Il viaggio sognato, l'Orient Express da Venezia

Sono seduta su questo treno. Finalmente. E ho un paio di cose da fare: completare un viaggio non mio, immaginato da un bisnonno e mai realizzato e consegnare un libro. Perché si incrociano tre vite su questo treno. Storie che ora si guardano allo specchio dal mio taccuino. C’è Antonio, il bisnonno console, viaggiatore incantevole che aveva raccolto i suoi tour in un libro premiato, ristampato e tradotto in quattro lingue. Parlava dei luoghi senza descriverli e avresti giurato di averli visti. Il libro si concludeva con un viaggio immaginato sul Venice Simplon Oriente Express, e quel racconto era così coinvolgente che sembrava di rivivere il treno a ogni frase. E in quelle pagine c’era Aurelia, la protagonista di quel viaggio. Ho trovato il libro del console nella biblioteca di Palazzo Suriano, la sua casa estiva a Vietri sul Mare. E ho deciso di farlo io quel viaggio, sospeso quasi un secolo fa. Al posto di Aurelia. Andava fatto per consegnare le memorie del console Antonio all’archivio storico della British Library. La direttrice aveva accolto con piacere la mia proposta. «Ci vediamo a Londra? Devo passare dagli uffici di Grosvenor Square, ne avrò per una settimana», scriveva il Console ad Aurelia. «Ma come a giugno? Sarò ad Amalfi!», gli aveva risposto lei dispettosa, fingendosi indaffarata con le vacanze al Santa Caterina. «Facciamo così, ti aspetto a cena il 21, sul Venice Simplon Orient Express. Codice water per il tavolo». Di quel viaggio Aurelia aveva curato i dettagli per gustarne ogni momento. A quanto pare il libro di Antonio, le note di Aurelia e ora la mia avventura erano destinati a mischiarsi su questo treno, se ora sono qui, pronta a partire.

San Clemente, tranquilla e solitaria è il posto perfetto per cominciare questo viaggio (anche interiore)

San Clemente. Sono arrivata a Venezia in volo da Napoli. Sull’isola di San Clemente di fronte a San Marco c’è un nuovo hotel. Mi piaceva l’idea di un ritiro in laguna prima del Grande Viaggio. L’isola ospitava un monastero del ‘600 dei Camaldolesi. L’isola intera è diventata un retreat di bei viaggi, rifugio di tranquillità in una sorta di villaggio autonomo fuori dal tempo, immerso in un parco secolare. Anche la chiesetta medievale è stata conservata, qui è come star dentro Venezia ma via dalla folla delle calli e immersi in ogni comfort. Per aperitivo e cena ho scelto l’Acquerello, i tavoli sono sistemati come in una piazzetta, sul sagrato della chiesa, affacciato sulla laguna. Come salotti a bordo acqua, i divani invitano alla sosta del tramonto.

Mi sono sistemata in camera, ne ho voluta una che guardasse il giardino. Difficile scegliere, hanno tutte delle viste mozzafiato su Venezia, sulla laguna, sui giardini o sui cortili storici interni. Domani verranno a prendermi in hotel alle 9.15, si va in stazione in barca lungo il canale. Da lì comincerà il viaggio di Aurelia, il mio è già iniziato qui su quest’isola.

Il treno dei desideri

A colazione. Lascio il San Clemente alle 9.15, non prima di una sosta nel chiostro retrostante la chiesa, adibito a sala all’aperto per la colazione. Le tovaglie di lino bianco brillano al sole, svolazzano alla brezza di prima mattina. I tavolini allineati al fresco sotto i portici, sarebbero da soli una buona ragione per indugiare ancora senza tempo, tra un caffè latte e le torte appena sfornate. Sembra la scena di un film, ma è vero e ispira buon umore. Mi torna il mantra, La realtà appare diversa, questa invece è realtà! È ora di andare, la lancia motonave mi aspetta al molo dell’hotel. La scocca è in radica intarsiata, i divanetti in pelle celeste profilati in bianco, sembrano abbinarsi alla blusa che indosso, si va in stazione lenti, lungo il Canal Grande, un regista occulto sembra aver previsto ogni dettaglio della mia storia.

