Metà anni 90. C’è una scena all’inizio di Derry Girls, l’irriverente serie di Netflix, in cui la famiglia della sedicenne Erin è radunata nel tinello: padre, madre, figlia, nonno, lattante, zia e cugina, tutti davanti al tg a commentare chiassosamente lo scoppio di una bomba sulla strada per l’istituto cattolico frequentato dalle ragazze. La mamma teme di non potersi sbarazzare di loro dopo la pausa estiva, la zia vede sfumare un appuntamento, il nonno bofonchia, le teen- ager tutte ormoni pensano ai ragazzi. Siamo a Derry (Londonderry per i lealisti), «un angolino problematico nel nordovest dell’Irlanda». Dolores O’Riordan e i suoi Cranberries tappezzano le camerette, gli scuolabus sono ispezionati da soldati britannici, armati sì fino ai denti, ma anche sexy. Da subito capiamo che Erin e le sue amiche sono cresciute in uno stato di polizia, tra l’ossessione per la religione, quella per il sesso, il maschilismo, il terrorismo. Veniamo anche a sapere che la madre del loro compagno James era andata in Gran Bretagna ad abortire ma che, poi, aveva cambiato idea.

Ottobre 2019. A poco più di 20 anni dallo smantellamento dei 500 chilometri di filo spinato che, fino agli Accordi del Venerdì Santo del 1998, avevano segnato gli hard borders, i confini sorvegliati tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda, gli irlandesi sono tornati a temere per la propria libertà di movimento, l’economia (se sarà smantellata l’unione doganale) e, c’è chi dice, anche la pace. L’incubo è la Brexit: il neo premier britannico Boris Johnson ha promesso («costi quel che costi») di portare a termine entro il 31 ottobre il processo innescato dal referendum del 2016. E per evitare che si perda tempo a discuterne ha addirittura sospeso il Parlamento per due mesi. Ma le paure della piccola enclave di smeraldo rischiano di trasformarsi in una nuova questione irlandese che, di fatto, andrà a condizionare la demografia della Vecchia Europa: le richieste di passaporti per la Repubblica d’Irlanda sono già schizzate in alto (quintuplicate dalla Gran Bretagna, duplicate dal Nord). Inoltre, in caso di no deal, non è da escludere che le due Irlande possano indire un referendum e decidere di tornare a essere una sola nazione. La confusione è tanta, ma se serve il caos per partorire una stella danzante, come diceva Nietzsche, questo per le due Irlande è un momento di fermento creativo. Soprattutto al femminile.

Un vero laboratorio L’autrice di Derry Girls è Lisa McGee, classe 1979, cresciuta a Derry, background cattolico, umorismo nero. In un’intervista ha spiegato così l’enorme successo della serie: «Penso che i nordirlandesi non si fossero mai visti rappresentati così prima», dove “così” sta per «in modo onesto, ma dissacrante». McGee fa parte di quella nuova generazione di autrici irlandesi e nordirlandesi che sta interpretando lo spirito di un Paese diviso in due ma che in 15 anni ha fatto grandi passi avanti sulle battaglie civili: il primo ministro Leo Varadkar è figlio di immigrati indiani e dichiaratamente omosessuale, i divorzi sono più rapidi, i matrimoni gay sono stati legalizzati. Nel 2018, poi, le donne con il 66,4%, hanno vinto il referendum pro-aborto, pratica fino ad allora illegale nella Repubblica di Irlanda anche in caso di stupro. Nel caso di uno storico Leave Britain, l’ago della bilancia potrebbero essere le ragazze: nel 2016, il 73% delle cittadine del Nord sotto i 45 anni aveva votato per restare nell’Ue, molto sopra la media del 56%. Nel post crisi economica, le (degne) eredi di Maeve Brennan, Catherine Dunne e Edna O’Brien (che oggi a 88 anni osa ancora, raccontando nel suo ultimo libro, Girl, di una bambina rapita da Boko Haram) prediligono argomenti come la malattia, l’indipendenza sessuale e lavorativa, la maternità, le dipendenze, il corpo, ispirandosi spesso alle proprie storie personali, sperimentando il linguaggio e mescolando liberamente i generi.

