Iniziamo con una parete spoglia ricoperta di foglie d’oro. Ci sono indumenti neri appesi a un attaccapanni che risaltano proprio grazie a quel contrasto tra colore e non colore, simbolo di una scena che allude ad una crisi storica e personale. Siamo a Venezia, a Ca’ Corner della Regina, un palazzo settecentesco situato nel sestiere di Santa Croce e affacciato sul Canal Grande, poco distante da Ca’ Pesaro e da Ca’ d’Oro. Quella che abbiamo di fronte è l’installazione Senza titolo (Tragedia civile), il ritratto sacrificato ed assente di un artista che esprime in tal modo la sua personale e sofferta condizione esistenziale e creativa. A realizzarla nel 1975 fu Jannis Kounellis (Pireo, 1936 – Roma, 2017) che, proprio in occasione della 58esima Biennale d’Arte veneziana, viene omaggiato con una prima retrospettiva a due anni dalla sua morte proprio in quegli spazi minimali e magici che dal 2011 sono la sede della Fondazione Prada. Quella parete che troverete al piano nobile è il simbolo – come ci ricorda Germano Celant, curatore della mostra – di una vera e propria scissione tra passato e presente che ha ancora qualche speranza di ricomporsi, evidenziata a sua volta dalla presenza di una lampada ad acetilene accesa.

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AGOSTINO OSIO / Courtesy Fondazione Prada

Il progetto, sviluppato con la collaborazione dell’Archivio Kounellis, riunisce più di sessanta lavori dal 1959 al 2015, provenienti da musei e importanti collezioni private in Italia e all’estero. L’intera mostra va a ricostruire la sua storia artistica ed espositiva cercando di stabilire un dialogo tra le opere e gli spazi settecenteschi di quel luogo. Il fumo e il fuoco, ognuno complementare all’altro, li ritroviamo in molte di quelle stanze e funzionano - aggiunge sempre Celant - sia come residuo di un processo pittorico di transito energetico, sia come prova della trasformazione delle sostanze e dello scorrere del tempo. Muovendovi di stanza in stanza, percepirete il linguaggio dell’artista, capace di passare, almeno con le sue prime opere, da quello scritto e pittorico a quello fisico e ambientale in quelle successive. In tutta la sua ricerca riuscì a sviluppare una relazione tragica e personale con la cultura e la storia, evitando però sempre ogni atteggiamento aulico e reverenziale. Nei suoi primi lavori, presentati nel primo piano nobile del palazzo veneziano, è il linguaggio urbano ad avere il sopravvento. Lo scoprì vivendo a Roma, una città che amò intensamente fino alla sua morte. Ecco, quindi, tutta una serie di scritte, di segnali e di insegne visti per strada e da lui “portati” su quelle enormi tele che attraggono e confondono insieme, veri e propri veicoli di una scomposizione del suo linguaggio che è sempre in accordo con la frammentazione del reale.

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AGOSTINO OSIO / Courtesy Fondazione Prada

In un secondo momento - leggiamo nel prezioso catalogo progettato dallo studio 2×4 di New York e pubblicato da Fondazione Prada - decise poi di sperimentare il sonoro esplorando quel mondo che in un suo dipinto (è tutto verde quello presente in mostra), si traduce in uno spartito da musicare o da danzare. Se nel 1960 recitava da solo le sue lettere su tela, dieci anni più tardi lo faceva in presenza di un musicista o di una ballerina. Continuò, nel frattempo, la sua indagine della percezione olfattiva: iniziata con il caffè (splendida e profumata l’installazione presente nella scala interna) e continuata con la grappa, una maniera di uscire dai limiti illusori del quadro per poi congiungersi con il caos vitale della realtà nei cui confronti fu sempre abbastanza insofferente. Emblema di insofferenza per eccellenza furono per lui le porte che qui troverete in tre diverse declinazioni. I varchi tra le stanze sono chiusi con pietre, legno, macchine da cucire e tondelli di ferro, così da rendere inaccessibili alcuni ambienti, ma al solo fine di esaltarne la loro dimensione più sconosciuta. Il passato è presente ed è rappresentato con un insieme incompleto di frammenti di statue classiche, mentre in altri lavori l’eredità greco-romana è esplorata attraverso la maschera, come nell’installazione del 1973 costituita da una cornice in legno su cui sono disposti calchi in gesso di volti. A fine percorso, troverete le grandi installazioni che realizzò dagli anni Ottanta, insiemi che inglobano mensole o costruzioni metalliche che contengono oggetti di varia provenienza: da calchi in gesso a pietre, da cappotti a bicchieri e ingranaggi meccanici che esplorano i temi della gravità e dell’equilibrio in confronto con lo spazio architettonico e urbano. Le più suggestive? Sicuramente gli armadi di diversi colori e forme appesi sul soffitto, un intervento da lui realizzato tra il 1993 e il 2008 esposto per la prima volta due anni fa al Palazzo Belmonte Riso di Palermo. Un’opera imponente che sfida le leggi di gravità e che meglio rappresenta il suo essere stato sempre un uomo (prima che un artista) controcorrente, simbolo di un’arte intensa e fluida che ingloba componenti naturali e storiche, corporali e simboliche.

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AGOSTINO OSIO / Fondazione Prada