Sembra quasi di sentire l'odore del fango, del metallo e del sangue guardando le foto di Don McCullin, a cui la Tate Britain dedica una grande antologica fino al 6 maggio. Merito di quel bianco e nero dove il bianco è bianchissimo e il nero è cupo come la pece. O di quelle inquadrature spesso sbilenche, che facevano inorridire i puristi della fotografia geometrica, ma che scaraventavano lo spettatore nel cuore della battaglia, fra urla, mine antiuomo e pallottole.

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Don McCullin
Don McCullin, The Battle for the City of Hue, South Vietnam, US Marine Inside Civilian House 1968

La Tate omaggia il leggendario fotoreporter britannico (che sarà interpretato da Tom Hardy in un film tratto dal suo libro di memorie, Unreasonable Behaviour, adattato per il grande schermo da Gregory Burke) con una mostra tributo con oltre 250 lavori, tutti stampati dallo stesso McCullin nella sua camera oscura. Da quelli firmati nel 1958 e dedicati alle gang di Londra (The Guvnors), passando per i servizi realizzati per il magazine The Sunday Times dagli anni sessanta alla metà degli ottanta, Palmira distrutta dall'Isis nel 2017. Ogni immagine, un pugno nello stomaco. «La tragedia, la miseria, la sofferenza che vedevo mi ha consumato», ha raccontato un giorno.

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Don McCullin nelle Filippine

Impossibile non entrare in empatia con i soldati Usa persi nelle foreste dell'Indocina, sporchi, terrorizzati, stravolti. O con quelli impegnati nella battaglia di Hue o a difendere le postazioni durante la tremenda offensiva del Tet. Proprio il lavoro in Vietnam ha reso McCullin una leggenda vivente. Esattamente 50 anni fa, era il 1969, gli Stati Uniti salutavano il nuovo presidente Richard Nixon e scoprivano il massacro di My Lai. I pacifisti iniziavano a far sentire la loro voce. E la guerra raccontata in prima persona dalla fotocamera Nikon di Don acuì nel popolo americano il desiderio di farla finita con un conflitto che aveva portato sul Mekong oltre mezzo milione di truppe e sessantamila vittime yankee.

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Soldati americani a Hue, Don McCullin

Alla Tate sono esposti anche i contact sheets, il suo elmetto e la sua fotocamera Nikon che gli salvò la vita in Cambogia, fermando un proiettile che lo stava per colpire. Ma c'è soprattutto il c'è il racconto di un viaggio lungo sessant'anni, sempre in prima linea. Sempre con lo scopo di far capire al pubblico che la guerra, dovunque la si guarda, è sempre sporca.