L’indirizzo che ho ricevuto su WhatsApp non porta a un hotel o un ufficio, come succede di solito per le interviste. Corrisponde invece a un bel palazzone romano, uno di quelli con l’androne così solenne che le informazioni al portiere le chiedi sottovoce. Cristina Comencini mi sta già attendendo sulla porta aperta, qualche piano più su. Questa è casa sua, non me l’aspettavo. L’interno è luminoso e senza ostentazioni. Come lei, che in jeans e maglietta è fresca, rassicurante e molto più giovane della sua età. Chissà se dal vivo le figlie delle principesse - perché questo è sua mamma, Giulia Grifeo di Partanna - sono tutte così. Ci sediamo su un grande divano bianco. Lei, che oltre a essere regista è scrittrice, mette su lo sguardo attento di chi è sempre a caccia di idee e fa una nota mentale di tutto ciò che le passa davanti. Il suo ultimo libro si intitola Essere vivi (Einaudi), e dipinge la storia interiore di una bambina molto particolare.

Ma oggi dobbiamo parlare dell’ultimo film in uscita, Qualcosa di nuovo. Premessa. Se siete abituati a quelle grandi case di famiglia piene di ricordi d’infanzia felici, ai dialoghi che scavano nel passato e ai silenzi carichi di significato, tipici di molti film di Cristina Comencini, sappiate che sono stati messi da parte. Qualcosa di nuovo è un film in cui si ride molto. Però non è superficiale, perché osserva le casualità che ti cambiano la vita quando meno te lo aspetti. Ma anche la competizione che può nascere fra due quarantenni, amiche del cuore, interpretate da Paola Cortellesi e Micaela Ramazzotti, mentre si spartiscono un diciannovenne, lo strepitoso Eduardo Valdarnini. Con risultati che per gli uomini possono essere impossibili da imitare, figuriamoci capire.

Del perché le donne si fanno la morale tra loro, anche se non sono affari che le riguardano. Le due protagoniste del film hanno caratteri completamente diversi. Una, Lucia/Cortellesi, è precisina e coscenziosa e si astiene dai legami sentimentali perché di delusioni ne ha subite troppe. Maria/Ramazzotti, invece, si caccia continuamente nei guai con uomini sbagliati che raccoglie in giro e porta a casa sua, spacciandoli con se stessa per “quello giusto”. E, spesso, l’amica deve aiutarla a sbarazzarsi di ammiratori appiccicosi - o pericolosi - rimproverandola con la frasetta: “Certo che però un po’ mignotta ci sei”. Quello della mancanza di solidarietà femminile sarà pure un luogo comune, ma come negare che nel farsi a vicenda il conto dei flirt, le donne un po’ di veleno ce lo mettono?

«Le amiche si sono sempre giudicate», mi blocca subito la regista. «Ma la tradizione delle amiche giudicanti contiene amicizia, tenerezza, ammirazione. C’è anche l’invidia, ma perché è una forma di ammirazione. La rigorosa Lucia è invidiosa della scombinata Maria per il motivo più banale: quella ha una vita sessuale che lei si sta negando per paura di soffrire ancora. Maria esce la sera e rimorchia in modo ossessivo nonostante le conseguenze, cosa che non è certo da lodare. Ma se non fosse per lei che si butta e rischia, Luca, il diciannovenne, non lo incontrerebbero mai. E sarebbe un peccato, perché non è detto che un ragazzo molto più giovane debba per forza essere un banale toy boy. Luca è un tipo interessante, che innesca una chimica salutare fra le due amiche, le aiuta a tirare fuori il “non detto”. Ma prima che tutto questo si risolva, Lucia chiama “mignotta” l’altra per ristabilre l’equilibrio, e guadagnare almeno “punti moralità”. Provi a farci caso: quella di fare le maestrine fra noi è una dinamica frequentissima, che una donna non ammetterà nemmeno sotto tortura. Per gli uomini è tutta un’altra storia. Fra loro si possono invidiare le conquiste, certo. Ma non si accuseranno mai di essere indecenti».

