La prospettiva sulla femminilità sta attraversando un periodo di grandi stravolgimenti, anche per le donne di origine africana che combattono in tutto il mondo i pregiudizi razziali e di genere. Non a caso, l’immagine ufficiale del prossimo Paris Photo è dell’attivista e fotografa sudafricana Zanele Muholi. Un vero manifesto di resistenza che accomuna gli obiettivi di Mfon: Women Photographers of the African Diaspora. Un grande collettivo, nato dagli sforzi ostinati di Adama Delphine Fawundu e Laylah Amatullah Barrayn, con il contributo di centinaia di fotografi: donne, di origine africana, sessualità non binaria e identità libera da stereotipi. Sguardi pronti a fornire una prospettiva diversa sul mondo, la femminilità e molte espressioni di virilità/mascolinità che ne ostacolano l'emancipazione. Un percorso pieno di sfide, dal contributo di 118 fotografe di 27 nazioni pubblicate nelle pagine di una grande antologia nel 2017, alla oltre 50 fotografe che al momento animano In Conversation: Visual Meditations on Black Masculinity, in due sale dell'African American Museum di Filadelfia (fino al 1 febbraio 2020).

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La prima istituzione di una grande città degli Stati Uniti, nata negli anni Settanta per preservare, interpretare ed esibire il patrimonio culturale degli afro-americani, accoglie la vivace conversazione visuale delle fotografe del collettivo. Un dialogo nato per sfidare e destabilizzare l’egemonia di mascolinità e identità nera, con una visione più articolata e complessa di stereotipi, modelli negativi e divinità contemporanee, legate all’atleta nero-super star o al membro minaccioso di una gang, dalla star del cinema al rapper indignato. Divinità contemporanee sfidate in modo brillante sin dall’immagine guida della mostra, scattata dalla fotografa di Detroit Bre'Ann White al giovane modello newyorkese Nate Carty e rapper Dáme Fuego, o dallo scatto che mette a nudo Gary Dourdan (tra le star della serie CSI), grazie a un'esperta di epoche mitiche come Delphine Diallo. Un modo stimolante di entrare nel discorso e sfidare la visione più patriarcale di virilità e mascolinità nera, in conflitto con la politica razziale e di genere, risvegliata dai movimenti per i diritti civili e la lunga marcia LGBT, partita da Stonewall con amore e residenza.

Lo sguardo innovativo che il museo AAMP offre alle storie degli afro-americani e il loro ruolo nella fondazione della nazione, attraverso la mostra permanente Audacious Freedom: African American in Philadelphia 1776-1876, diventa audace con l'esposizione nelle gallerie superiori, curata da donne di Mfon, come Adama Delphine Fawundu e Laylah Amatullah Barrayn. Artista nata a Brooklyn, da genitori della Sierra Leone e della Guinea Equatoriale, con dieci anni d'insegnamento nella scuola pubblica del South Bronx e Harlem, decisa a dar voce alle donne come lei, mentre cresce tre figli maschi nella New York di oggi, la prima. Documentarista e ritrattista pluripremiata, con esperienza ventennale e frequenti collaborazioni con New York Times, la seconda.

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© Salimah Ali / Courtesy: autore, Mfon: Women Photographers of the African Diaspora,The African American Museum in Philadelphia, for “In Conversation: Visual Meditations on Black Masculinity”
Salimah Ali, Teddy P1

La sede di molte opere d'arte rivoluzionarie realizzate da artisti neri, accoglie per la prima volta quella di persone non binarie e donne di colore, come Collette Fournier e Salimah Ali. Le pareti delle gallerie si aprono a un arazzo di nero ed espressione di se, dall’insolito punto di visto (di spalle) che flirta con il mistero dell’identità con i Goombay Boys di Melissa Alcena, a quello che visualizza altre prospettive, con i ragazzi della Favela dove è nata e cresciuta la madre della fotografa brasiliana Valda Nogueira, scomparsa di recente a Rio.

Stimoli e distanze, geografiche ed esistenziali, articolano la conversazione visuale sulla mascolinità nera, spaziando dai colori vivaci della Nigeria contemporanea di Tolani Alli, a quelli della West Indian American Day Parade di Jana Williams, mentre le fotografie di famiglia della madre etiope di Yodith Dammlash, scansionate, combinate e sovrapposte con collage digitali, rielaborano storie perdute di momenti di gioia e dolore. Nata in Giamaica e cresciuta nel New Jersey, Samantha Box documenta da anni la comunità LGBTQ di New York e le piste da ballo della sottocultura newyorchese aperta a gay afroamericani, ispanici e donne transgender. Posti sicuri in cui rifugiarsi ed esprimere se stessi, sfilando nei propri costumi di fronte a una giuria, ballando o competendo come drag per emulare altre identità di genere e classi sociali.

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© Yodith Dammlash / Courtesy: autore, Mfon: Women Photographers of the African Diaspora,The African American Museum in Philadelphia, for “In Conversation: Visual Meditations on Black Masculinity”
Yodith Dammlash, Brothers, The Names We Bear series
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© Tolani Alli / Courtesy: autore, Mfon: Women Photographers of the African Diaspora,The African American Museum in Philadelphia, for “In Conversation: Visual Meditations on Black Masculinity”
Tolani Alli, Nigeria
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© Samantha Box / Courtesy: autore, Mfon: Women Photographers of the African Diaspora,The African American Museum in Philadelphia, for “In Conversation: Visual Meditations on Black Masculinity”
Samantha Box, Kiki

Adama Jalloh, Adreinne Waheed, Akhira Montague, Alyssa Pointer, Aysha Ray-Walker, Bre’Ann White, Cheriss May, Collette Fournier, Cydni Elledge, Dana Scruggs, Danielle ‘Jazz’ Noel, Deborah Willis, Delphine Diallo, Esther Ruth Mbabazi, Etinosa Yvonne, Eurila Cave, Faith Couch, Fanta Diop, Felicita “Felli” Maynard, Intisar Abioto, Isabella Agbaje, Jaimie Milner, Jana Williams, Jen Strickland, Kennedi Carter, Kym Scott, Lola Flash, Lynsey N. Weatherspoon, Marilyn Nance, Melissa Alcena, Melissa Alexander, Michelle Agins, Michelle Kemei, Nailah Fumilayo Davis, Naomieh Jovin, Natalie Eddings, Nicole Najmah Abraham, Phobymo, Phylicia Ghee, Renee Cox, Sabine Ostinvil, Salimah Ali, Samantha Box, Sheila Pree Bright, Stephanie Mei-Ling, Susan Ross, Tolani Alli, Toni Black, Tracy Keza, Valda Nogueira, Victoria Ford, Yodith Dammlash, Zalika Azim and Zephyr Doles.

Le voci sono tante e diverse, ma pur spaziando dalla foto di moda al documentario, passando per la ritrattistica più concettuale, arricchiscono un discorso ancora controverso, invitando a riconsiderare consuetudini e stereotipi su mascolinità nera, sessualità e identità di genere. Non un semplice discorso artistico ma una profonda riflessione sul contemporaneo, aperto dalla performance soul di Solomon Thorne, cantautore e produttore di Songs For The Soul, evento creato per curare ed elevare l'anima attraverso la musica, l'arte e la cultura.