Non c’è spettacolo o manifestazione come il Festival di Sanremo. Nulla è paragonabile a lui. È un po’ come il profumo rassicurante del caffè che la mattina esce dalla moka o quello delle polpette al sugo la domenica a pranzo. È un appuntamento che coinvolge tutti, anche chi non ha nessuna intenzione di vederlo. Perché per cinque giorni in Italia non si parlerà d’altro. Anche in epoca di pandemia. “La canzone di Diodato? Ma chi l’ha mai sentita…”. E poi, dopo tre minuti, gliela senti canticchiare al bar. Un classico, un evergreen. Sono 71 anni che questo rito si ripete. Ogni volta più o meno lo stesso. Sempre magnetico e irresistibile. Qualcuno nel dopoguerra lo ha definito “la grande evasione”, la colonna sonora di un’Italia canterina che si affacciava alla modernità.

È la sera del 29 gennaio 1951 quando il sipario sulla kermesse si apre per la prima volta. Alla radio c’è il presentatore Nunzio Filogamo che annuncia la prima edizione del Festival della canzone italiana, ospitata nel Salone delle feste del Casinò di Sanremo. Il pubblico se ne sta seduto ai tavolini da vecchio café chantant, mentre sul palco si esibiscono i cantanti. Narra la leggenda che in quella primissima edizione gli spettatori erano talmente pochi che fu necessario trovare delle persone da sistemare ai tavolini rimasti vuoti nella grande sala. Quell’anno la giuria premia Grazie dei fiori di Nilla Pizzi. Il tintinnio dei bicchieri e dei piatti portati dai camerieri sparirà due anni dopo, nel 1953, quando si decide di far accedere gli ospiti solo se muniti di invito rendendo lo show qualcosa di super esclusivo. Una sorta di MTV Awards in salsa italica. La stampa, fino ad allora indifferente, inizia a notare il fenomeno. Nel 1955 il Festival sbarca per la prima volta in diretta tv. Ma la vera rivoluzione arriva nel ’58 con il trionfo di Domenico Modugno e la sua Nel blu dipinto di blu. Sconfigge la favoritissima L’edera di Nilla Pizzi. È un passaggio epocale: la melodia classica lascia il campo allo swing. Da quel momento in poi nulla sarà più come prima. Modugno canta a braccia aperte e la sua melodia è positiva, ottimista e soprattutto energizzante. Più del ginseng e del guaranà. Si racconta che il testo è stato scritto da Franco Migliacci ubriaco fradicio, mentre con la testa guardava il dipinto "Il gallo rosso" di Chagall. È la colonna sonora del Boom economico. L’edizione del 1961 è invece una delle più controverse di sempre. Mina, emozionantissima, sente spezzarsi la voce mentre canta Io amo tu ami. Scoppia a piangere e scappa in camerino senza finire il brano. Per la delusione, prometterà a se stessa che non prenderà mai più parte al Festival. Ma quello è un anno davvero speciale. Adriano Celentano fa scandalo mostrando la schiena al pubblico mentre si dimena al grido di 24000 baci. Il molleggiato porta sul palco la modernità: con lui arriva il rock’n’roll e un nuovo bacino di utenza: i giovani. Gli anni 60 sono rivoluzionari da qualsiasi lato li si guardi. In riviera sbarcano Little Tony, Bobby Solo e perfino Lucio Dalla. Nel ’64 vince Gigliola Cinquetti con Non ho l’età, scatenando la furia di Domenico Modugno, che definisce quel risultato ‘una buffonata pazzesca’. Ma la tragedia è dietro l’angolo.

"Faccio questo […] come atto di protesta contro un pubblico che manda ‘Io, tu e le rose’ in finale e una commissione che seleziona La rivoluzione"

