiuso in un garage della vallata di Hollywood a inventare suoni nuovi su un computer. Ma sarà così?

Per decenni abbiamo associato la figura del compositore di musiche originali per lo schermo alla star assoluta, al Morricone de Il buono, il brutto, il cattivo o ai Blues Brothers, sul lato “cattivi ragazzi”.

Qualcuno di noi fa ancora fatica a tuffarsi in mare aperto senza sentire sul fondo del cervello la musichetta di Lo squalo che si avvicina, per cui John Willliams ha vinto meritatamente l’Oscar.

Poi è stata l’epoca delle colonne sonore realizzate con canzoni già esistenti, prese direttamente dalle classifiche o rispolverate da un passato glorioso. C’è qualcuno a cui non sanguina il cuore quando in La ragazza sul ponte Vanessa Paradis aspetta fremente che il lanciatore di coltelli/amante Daniel Auteuil le scagli contro le lame, sulla voce cavernosa di Marianne Faithfull?

Andando sul pop, vale anche per April che dichiara il suo amore a Jackson in Grey’s Anatomy, sulle note di John Legend. Poi qualcosa è cambiato, e il processo è ancora in atto.

Con il proliferare delle serie e dei film per le piattaforme online, la richiesta di temi musicali, sigle, accenti thriller per sottolineare momenti topici, melodie che sprizzano like (tutti preferibilmente non soggetti a copyright milionari) è aumentata in modo esponenziale. E ora, senza che neanche ce ne accorgiamo, una nuova generazione di compositori sconosciuti sta plasmando il nostro immaginario.

OGNI VOLTA che schiacciamo play su un nuovo episodio di Trono di Spade, gli archi epici di Ramin Djawadi (lo trovate qui a fianco, insieme agli altri talenti da seguire) ci pervadono i gangli neuronali.

Ogni volta che in Squadra antimafia c’è un crescendo strumentale che accresce la suspence, lo dobbiamo ad Andrea Farri. Lui è la mente sonora di tutte le stagioni della serie e dello spin-off Rosy Abate, in onda da settembre. Considerando che a 35 anni, oltre alle fiction, ha composto per metà dei registi italiani, da Matteo Rovere a Cristina Comencini, da Alessandro Genovesi a Carlo Verdone a Marco Tullio Giordana, è la persona giusta da chiamare per farsi un’idea di chi sono questi nuovi professionisti della suggestione.

Una formazione classica e una passione per John Ford e Ernst Lubitsch, ci racconta che quando ha scelto questo mestiere, una dozzina di anni fa, nessuno in Italia avrebbe fatto esordire un ventenne. Quindi componeva al pianoforte per il teatro e la danza.

Così gli è venuta l’idea di musicare i cortometraggi di Jean Vigo «visto che lui non si poteva opporre» e di farne concerti nei teatri, con lo schermo sullo sfondo. Da lì è partito tutto, come in un climax sinfonico: il primo film con Rovere, la toccante attesa del futuro e la svolta che ti cambia la vita.

«Un giorno, quando mi stavo abituando all’idea di suonare jazz in qualche fumoso night club, mi squilla il cellulare, e una voce forte e decisa mi dice: “Sono Pietro Valsecchi, ho sentito dire che sei un genio, vieni subito nel mio ufficio o hai chiuso per sempre con le produzioni Taodue!” e mi attacca il telefono in faccia. Ovviamente sono subito salito su un taxi. E così dopo pochi mesi, incredibile, è nata la colonna sonora di Squadra antimafia, la prima di una lunga collaborazione».

Forse qualcuno gli ha portato fortuna: mentre ancora lavorava come aiuto regista, nell’indecisione dei twentysomething, Roberto Faenza sgranò gli occhi e gli lanciò questa profezia: «Ma sei matto?! Fai il musicista! Un regista non lavora mai, non guadagna nulla! Fai il compositore, in giro non ce n’è! Come ti invidio!». Ci aveva visto lungo.

Ora Farri è uno di quegli artisti che possono influire sul carattere e sulle sorti di un film, portando le sue idee fin dall’inizio. Come nella commedia Latin Lover di Cristina Comencini: per la scena nostalgica in cui Lluís Homar fa da narratore alle sequenze video con la storia dell’attore scomparso Saverio Crispo (a cui mogli e figlie, riunite dieci anni dopo, rendono omaggio), Farri ha costruito e inciso la musica prima che le riprese iniziassero, per poter dare a Homar i tempi esatti del monologo, «immaginando quale sarebbe stato il sapore musicale del film». Quella soundtrack evocativa poi ha vinto il Globo d’Oro.

