Vasco Dentro – Prova ad essere me è un libro fotografico scattato in giro per l’Italia, che racconta quelle persone che vedono in Vasco Rossi una divinità, un’ispirazione, un lavoro. I sosia di Vasco Rossi si travestono per passione ma, in alcuni casi, arrivano a fare cento date di tour in giro per la penisola. Ray Banhoff li ritrae, microfono in mano o seduti in casa, con cappellino, giacca di pelle, occhiali neri. Ray li immortala e scrive le loro storie, arrivando alle persone in carne e ossa, oltre il mito di Vasco. Come ogni buon libro, Vasco Dentro, racconta un po’ anche la storia di chi lo scrive. Parla, in un certo senso, d’amore.

Martina Spagnoli nasce a Livorno, lavora come stylist, fa cinema, poi inizia a scattare per riviste di moda. Il forte legame con la fotografia arriva con gli anni, insieme a un figlio, nel 2007. Mentre lavora come fotografa freelance tra Roma, Firenze, e Milano, incontra Ray Banhoff (che lei chiama Gianluca). Anche lui appassionato di fotografia, inizia a scrivere per la stampa all’università e, di pari passo al giornalista free lance, scatta e lavora come assistente fotografo.

Quando nel 2014 si incontrano, Martina comincia a occuparsi del lavoro di Ray, ci si appassiona e si riscopre nell’editing. Lui passa le sue giornate a fotografare e, quando si ritrovano a casa, gli scatti passano di mano a Martina, che prende la direzione artistica del lavoro con consigli e decisioni. Nel 2015 Martina pubblica il primo libro di Ray, Banhoff Street vol.1 FIE, una raccolta di più di 1200 foto con il telefono a donne per le strade di Milano. Sono una coppia di quelle che lavora bene insieme, sanno separare sentimenti e lavoro ma, conoscendosi a menadito, leggono perfettamente l’uno nell'impegno artistico dell’altro, consigliandosi, perfezionandosi. Fondamentale per il progetto di Martina e Ray è stato Stefano Bianchi di Crowdbooks, insieme hanno costruito Vasco Dentro - Prova ad essere me, un romanzo itinerante autobiografico, che arriverà nelle librerie a ottobre.

Ma partiamo dal principio, nel 2016 Ray rimane senza lavoro e Martina gli propone di fare un viaggio…

Ray: Eravamo insieme in vacanza in Puglia, io avevo appena lasciato Milano dopo 10 anni che ci vivevo, era un momento un po’ particolare, dovevo un attimo ricollocarmi. Per caso una sera ci imbattiamo in una cover band, in un paesino minuscolo sul mare, c’era questo tizio, un muratore di Gagliano del Capo, alto un metro e cinquanta, che cantava in dialetto pugliese, era spettacolare, un attimo di catarsi. C’era tutto il paese: i vecchietti, le coppie, i bambini allattati, i ragazzini e tutti erano commossi. Anche Marti, pur non essendo fan, rimase scottata e si venne via così, un po’…

Martina: Scottata perché quando siamo andati lì il nostro intento era quello di prenderci un gelato, invece la mattina dopo Ray mi ha detto: “Cavolo voglio andare a fotografare questo tizio”. Da lì è nato tutto, l’abbiamo contattato, siamo andati a scattare…

R: Abbiamo scoperto che di Vasco ce n’erano decine in Italia. Un po’ grazie ad amici che seguono le cover band; un po’ via Facebook; poi ogni volta che ne conoscevo uno mi dava il contatto per quell’altro. Tra di loro i sosia si conoscono e ci sono anche rivalità: alcuni si stimano, altri si fanno la guerra. Due si sono querelati per il nome della band, perché ce l’hanno uguale, sono in causa per chi lo può usare e chi no. Insomma c’è tutto un mondo dietro. Ci sono i professionisti che fanno anche 100 concerti l’anno e poi ci sono quelli amatoriali che cantano alla seratina. Per tanti è un secondo lavoro, a volte un primo e ci tirano fuori uno stipendio.

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Ray Banhoff
Vasco Dentro, Ray Banhoff

Quindi vi siete buttati insieme nel progetto

R: Sì, ci credevamo entrambi tantissimo e per riuscire ad autofinanziare il progetto ci siamo organizzati in tutti i modi. Devi considerare che per me quel momento lì era particolare perché ero rimasto disoccupato. Sono venuto via da Milano con la mia liquidazione e ho avuto difficoltà per il primo anno a ricollocarmi, non avevo una stabilità economica, non lavoravo, ero in panico e i soldi stavano finendo. I pochi che avevo li buttavo in questi viaggi, negli alberghetti.

