Chi, tra migliaia di aspiranti maghetti, non vorrebbe ottenere un G.U.F.O., il diploma che nella saga di Harry Potter viene rilasciato dalla scuola di stregoneria di Hogwarts? Tra i meriti dell’epopea creata dalla scrittrice J.K. Rowling c’è anche quello di aver focalizzato la curiosità dei più piccoli verso animaletti per molti versi misconosciuti, i gufi e le civette, emblemi di erudizione, diventati un campione di simpatia grazie al grande schermo. Non stupisce quindi che durante l’edizione della mostra floreale di Orticola a Milano, a maggio, nell’area dedicata alle attività peri bambini coordinata da Giulia Negri da Oleggio Santagostino, i corsi di “gufologia” siano stati gettonatissimi, con intere scolaresche alle prese con penne, piume e vari “indizi” di presenze gufesche (come vedremo poi).

A dire il vero, non bisogna essere bambini per appassionarsi ai rapaci: a tenere le lezioni c’è Marco Mastrorilli, ornitologo che ha scritto una dozzina di libri sull’argomento e ha creato l’app iOwls per tablet, scaricabile dall’App Store gratuitamente. Mastrorilli confessa di studiare gufetti, allocchi, barbagianni e affini da 23 anni, e ci spiega anche perché è importante che i rapaci notturni siano conosciuti meglio e, in qualche modo, tutelati.

«Sono all'apice di una catena alimentare», dice. «Un assiolo (che è poi il vero rapace di Harry Potter, molto simile alla civetta, ma più piccolo) si nutre di cavallette, grilli, altri piccoli insetti. Quando lo si avvista sul territorio, vuol dire che sono presenti anche tutte le altre specie, è un ottimo indicatore di sano equilibrio bio ambientale. Questo vuol dire che dove ci sono i rapaci notturni la natura è ancora salva! Ahimè, sono sempre più numerose le specie la cui sopravvivenza è minacciata dall’ingrandirsi delle città e delleattività industriali dell’uomo. Tra i rapaci notturni, per esempio, stiamo assistendo a un forte calo di barbagianni, uccelli splendidi e misteriosi, con quella loro faccia candida e imperturbabile, perché nidificano preferibilmente in cima alle torri o nelle case diroccate. E oggi se ne trovano sempre meno. I gufi sono più comuni, a volte se ne vedono persino in città».

Per esempio?«A Milano, in zona Ripamonti, su alcune conifere di via Val di Sole c’è una storica colonia di 20-30 gufi che specie in inverno si aggrega per proteggersi dal freddo, un fenomeno che in inglese si chiama roost. Fra l’altro, i gufi sono gli unici rapaci che formano delle comunità, le altre specie sono più discrete, quasi elusive».

Come si diventa gufologo? «Il percorso più lineare è una laurea in Scienze naturali, da integrare con studi più approfonditi di ornitologia», spiega Marco Mastrorilli. «Ma le strade possono essere le più disparate, perché non esiste una vera formazione standard: Alice Cipriani, per esempio, che lavora con me ai progetti di Noctua per la salvaguardia ambientale e mi affianca nei corsi nelle scuole, è partita da una laurea in biologia, la passione ha fatto il resto».

Cosa può fare invece un qualsiasi ragazzino per aiutare gli amati gufetti? «Allestire un nido adatto, per esempio. Esistono casette in legno per civette e allocchi già pronte. L’importante è sistemarle in luoghi molto tranquilli e defilati, i rapaci notturni possono rifugiarsi nell’angolo appartato di un giardino selvatico, ma di certo non si troverebbero a loro agio sul balcone di un condominio».

Penne, piume & co. Che la lezione di gufologia abbia inizio, dunque! I nostri giovani naturalisti di Orticola per prima cosa si trovano davanti un kit degno di Sherlock Holmes: lente d’ingrandimento, guanti di lattice usa e getta, righello e, soprattutto, misteriosi reperti contenuti in barattoli di vetro. Dopo una carrellata di immagini di civette, allocchi, barbagianni e quant’altro (a proposito, i gufi sono quelli con due bei ciuffi sulle orecchie), ognuno riceve una penna di rapace da osservare con la lente, per scoprirne la struttura, lo stelo rigido, le piumette... Un souvenir che a fine lezione si porta a casa, tanto più che nella tradizione popolare le penne di gufo sono anche un efficace portafortuna.

Poi si passa all’ascolto di tracce audio: improvvisamente, sembra di trovarsi in un bosco, echeggia l’inconfondibile “guu guu”, ma è incredibile quanto diversi siano i richiami, ogni uccello ha il suo. Sicuramente chi vive in campagna sa distinguerli senza bisogno di ripasso, un po’ come noi “urbani” riconosciamo le insegne dei negozi...

E poi viene il bello. Alla domanda: «Cosa mangiano i gufi?», fioccano le risposte. Niente erbe o patatine, piuttosto mosche, ragni e piccolissimi topolini. E, visto che di certo non hanno coltello e forchetta, i rapaci devono espellere pelliccia e ossicini sputando strane palline verdastre, il reperto nel vasetto: si chiama borra, alias vomito di gufo. Orrore! Ma anche incredibile divertimento! Ecco i giovani ornitologi, muniti di guanti, analizzare le borre con l’aiuto dell’esperto, per individuare il menu dei barbagianni. C’è bisogno di dirlo? È la parte più elettrizzante della lezione.

Le civette? Non sul comò! Alla fine, Harry Potter ha avuto un effetto positivo... «Con qualche riserva», conclude Mastrorilli. «Purtroppo con il film è passata anche l’idea che questi uccelli siano addomesticabili, c’è chi cerca di vendere barbagianni a 250 euro. Ma non è assolutamente possibile tenerli in casa, i rapaci mantengono una natura selvatica e hanno bisogno di almeno 7-8 chilometri di terreno per sopravvivere». Nessun dubbio, è molto meglio osservarli liberi, nei boschi.