Welcome. Al binario 14 lo staff in uniforme è schierato per il benvenuto: guanti bianchi, cappello tondo rigido, divisa blu carta da zucchero, alamari e bordature in oro. Forse in dieci, in fila davanti a enormi vagoni blu-notte brillante, con il marchio d’oro tirato a lucido. Quelle facce mi diventeranno tutte familiari, ne conoscerò i sorrisi, i nomi, uno per uno e in qualche modo un po’ mi mancheranno, ma questo alla partenza non risulta nemmeno immaginabile. Salgo su un treno a cinque stelle per un viaggio negli anni 20, indugio sul primo gradino in ferro agganciata alla maniglia per un istante che resterà indimenticabile. Ho la cabina n. 2, ad accogliermi c’è Rory, scoprirò presto che sarà il mio concierge personale, sarà lui a prendersi cura di quanto di più esclusivo l’Orient Express possa offrire nella durata del viaggio, a chi voglia intraprendere un tour nel tempo fuori dal tempo, a cominciare dallo champagne di benvenuto che mi versa solerte nel calice di cristallo. Sul tavolino frutta fresca e biscotti, con un tovagliolo che porta in ricamo le iniziali OE.

Partenza. Seduta, attendo il dondolìo lento nel silenzio ovattato con nient’altro che il rumore delle ruote sui binari. Va piano il treno, riesco a leggere i nomi delle stazioni, non lo faccio da quando viaggiavo in treno da bambina. Non so se guardar fuori il paesaggio che scorre lento o guardarmi intorno, tra mille novità che mi fanno girar la testa, quello che i viaggiatori sognano nell'Orient Express fin dalla prenotazione. La cabina è un salotto: tappezzeria artigianale, boiserie intarsiata alle pareti, maniglie, cerniere e dettagli in argento. Rory viene a spiegarmi i comandi da azionare per chiamarlo e per le luci: tre o quattro interruttori da manovrare a scatto, altro che tecnologia touch. Non c’è traccia di tv e schermi digitali. Aurelia l’aveva forse previsto? «Qui il tempo diventa tuo, solo tuo» scriveva, «sta a te renderlo prezioso».

Mi dicono che il pranzo sarà servito nella carrozza Etoile, posso scegliere tra lo slot delle 12.30 (troppo presto, ho bisogno di ambientarmi) e quello dell’una e mezza, scelgo il secondo. Il rituale dell’afternoon tea invece, si terrà direttamente in cabina, un modo in più per familiarizzare con lo spazio intorno. È chiaro che quella sarà una capsula segreta del mio teletrasporto, so già che una volta a terra mi mancherà la sua protezione. Apro le ante tonde ad angolo, in radica laccata, e tarsie Art Nouveau con iniziali anche qui, dentro c’è uno specchio, il lavandino e l’occorrente per la toilette. C’è un beauty in pelle bianca con dentro creme e oli profumati per fermare ogni ricordo anche nell’olfatto. C’è una vestaglia in cotone con arabeschi azzurri, fresca, confortevole col caldo che fa, sarà il mio abito da camera.