M: Quello che mi ha colpito di questo progetto non è stato tanto il discorso sosia ma quanto queste persone ci tenessero, il trasporto, il fatto che per ognuno ci fosse una storia particolare dietro. L’idea del libro è venuta poi, dopo il primo viaggio, quando cominciavano a esserci già quei 6/7 soggetti davvero belli. Io sono affezionata ai primi Vasco. Ray arrivava a casa con questa quantità enorme di foto e io me le guardavo tutte, le sceglievo, suddividevo in categorie. Erano molto belle le storie che lui mi raccontava ed è ascoltandole che ho detto: “Ok questo dovrebbe diventare un libro”. Non era solo un lavoro fotografico, c’era qualcosa in più da raccontare, per cui la penna di Ray era perfetta.

A quale storia dei Vasco siete più affezionati?

M: Quelli che abbiamo fatto insieme, cioè quando c’ero anche io a scattare con lui.

R: Forse la svolta è stato un signore di Sant’Arcangelo di Romagna, Dino Moroni “Arcano”. Si va io e Martina per scattare e ci apre la porta quest'uomo sui settant’anni. Consiglio su Youtube la sua canzone Vasco non Vasco, per sentire la potenza vocale e la storia della sua somiglianza con il cantante. In più s’è scoperto che lui aveva fondato un locale storico per tutti i vaschisti d’Italia e che è stato il primo sosia in assoluto. Comunque, in questa casa con i fiori finti, le foto di Padre Pio, di Vasco, la moglie che stirava, Dino, buono come il pane, che si faceva fotografare in tutti i modi. Mi ha aiutato a riscoprire l’energia di fare il mio lavoro, mentre prima ero a un punto morto. Marti è stata fondamentale perché col suo tatto, col suo modo di fare, metteva sempre tutti a loro agio, le persone empatizzano subito con lei. Me la sarei voluta portare in giro anche in altri lavori.

M: La svolta con Dino è stata che con la prima parte dei Vasco c’era un’attrazione a livello d’immagine. Ci piacevano questi personaggi che si travestivano e cambiavano personalità, era accattivante fotografarli. Con Dino abbiamo capito che il lavoro poteva avere uno spessore diverso, umano. Io non avevo idea di che impatto Vasco avesse dal punto di vista popolare, di queste persone che si sono riscattate attraverso lui. Come ci credono, come si sentono grazie ai testi delle sue canzoni. Non erano solo macchiette divertenti da fotografare, ci teniamo che questo messaggio passi.

R: Sono personaggi un po’ borderline, un po’ freak ma non li ho mai fotografati con questo taglio da sfottò, io mi riconoscevo in ognuno di loro. Anzi in quella fase lì io nemmeno avevo un lavoro, mentre loro sì e ne erano davvero soddisfatti, per questo li stimavo profondamente.

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Ry Banhoff
Vasco Dentro, Ray Banhoff

Alla base di Vasco Dentro c’è una storia che non c’entra nulla con Vasco

R: C’è tanto di me in questo libro. È un libro di fotografia scritto con un piglio gonzo, letterario. Solitamente i libri fotografici sono foto, punto. In Vasco Dentro invece il testo non è didascalico, è metà del lavoro. E qui il riscatto mio va in parallelo con quello dei Vasco.

M: Mi permetto di aggiungere, per Gianluca c’è la logica del riscatto, per me c’è quella dell’amore, perché io mi sono veramente innamorata di questo lavoro, del suo modo di fotografare e di scrivere. Poter pensare questo lavoro e vederlo pian piano realizzato. Io magari direttamente non sono coinvolta perché la storia di quei giorni è una storia sua personale…

R: Però senza di lei non sarebbe diventato un libro di sicuro, altrimenti l’avrei lasciato in un hard disk per 10 anni, sarebbe mancata la visione. Questo è un limite che hai sempre quando fai un lavoro tuo. Marti è stata in grado di costruirlo, di dargli una forma. Io portavo cose informi e lei costruiva. Ho imparato più da lei sulla fotografia che da chiunque altro.

Martina sta a te come il pubblico sta ai Vasco: è fondamentale avere qualcuno che creda nel tuo lavoro, che creda tu esista veramente e valga qualcosa

M: Sì ma questo non vuol dire che non l’abbia mai stroncato, la prima volta che gli ho detto “qui non ci siamo proprio” non ci sono andata con i piedi di piombo.

R:Io ci rimasi malissimo. Ma poi ho capito che la differenza qui è che se io l’avessi fatto vedere a un mio amico lui questa cosa non me l’avrebbe saputa dire, lei ha saputo farlo perché conosce il progetto, conosce me, mi stava dicendo: “Ma te qui che cazzo hai fatto? Questa roba non c’entra nulla” ed è stato fondamentale perché mi sono rimesso il binario giusto. Noi siamo una coppia quindi alla fine è tutto molto più semplice, questo permette di scavalcare mille formalità. Nel frattempo ci sono anche le mille crisi di tutte le coppie, tra alti e bassi.

Martina, ti fai mai fotografare da Ray?

R: Fare le foto a Marti è la cosa più difficile del mondo, l’unica chance sono i selfie che fa lei e che reputa pubblicabili. Quelle che piacciono a me, lei le odia.

M: È un limite su cui sto lavorando.

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Ray Banhoff
Ray Banhoff e Martina Spagnoli