Nella valley bolognese, ossia quella zona industriale specializzata in motori, packaging e agrifood, ha preso vita un hub che unisce start-up, corporate e investitori, che dimostra (fisicamente) come per queste tre realtà sia possibile lavorare insieme e creare innovazione. A costruirlo è stata, assieme al resto del team di GELLIFY, Lucia Cherchia: 44 anni, formazione da ingegnere meccanico, percorso professionale iniziato nel settore aerospaziale americano (Alenia Difesa), poi in quello domestico con Electrolux Svezia, per cui ha anche costruito l'Innovation Hub. Eletta tra le Inspiring Fifty Italy 2018, Lucia Chierchia è Managing Partner, con focus su open innovation e industry 4.0, di GELLIFY, la piattaforma italiana che supporta e connette start-up altamente tecnologiche.

Ma partiamo dalle basi: che cos’è una start-up? Lucia, se dovesse spiegarlo a un bambino, direbbe che: «Una start-up è una nuova azienda in costruzione. Ad essere in fieri, non è solo la nuova offerta da portare sul mercato, ma l’azienda stessa». Il ruolo di GELLIFY consiste nel supportare le start-up focalizzate sul B2B digitale, ossia quelle che hanno come clienti un business o un’azienda e non il consumatore finale, che servano ad esempio per far funzionare meglio una fabbrica. Il supporto di GELLIFY passa attraverso la gellificazione, cioè la costruzione fisica degli asset mancanti all’azienda. L'obiettivo è colmare le mancanze delle start-up e renderle più appetibili, solide e convincenti agli occhi di chi vuole investire. Il Phygital Hub è l’ultimo pezzo della risposta, perché mostra alle aziende interessate il potenziale delle tecnologie emergenti, attraverso casi pratici.

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Lucia Chierchia

Far nascere questa realtà nel contesto italiano è stimolante ma complicato. Secondo Lucia l’Italia ha: «Un potenziale creativo pazzesco, una storia industriale importante, forti competenze in ambito di meccatronica e uno spunto creativo che, se non valorizziamo, rischia di soffocare». Uno dei valori portanti su cui occorre puntare è quello della diversità, non solo di genere, ma anche di età ed etnia. La diversità è un valore, dal momento che: «Una donna vedrà le cose in modo diverso da un uomo, così come un italiano da un tedesco o un millennial da me. La diversità ci dà un paio di occhiali per guardare i progetti, per confrontarci. Va alimentata perché è il motore dell’innovazione. Se la pensiamo tutti allo stesso modo, come può esserci progresso?».

E per la diversità di genere a che punto siamo in Italia? «Io ho fatto una scelta, quando mi sono laureata ho deciso di non lavorare per un’azienda italiana. Da ingegnere meccanico donna, cioè da pecora nera (si parla poi del 1999), ho scelto da subito un contesto internazionale. Prima un’azienda americana e poi svedese. Perciò non ho vissuto le difficoltà di una donna che lavora in Italia e che ricopre ruoli importanti in un settore altamente tecnologico e prevalentemente maschile. Nella mia carriera non mi sono mai sentita donna, mi sono sentita un’ingegnere, una persona».

Il problema però, secondo Lucia, ha radici più profonde: «Non mi piace quando vengono accusati gli uomini perché non assumono le donne. In un’azienda tecnologica italiana, spesso il problema non è il maschilismo: è che di donne da assumere non ce ne sono». Lucia si occupa anche di orientamento nei percorsi universitari e questo le permette una prospettiva ravvicinata: «Se le ragazze non si iscrivono a facoltà come ingegneria, informatica, fisica o chimica, non ci sono donne da assumere per quelle aziende che richiedono competenze tecnico scientifiche. Io credo che il problema sia a monte, legato molto alle famiglie: abbiamo ancora contesti culturali dove mi sento dire che le donne devono seguire certi percorsi, ad esempio una laurea in lettere, per rispettare uno "status symbol"».

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Phygital Hub Gellify

Entro il 2025 in Europa nasceranno 7 milioni di posti di lavoro soprattutto in campo scientifico e tecnologico, che rischiano quindi di non essere sfruttati da quelle che saranno le donne di domani. Le soluzioni ci sono: diverse iniziative a livello scolastico mostrano cosa vuol dire fare l’ingegnere in azienda, attraverso visite, incontri ed esperienze in hub. «Il nostro Phygital Hub a Bologna per l’industria 4.0 non è solo per le aziende ma anche per i giovani. Vorrei che venissero qua a vedere cosa significa fare l’ingegnere, toccare con mano, capire» racconta Lucia. Nell’hub di 250 mq convivono: esoscheletri per il sostegno degli arti durante il lavoro; robot per l'educazione, dalle elementari all'università; algoritmi intelligenti applicati a sistemi industriali; un modello di fabbrica funzionate, costruito con il lego dagli studenti del Politecnico di Milano, su cui provare le tecnologie delle start-up.

Ma non basta creare dei sogni, occorre anche fare un lavoro sulla mentalità delle famiglie. Le scuole dovrebbero chiamare chi viene dall’impresa e permettere loro di raccontare, condividere le proprie esperienze con i genitori. «Quello che vorrei direi ai e alle giovani è che bisogna avere un sogno, che non deve essere per forza quello di fare l'ingegnere d'accordo, ma si deve scegliere una strada e prenderla. Anche cambiarla in corsa, ma lottare per quel sogno, a costo di essere la pecora nera».