Fermi tutti. Dev’essere accaduto qualcosa. Com’è che una volta - ma mica nel Giurassico - analisi logica e del periodo erano acquisite e metabolizzate, i complementi si recitavano come un mantra, e ora si parla di problemi di ortografia, sintassi e di povertà lessicale? Mai come ora - dopo la lettera dei 600 docenti universitari sul declino dell’italiano e le inevitabili reazioni a catena - il faro è puntato su scuola, insegnamento, e ragazzi che sembrano precipitati in un medioevo linguistico. Ci siamo (e quando) smarriti coniugazioni, congiuntivi, consecutio? Se le parole indicano le cose, stiamo perdendo la realtà e la sua rappresentazione? Certo, questo argomento meriterebbe tomi su tomi. Certo, i ragazzi non sono tutti uguali e nemmeno gli insegnanti. Certo, da sempre il mondo si divide in chi maneggia bene le regole linguistiche e chi un po’ meno - ripenso con raccapriccio all’anno in cui ho insegnato in una scuola privata e all’analisi logica che un mio alunno ha fatto della frase “nel lago c’è una barca” - ma qui pare la selva oscura.

Punto n. 1: dov’è finito l’italiano?

È una delle domande che faccio a Marilù Oliva, scrittrice (tra gli altri Questo libro non esiste, Elliot) e insegnante di lettere, ora in un istituto professionale a Bologna. A parte i distinguo del caso (la situazione dell’italiano è molto diversa da scuola a scuola) la risposta è chiara: «La lingua si è un po’ persa; l’evoluzione è una cosa normalissima ma penso che l’italiano abbia subito un eccesso di semplificazione, un po’ per le nuove tecnologie un po’ perché è stato trascurato anche da chi doveva trasmetterlo». Ovvero? «Chiunque detenga la parola: politici, personaggi televisivi… Dalla tv arriva un impoverimento, riceviamo messaggi banalizzati quando dovremmo essere stimolati a seguire discorsi un po’ più complessi. L’italiano è svilito dall’alto. Bisognerebbe reimpostare tutto». A lei che li frequenta tutti i giorni, che per la grammatica parte dai libri letti o dai temi svolti prima che dai testi canonici, chiedo che problemi nota. «Il principale, e riguarda un po’ tutte le materie, è la concentrazione». Perché? «Sono abituati a essere multitasking, ad avere la mente impegnata su vari livelli, sono intelligenti, ipertecnologici, ma fanno fatica a stare a lungo su qualcosa. Al professionale vedo che arrivano ragazzi impreparati: ho dovuto ricominciare dai modi verbali, che sono fondamentali perché ti danno la prospettiva. Si devono riprendere discorsi fatti da altri, ma non per responsabilità degli insegnanti dei corsi precedenti. Credo sia proprio questa loro distrazione che non fa sedimentare». Altro? «La riduzione delle ore scolastiche che penalizza molto. Cui si aggiunge la refrattarietà della generazione del “tutto e subito” nei confronti delle nozioni basate sulla memoria, tipo le regole della lingua, che reputano una perdita di tempo».

Punto n. 2: Grammatica e dintorni

Ne parlo con Massimo Birattari, che da anni se ne occupa. Un passato da redattore e consulente editoriale e un presente da scrittore. Oltre a manuali pratici, ha pubblicato libri per ragazzi, grammatiche sotto forma di romanzo con trame divertenti, quiz ed esercizi (ha un blog: grammaland.it e tra poco uscirà Come si fa il tema, con una sezione sulla prova scritta di italiano alla maturità, Feltrinelli). Non è un insegnante, come precisa (non ha la fatica costante della trasmissione del sapere) ma uno che occupa una posizione privilegiata e incontra gli studenti (dalla terza elementare alla terza media) che sui suoi libri hanno lavorato con docenti appassionati, e ce ne sono molti. Scherzando sostiene che la sua missione è «far capire che tappezziere e carrozziere si scrivono con due zeta, termini che parecchi sbagliano». Altri inciampi tipici? «La i nei plurali (magari la mettono dove non va, come in frecce), i presenti indicativi come dà, va, fa o gli imperativi (da’, va’, fa’) che creano confusione». E il congiuntivo? «Può essere un problema ma non è vero che sta scomparendo». Ma dov’è l’empasse? «C’è una parte di fatica nella grammatica che è inevitabile», replica Birattari. «Ci sono genitori che mi chiedono perché i libri di scuola non sono divertenti come i miei. Non possiamo pensare che sia tutto un gioco. Fondamentale però è evitare gli sforzi inutili. Ricevo telefonate da amici e parenti che mi leggono pezzi dei compiti dei figli e mi chiedono “ma questo secondo te che complemento è?” e magari anch’io devo fare mente locale. A volte sembra che l’analisi logica sia fatta per mettere in difficoltà invece che per far capire come funzionano le cose. Per me è sensatissimo insistere sugli aspetti fondamentali, quelli necessari per esprimerti bene». Dove sta il problema? Alle elementari, alle medie, dopo? «Non è detto che le carenze siano nel ciclo dell’obbligo e che rimangano alle superiori. Può essere. Ma può anche essere che i ragazzi si siano dimenticati cose che sapevano. La scrittura è molto coltivata alle elementari e alle medie, meno alle superiori e all’università». Ma quindi, come si impara, si disimpara? «Sì, ne sono convinto», risponde Birattari, «L’analfabetismo di ritorno è legato alla scarsa frequentazione della parola scritta: libri, giornali... Siamo in un mondo in cui si scrive e si legge infinitamente più di quando ero studente io, ma un conto è postare su Facebook o chattare, un conto è un testo articolato. Per scrivere cose complesse si devono leggere cose altrettanto complesse. Altrimenti si disimpara a scrivere e a capire. Non si è in grado di affrontare qualcosa di complicato semplicemente perché si è smesso di leggere, cosa che purtroppo accade intorno alla seconda media».

Punto n. 3: Cosa fare?

Intanto, e riguarda tutti, parlare e scrivere bene. E leggere. In Italia è una débâcle. Non leggono i ragazzi ma prima di tutto non leggono gli adulti. Quindi leggere a voce alta ai figli piccoli, come consiglia Birattari. Abituare i ragazzi ai libri come sostiene (e fa ogni giorno) Oliva: «Leggere è un’implicita e costante esercitazione di grammatica». Che aggiunge: «Altra cosa necessaria è educarli alla complessità. Deragliare rispetto alla strada imboccata di semplificazione, banalizzazione che loro cercano. Perché la complessità dell’italiano rispecchia anche quella della vita, e una volta che li aiuti a capirla poi la apprezzano». Ma c’è un altro punto fondamentale. Che non ha niente a che fare con scuola e voti, ma col nostro posto nel mondo. «Saper argomentare», aggiunge Birattari, «scrivere bene, ci permette di esprimere ciò che pensiamo, far valere le nostre ragioni, essere cittadini attivi e consapevoli». «Lo dico sempre nella prima lezione dell’anno», conclude Oliva, «parlare bene serve a difendersi nella vita». Vi sembra poco?