E se a raccontare l'Odissea fosse stata una donna? Platone diceva che le donne non devono sottostare al modo di vivere che gli viene imposto alla nascita, perché è fatto di regole create dagli uomini. Qualcuno dice che il femminismo sia nato in Grecia ai suoi tempi o anche prima, nonostante le opere classiche più importanti arrivate a noi siano scritte da uomini. La quantità di personaggi femminili di spessore che ci sono in queste opere è però una testimonianza di quanto l'autodeterminazione femminile fosse già forte al tempo, tanto che i loro nomi sono ancora un termine di paragone da quasi venticinque secoli. Marilù Oliva è una brillante e prolifica scrittrice e saggista bolognese che ha dato prova di poter spaziare da un argomento all'altro con disinvoltura, mentre svolge (come splendido hobby) un attento ruolo di sentinella su tutti quegli eventi, soprattutto letterari, che sembrano dimenticare l'esistenza delle donne. A volte boicottando (con largo seguito delle sue lettrici) quelli dove non c'è nemmeno un'autrice in cartellone. Il suo ultimo libro che sta scalando le classifiche, L'Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre svolge proprio il ruolo che il titolo promette: la rilettura di un classico immortale dal punto di vista femminile, su una tendenza in cui si stanno cimentando anche altri autori, come l'irlandese Colm Toibin. L'abbiamo incontrata per chiederle di parlarci di lei.

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Photo Claudia Spaziani
Marilù Oliva, autrice di L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre.

Ha abbracciato tanti argomenti, ma sempre con l'occhio rivolto alle donne in un modo non scontato: perché hai sentito il bisogno di raccontare un classico attraverso la voce delle donne?
L'Odissea è un libro dove le donne hanno un ruolo speciale, soprattutto se pensiamo al periodo in cui fu cantato il poema (il Medioevo Ellenico), quindi il mio lavoro non è stato di riscrittura ma di incisione: come uno scalpellino scava il marmo. Io ho semplicemente cercato di farle emergere dalla materia epica. Ma loro erano già lì, pronte ad essere ascoltate, ciascuna con la propria forza e il proprio carattere: la frivola Calipso che si vuole tenere stretto Ulisse come se lui fosse il suo toy-boy, la multiforme Atena che veglia sull'eroe e lo consiglia, Circe che, per non farsi mettere i piedi in testa dagli uomini tenta di sopraffarli, Penelope che è figura femminile speculare al marito, in quanto astuta e saggia come lui. Sono tutte grandi donne, incluse una schiava, la nutrice Euriclea, abituata a stare sullo sfondo, eppure anche lei si rivelerà preziosa. Senza di loro l'eroe sarebbe perso – o almeno avrebbe perduto la patria, conservata con pazienza dalla moglie per vent'anni. Insomma, come ho scritto in quarta di copertina: “Se tutte le donne incontrate non gli avessero teso una mano, Odisseo – forse – sarebbe ancora in viaggio”.

Le scrittrici vengono lette poco dagli uomini e spesso non se ne vede ombra nelle rassegne; ci sono poche donne registe e hanno una vita dura; nei film le donne hanno molte meno battute dei maschi: perché le donne stesse si ribellano debolmente a tutto questo?