Del perché da ragazzina gli uomini te li rubano le adulte, e quando sei adulta te li rubano le ragazzine. In La Bestia nel cuore, con cui nel 2005 Cristina Comencini ha concorso all’Oscar come miglior film straniero, c’è un momento in cui il personaggio interpretato da Angela Finocchiaro si inchioda perché ha intravisto dietro una vetrina la donna per cui suo marito l’ha lasciata. “Donna” è una parola grossa, perché si tratta di un’ex compagna di scuola della figlia. «Gli uomini che ti lasciano per quelle più giovani: un classico», commenta la regista ricordando la scena. «Devono fecondare il più possibile e sono attratti dai corpi giovani perché si illudono che spargano polverine magiche che allontanano la vecchiaia».

In Qualcosa di nuovo, però le situazioni si invertono. C’è un momento in cui le protagoniste si trovano faccia a faccia con l’inconsapevole fidanzatina di Luca e ci rimangono male quando la ragazzina ride di sé per aver sospettato, inizialmente, che quelle “zie” se la intendessero con il suo moroso. La quarantenne che ruba l’uomo alla diciottenne, e la passa pure liscia, è la nuova minaccia alla pacifica convivenza femminile? «Si è accorta che, nel film, la diciottenne sembra più vecchia delle protagoniste?», mi fa notare la regista. «Non è mica un caso. Le spiego: l’elasticità mentale dei giovani è una leggenda. I giovani sono rigidi, inquadrati in un sacco di schemi anche quando pensano di trasgredire. Una ragazzina può essere molto impegnativa, vuole fare progetti col suo ragazzo perché attribuisce ancora al domani un rispetto al quale una quarantenne, finito il giro delle illusioni, non crede più. Mettiamoci pure che, storicamente, maschi e femmine da adolescenti si sono sempre guardati con sospetto. E oggi, in più, i ragazzi non sanno adeguarsi alle nipotine della rivoluzione sessuale, non sanno gestirle. Logico che quando il ragazzo si ritrova ad avere a che fare con due donne che non lo recintano in un futuro insieme, due “donne di nessuno” - come dice la canzone di Fred Buscaglione che Paola Cortellesi canta all’inizio del film - diventano la compagnia ideale. Che speranza ha, la teenager, di competere con tutto questo?».

Del perché nemmeno la parentela è un antidoto ai veleni fra donne. In Qualcosa di nuovo il giovane Luca vive quel conflitto generazionale con la madre che di solito svanisce crescendo. Per le donne non è sempre così, come dimostrano le incomprensioni tra figlia, madre e nonna in Va dove ti porta il cuore, diretto nel ‘96. Invece in Latin Lover, del 2015, c’è un plotone di sorelle nate da diverse relazioni del padre, divo del cinema, che fanno a gara a chi è stata la più amata da lui. Le sorelle Comencini sono quattro, nessun fratello. Sarà almeno disposta ad ammettere che le case con tante sorelle sono un ring? «Dipende dai genitori», mi smentisce ancora. «Il mio papà non ci ha fatto mai pesare di essere tutte femmine, anzi, se ne vantava ed è uno dei motivi per cui andavamo d’accordo. Sa che ci diceva sempre di non lavorare nel cinema? Voleva mettere alla prova la determinazione di chi di noi voleva seguire le sue orme». Il tempo è scaduto. Indugio di fronte a una libreria piena di foto di Cristina e delle sorelle proprio insieme al padre, il grande regista Luigi, che per chi ha superato i quaranta da un pezzo è anche un’inevitabile, dolce associazione di idee con Pinocchio, lo sceneggiato del 1973. Ho passato la mattinata cercando di far dire a Cristina Comencini che le donne sono le peggiori nemiche delle donne e ho fallito. Perché lei non la pensa così e ha ragione. Altrimenti perché, dopo aver premurosamente richiuso la zip del mio trolley, che non mi ero accorta fosse aperta, ora mi fissa con quello sguardo materno e, passando al “tu”, mi dice: «Manca ancora tanto per il tuo treno: perché non ti fermi qui, che ti preparo un’insalatina?».