Il bagno, con i vetri decò e i profili in ottone, è fuori, in testa alla carrozza e non c’è la doccia. Niente doccia? Già, negli anni 20 il bagno rigenerante era rimandato alla destinazione. Così farò, all’arrivo porterò Aurelia con me nella spa del Lanesborough per le abluzioni di rito. Mi intrattengo, guardo in giro, distraggo i pensieri veri, quelli per cui mi trovo qui. Ho da sistemare i nastri al cappello. È quasi ora di cena, il tavolo codice water mi aspetta. Le carrozze ristorante sono tre, le stesse di allora. Antonio adorava la Cote d’Azur, poltrone blu e piatti azzurro cielo, la chiamano Lalique per i pannelli istoriati di donne e nudità in cristallo scolpito art decò, Aurelia invece voleva l’Etoile du Nord, poltrone in velluto verde e motivi floreali sui pannelli in rosso: era quello il suo colore per quel viaggio. Ho prenotato lì, anche se la mia preferita è L’Orientale, detta anche Chinoise, con decori in rosso e nero lacca. Intuisco il paesaggio fuori, bellissimo, attraversiamo montagne, saranno Dolomiti, Alpi d’Austria o Svizzere, non mi interessa, sono in un hotel di lusso, viaggiante lento su rotaia, questo conta. Nei momenti fibrillanti prima di cena, Aurelia avrebbe rifinito i dettagli, un po’ di rosa alle guance e poi via lungo i corridoi traballanti che la separavano da Antonio, avrebbe avuto occhi solo per lui, voglio immaginarla così. Il tavolo codice water è apparecchiato per due, la sala ristorante è un colpo d’occhio fantastico e la mia cena da sola sta per cominciare. Scorgo dettagli impeccabili senza tempo, come i candelabri e i ganci per appendere gli orologi da tasca, quelli a corda. C’è un via vai di camerieri, equilibristi tra le scosse improvvise del treno, sanno bene come accogliere chi arriva qui per la prima volta, hanno un fare tra il discreto e l’amicale, come se ti conoscessero già al primo sguardo, l’atmosfera diventa rilassata, è come affidarsi a qualcuno che sa bene come farti star bene.

Menu stellato sul Venice Simplon, sull'Orient Express non si guardano i prezzi. Farò i complimenti allo chef Christian Bodiguel, è qui da trent’anni, è lui il genio dei piaceri del palato a bordo. E passerò dalla cucina, a curiosare come sia possibile che tanta bontà possa provenire da un corridoio stretto e lungo in cui si lavora in fila indiana. Dedico la sosta finale alla carrozza del piano bar per un drink, prima di andare a letto. Il signore attempato al tavolo accanto al mio sorseggia il suo rum El Dorado Demerara: «Conosco la storia di Antonio e Aurelia, chi adora viaggiare non può non aver letto quel libro». L’avevo sul tavolo a farmi compagnia, non gli era passato inosservato, la copertina è inconfondibile. Si presenta come Sir John Rudolph, pare messo lì da un regista romantico. Mi convinco che nulla di questo viaggio sta accedendo per caso. Racconto a Sir John la mia storia, si sente coinvolto per la sola ragione che è lì su quel treno, e anche lui cade nel tranello delle coincidenze, ridiamo e beviamo pinot noir fino a notte fonda. Nel frattempo in cabina tutto è pronto per la notte, il divano è ora un letto, sulle lenzuola damascate fresche di stiro, brilla il logo in oro del Venice Simplon Orient Express. Sul cuscino un cadeau di ottimo cioccolato svizzero per addolcire la notte se mai ce ne fosse bisogno. Mi cambio lenta e prendo posto, il finestrino riflette le luci della mia camera. Tenera è la notte, ma che adrenalina! Mi convinco che non dormirò.

Corridoio dell'Oriente Expresspinterest
Courtesy Emilia Antonia De Vivo

E invece riapro gli occhi che è mattina. Il suono dei messaggi mi arriva come un’improbabile sveglia. Siamo in stazione a Parigi. Leggo i messaggi di Christian, mio marito (risulta omonimo dello chef, cambiamo?), mentre faccio colazione. Vuole che gli racconti le emozioni in diretta. Risponderò quando arriveremo a Londra, non c’è il wifi e poi mi aspetta il rituale del tè che verrà servito lungo la tratta inglese. La sosta è lunga abbastanza per scendere in banchina a sgranchirmi le gambe. C’è un traffico di grandi bauli su rotelle in corrispondenza della carrozza cucina, chef Bodiguel è giù con la lista della spesa a controllare le consegne tra sous chef e camerieri che caricano prodotti freschi di mercato. È una scena di teatro inconsapevole che si svolge tra gesti e movimenti precisissimi dove tutti sembrano sfiorarsi, incrociarsi, o scontrarsi, in apparente confusione, mentre al contrario tutto è calcolato al millimetro per ripartire all’ora prevista con a bordo tutto quel che serve per un pranzo speciale, molto speciale, di aragoste, ostriche e champagne in arrivo dal mare del nord.

SCOPRI ANCHE:

- Il racconto del Ballo del Doge: una delusione