Nel 1967 Luigi Tenco, presenta Ciao amore, ciao ma il brano viene eliminato e lui si suicida in una camera d’albergo lasciando un biglietto in cui scrive: "Faccio questo […] come atto di protesta contro un pubblico che manda ‘Io, tu e le rose’ in finale e una commissione che seleziona La rivoluzione". L’ottimismo di quel decennio evapora, si dissolve. L’Italia si sveglia dal sogno e inizia a fare i conti con bombe, attentati e stragi. Sono gli Anni di piombo. Nel 1977 il Festival si trasferisce al Teatro Ariston. Nel ’78 si aprono le porte agli ospiti stranieri: una delle prime è Grace Jones. È l’anno della mitica Gianna di Rino Gaetano e di Un’emozione da poco di Anna Oxa, che fa scalpore con un look (pare suggeritole da Ivan Cattaneo) total punk. Nell'edizione del 1980 il conduttore Claudio Cecchetto sceglie come “valletto” Roberto Benigni. Sarà un cataclisma: quel festival passa alla storia per il bacio di 45 secondi tra il comico e la valletta Olimpia Carlisi e per l'epiteto Wojtilaccio con cui apostrofa il nuovo Papa, Giovanni Paolo II. Ma gli 80’s sono dominati soprattutto da Pippo Baudo e dai comici che lo accompagno: dal trio Marchesini-Solenghi-Lopez fino a Beppe Grillo (sì proprio lui). L’82 è poi l’anno di Vasco Rossi che, dopo l’esibizione, s’infila il microfono in tasca per consegnarlo al cantante successivo suscitando polemiche a non finire per quel gesto considerato di sfregio. Nell'84 vincono Romina e Al Bano con Ci sarà. Nel 1986 a fare scandalo è invece la finta pancia di Loredana Bertè, che durante la sua Re simula una gravidanza.

La kermesse canora si nutre di polemica, trae linfa vitale dalle diatribe più o meno reali. Un anno più tardi l’edizione è vinta dal trio Gianni Morandi, Enrico Ruggeri e Umberto Tozzi con Si può dare di più, ma l’attenzione è tutta sulla spallina di Patsy Kensit che durante la sua performance scivola via scoprendole il seno. Gli anni 90 scivolano via più o meno indenni a parte la stroncatura del Financial Times che nel 1998 definisce il Festival ‘una sagra del kitsch’. Anche il primo decennio del 2000 non è un granché, basti pensare che il culmine lo si raggiunge con Povia nel 2009 con la canzone Luca era gay, che racconta di un omosessuale che diventa etero. In quegli anni vincono Cristicchi, Renga, e perfino Giò Di Tonno con Lola Ponce. Nel 2011 nessuno si ricorda del vincitore (Roberto Vecchioni) ma tutti hanno ben impresso lo spacco vertiginoso della “valletta” Belen Rodriguez. La manifestazione è condotta da Carlo Conti, Fabio Fazio, Claudio Baglioni, Amadeus. Lo scettro di vincitore se lo passano in ordine sparso Emma, Ermal Meta e Fabrizio Moro, Marco Mengoni, Il Volo (ve li ricordate?), Stadio e Francesco Gabbani col suo tormentone Occidentali’s Karma con tanto di scimmione al seguito.

“Da quando Bugo ha lasciato il palco dell’Ariston, si è scatenato l’inferno”

Due anni fa tocca a Mahmood e al suo Soldi. “In periferia fa molto caldo. Mamma stai tranquilla sto arrivando. Te la prenderai per un bugiardo. Ti sembrava amore ma era altro…”. È la prima volta in assoluto di un brano trap primo in classifica. E poi arriviamo alla storia recentissima. La scorsa edizione, la settantesima, una delle migliori in assoluto degli ultimi tempi la vince Diodato con il suo Fai rumore. Ma a fare davvero rumore, oltre ai look di Achille Lauro, è la lite in diretta tra Bugo e Morgan. I due, in gara in coppia, sono come il diavolo e l’acqua santa. Durante lo show non sono in sintonia su nulla. Così nel corso della quarta serata, Morgan cambia improvvisamente il testo della canzone per umiliare il collega, dandogli del maleducato in diretta. Bugo abbandona il palco, l’orchestra si ferma e i due vengono squalificati. Un gesto clamoroso, di cui si parlerà per settimane. Un leggendario meme fa risalire addirittura a questa lite l’inizio della pandemia. “Da quando Bugo ha lasciato il palco dell’Ariston, si è scatenato l’inferno”, dice.

Ma il Festival può avere il potere di un balsamo.

Per qualche giorno, dal 2 al 6 marzo, ci allontanerà (almeno con la mente) dal buio che da un anno ormai ci avvolge. È una piccolissima occasione per staccare la spina, per quanto sia possibile. È un po' come una lampadina accesa in mezzo all’oscurità. È distrazione, è leggerezza, è disimpegno. E per questo va presa. Perché, in fin dei conti, Sanremo è Sanremo.