Lei ha citato giustamente le registe, ma potremmo ampliare la lista includendo fotografe, architette, scultrici e artiste in generale, e non solo. Proprio in questi giorni Levante, durante una conferenza-stampa, ha inquadrato la questione dicendo: “Quando Sanremo presenta poche donne al festival, non è un errore solo di Sanremo, ma è la punta dell'iceberg”. Perché il problema non è solo delle donne e degli uomini, ma di ciò che c'è all'origine. Si tratta di un substrato culturale che investe moltissime persone, al di là dei generi, spesso senza che i soggetti ne abbiano consapevolezza. Da tante parti, fin da quando siamo bambine e bambini, ci arrivano questi messaggi: “la donna deve essere bella, il suo desiderio deve adeguarsi a quello dell'uomo, altrimenti, se si veste sexy e se ne va in giro, non pretenda di uscirne illesa. L'uomo in generale è più valente nelle professioni, regge meglio la vecchiaia, qualunque dichiarazione faccia sarà più interessante di quelle di una donna. Questa non deve essere ambiziosa, si accontenti di un ruolo ornamentale, se non fa figli è una donna a metà, etc etc”. Dal momento che introiettiamo tali messaggi in maniera più velata o più esplicita (a seconda dei canali da cui giungono), non sempre ci rendiamo conto di trovarci dalla parte sbagliata e molte donne finiscono per diventare esse stesse portavoci di questa mentalità arcaica e machista. Sono quelle che non mostrano solidarietà verso le altre, che si pongono sempre in competizione, sono le groupie che si sdilinquono solo dietro agli artisti maschi, sono le professioniste che non si lamentano per il gender gap, sono le madri che educano i figli maschi garantendo loro dei privilegi rispetto alla prole femminile o le donne che restano con i partner violenti. Se invece tutte fossimo più clementi l'una verso l'altra, se ci unissimo per reclamare una vera parità, le cose cambierebbero prima del previsto. Anche perché non siamo sole: c'è una bella schiera di uomini che la pensano come noi.

Lei ha due figli: come si educano per evitare che commettano gli errori dei genitori?

Non sono bravissima a rispondere a questi quesiti, penso che il mestiere di genitori si impari sul campo e vari da contesto a contesto. Inoltre credo di essere una mamma anomala - per dire, non mi piacciono le feste di compleanno dei bambini, i saggi o le recite di fine anno - . La mia preoccupazione principale non è che i miei figli commettano o meno i miei o altri errori - in alcuni sbagli si incappa inevitabilmente e, anzi: sono benefici -, piuttosto vorrei che trovassero senza fretta la loro strada in modo di essere felici, rispettando se stessi e gli altri, ponendosi domande, e vorrei regalare loro la giusta dose di carica perché possano rialzarsi sempre dopo ogni caduta.

Che rapporto aveva lei con i classici, a scuola? Come le sembra che li vivano i ragazzi, oggi?

Io li amavo molto, tant'è che la mia riscrittura dell'Odissea in fondo è un grande omaggio al classico da cui, in assoluto, abbiamo più attinto. Gli studenti oggi amano la velocità, il ritmo, la facilità e questo talvolta stride con l'attenzione che bisogna dedicare a un bel libro, perché esso venga davvero recepito. Ma i ragazzi sono pieni di risorse e di sorprese: quando capiscono la potenza dei classici, anche loro finiscono per amarli e sono disposti a qualche piccolo sacrificio. Vorrei però spezzare una lancia a favore dei non-classici. Ogni tanto si sente qualcuno affermare, forse con un po' di snobismo: “Io leggo solo i classici”. Quest'affermazione che insieme ad altre ho definito “Le puzzette sotto al naso del lettore” è a mio avviso discriminatoria come “Io non leggo le donne”: non dimentichiamo che, nell'epoca in cui vissero, nemmeno gli autori passati alla storia della letteratura si sognavano che sarebbero diventati tanto famosi, visto il trattamento ricevuto da alcuni editori. James Joyce si lamentò del fatto che il Dedalus fu rifiutato da quasi tutti gli editori inglesi, idem l'Ulysses, Manzoni si autopubblicò la Ventisettana de I promessi sposi, Agatha Christie trascorse ben quattro anni a insistere con le case editrici affinché accettassero le sue novelle, a Herman Melville che sperava di vedere alle stampe Moby Dick, un editor britannico domandò scettico: “Ma deve essere proprio una balena?”. Per non parlare di Se questo è un uomo rifiutato, almeno all'inizio, da Einaudi, e – udite udite – della grandissima Rowling, scartata da una dozzina di editori famosi prima di vedere alle stampe l'immaginifico Harry Potter. Occhio, quindi, a non disdegnare troppo la narrativa contemporanea: tra qualche secolo potremmo avere delle sorprese.