Essere o non essere madri La maternità è da sempre uno dei temi più controversi nell’Eire che, fino al 1996, ha ospitato le Case Magdalene, istituti dove la Chiesa cattolica accoglieva a forza quelle ragazze considerate per condotta, perché madri nubili o solo perché troppo belle o brutte, indegne di una propria indipendenza. Nel romanzo Peccati gloriosi (Bompiani, 2017), la trentottenne Lisa McInerney, considerata la «Irvine Welsh irlandese», narra di Maureen, una sessantenne alla quale era stato sottratto un figlio perché ritenuta inadatta. Anche l’accademica Emilie Pine, 42 anni, nella raccolta di saggi personali Notes to Self (inedita in Italia), strepitoso successo editoriale che ha vinto l’Irish Book of the Year 2018, parla del desiderio di maternità, di un aborto e della decisione, presa con il partner, di non tentare la Fivet (fecondazione in vitro) per non compromettere il loro rapporto. Il libro è stato pubblicato da una piccola ma lungimirante casa editrice, la Tramp Press, gestita non a caso da due donne, Lisa Coen e Sarah Davis-Goff, autrice anche del romanzo di zombie post apocalittico Last Ones Left Alive.

Passato violento Dimenticare i Troubles, i quasi trent’anni di conflitto tra Unionisti (legati alla Gran Bretagna e in genere protestanti) e Nazionalisti (fautori di una riunione delle due Irlande, a maggioranza cattolica), e i suoi oltre tremila morti, è impossibile. In quell’epoca Anna Burns, 57 anni, la prima nordirlandese a vincere il Booker Prize, ha ambientato l’originale Milkman (appena uscito da Keller), storia dolorosa e a tratti ironica della narratrice, detta «sorella di mezzo», che subisce le violenze di un uomo di mezza età, il «lattaio» del titolo. Anche Lyra McKee, la ventinovenne giornalista e attivista Lgbtqi che lo scorso aprile è stata uccisa a Derry durante gli scontri tra la polizia e la Nuova Ira (l’Irish Republican Army di nuovo attiva dal 2012), ha indagato quegli anni. Il suo libro, Angels With Blue Faces, su un cold case ai tempi dei Troubles, è uscito postumo. Un altro genere di dolore è quello sperimentato da Sinéad Gleeson in Constellations. Reflections from Life (Picador), bellissimi e apprezzati saggi dove racconta di quando, a 13 anni, le diagnosticano una grave artrite e, a 28, la leucemia. Senza sentimentalismi, Gleeson è riuscita a decostruire gli ideali del corpo femminile imposti dall’esterno, trasformando una storia personale in un discorso politico.

Antipatiche e bravissime Se è vero che le millennial sono ormai diventate un archetipo - intelligenti e brillanti, ma anche immature e piuttosto antipatiche - parte del merito va a Sally Rooney, 28 anni, la scrittrice che finora è riuscita meglio a dipingere una generazione che aveva ricevuto solo caricature: con Parlarne tra amici (Einaudi, 2017) prima e Persone normali (Einaudi, 2019) poi, ha raccontato la sostanziale normalità dei venti-trentenni. Attorno a lei, che però la evita, si è addensata una folla multiforme di fan che va da Taylor Swift al sindaco di Milano Beppe Sala, mentre per i librai newyorkesi è “Sally Rooney Fever”. Un tipo di sgradevolezza differente è quella che rimane attaccata alla protagonista di Una ragazza lasciata a metà (Safarà, 2016) della quarantatreenne Eimear McBride, un flusso lavico di coscienza, spesso sconfinante nella poesia, che esce dalla testa di una ragazza che si trasferisce a Dublino per «essere qualcun’altra», lasciando a casa madre e fratello disabile. Da noi è appena uscito il secondo romanzo, Bohémien minori (La nave di Teseo). Sono ragazze che non stanno simpatiche, ma che ci piacciono moltissimo perché rappresentano una nuova marea che, quando se ne presenterà l’occasione, potrà decidere il destino di un intero continente. La loro migliore qualità, come ha sottolineato un’altra amata autrice irlandese, Anne Enright, riferendosi a Gleeson, è credere nella «possibilità reale di un cambiamento significativo». Oggi più che mai, le donne irlandesi contano.