IDEALMENTE dovrebbe sempre andare così. I creativi prima di tutto - vogliamo il sogno! - e i dettagli rognosetti lasciati ai burocrati. Invece spesso i musicisti sono chiamati all’ultimo minuto, a mettere cerotti sui tagli fatti dagli editor.

È un lavoro da artigiani o da chirurghi, che richiede una preparazione tecnica molto più vasta di quanto ipotizziamo. Esistono corsi e scuole specifiche per formare la figura del compositore per le immagini, in Italia e all’estero, come la Scuola di alto perfezionamento musicale di Saluzzo o la Berkelee School di Boston.

Pietro Milanesi, 28enne di Moncalieri, ha frequentato entrambi e ora fa il compositore freelance a Los Angeles. Ha collaborato con Adam Peters per le colonne sonore del film Castello di sabbia (con Nicholas Hoult e Henry Cavill) e per il documentario Icarus sul doping sportivo, appena uscito negli Usa.

Lo sentiamo via Skype e dalle prime parole che pronuncia, stem, temp, inbox, capiamo che questa è roba per cervelloni. Per darci un tono: gli “stem” sono le divisioni dei brani in categorie (tracce con solo percussioni, solo archi) che si preparano per gli spartiti da dare agli orchestrali in sede di registrazione. “Inbox” è la musica fatta al computer. “Temp” è la musica provvisoria già esistente che il music editor (un’altra figura in crescita) usa in fase di progettazione, per presentare il film ai produttori.

Può essere di un cantante famoso o presa da una libreria musicale, tanto per gli screening privati non serve dichiararlo alla Siae o affini. E qui scatta il gossip. Se cercate su YouTube troverete diversi video che parlano di “Temp Love”: è l’infatuazione che molti registi - che per mesi vanno a letto e si svegliano abbracciati alle scene in progress del loro film - hanno per la Temp, appunto.

Quando arriva il momento di sostituirla con una musica scritta ad hoc, finisce che la vogliono praticamente uguale alla Temp. E per il compositore sono sorci verdi e rischi legali di plagio.

Milanesi l’ha imparato lavorando per delle Music House, che mediano tra le produzioni tv e i compositori, Los Angeles ne è piena. Gli impieghi con cui i musicisti emergenti si pagano l’affitto, prima della grande occasione, sono questi: «Abbiamo bisogno per lunedì di due minuti di suoni così e cosà». Poi le tracce entrano in un archivio digitale da cui le produzioni attingono per piazzarle qua e là.

UNA PROMESSA su due nelle scuole di musica e tra i compositori giovani è donna, però a un certo punto della filiera - maschilista - le opportunità per loro diminuiscono. È una questione di cui si parla. Vale per gli Stati Uniti come per l’Italia.

Torniamo da Farri a chiedere in cosa invece le due realtà si differenziano. «Noi abbiamo delle grandi figure professionali, delle straordinarie personalità, non solo autori ma maestranze, macchinisti, direttori della fotografia, truccatori, scenografi, costumisti. Quello che non si dice è che moltissimi dei film che si producono in Italia sono realizzati con budget insufficienti a pagare tutti quelli che ci lavorano. E un grosso problema sono le istituzioni, chiuse su se stesse in meccanismi politici, in cui giovani promettenti cercano di farsi largo faticosamente o scappano all’estero. Difficilmente riescono a nascere dei compositori professionisti in queste realtà, perché non c’è mai un confronto con il pubblico. A Chicago, New York, Londra ci sono delle istituzioni che pagano i migliori giovani compositori (penso a Mason Bates, Anna Clyne) per scrivere sinfonie, balletti, opere che poi vengono rappresentate con grande seguito».

In attesa del boom e dei dovuti riconoscimenti, noi ci commuoviamo beatamente grazie alle musiche di quasi ignoti, geniali, autori.

C’è una formula per toccarci i sensi? «Ci sono trucchi come cadenze armoniche o crescendo dinamici che aiutano, ma non bisogna esagerare», dice Farri. «A volte la sfida è riuscire a empatizzare utilizzando una musica a contrasto, sperimentando, ma solo se funziona... perché nei sentimenti primari - paura, commozione - ci sono dei cliché specifici che il pubblico inconsciamente si aspetta. Avremo sempre in testa la scena di La donna che visse due volte in cui Kim Novak bacia James Stewart mentre un’onda sbatte sugli scogli e i violini esplodono in un crescendo romantico».

Ah quella sì, sempre. Chissà che non entrino nella storia anche i suoni liquidi di quella puntata di BoJack Horseman.