Era l’estate 2002, avevo diciannove anni e partii da solo, su un Intercity per Roma insieme a un gruppo di brasiliani che si facevano foto con la Gazzetta dello Sport perché avevano vinto i Mondiali il giorno prima. Da Termini in poi non sapevo niente di cosa avrei trovato ed era esattamente questo il punto. Il biglietto ferroviario che permette di prendere tutti i treni in Europa per un mese è stato inventato nel 1972 e da allora è stato per generazioni il primo assaggio di viaggio, libertà, Europa tutta a disposizione, come un “all you can eat” giapponese. Il mio itinerario era approssimativo come tutto a quasi vent’anni, a ogni tappa scelsi la successiva. Ridisegnato a posteriori su una mappa, prese la forma di un papillon: una tirata da Napoli a Vienna, poi Praga, una settimana a Berlino, il dilemma se andare verso nord a Copenaghen o est a Cracovia, scelsi la Polonia perché il treno partiva prima e gli ostelli sarebbero stati più economici. Risalii fino a Danzica, poi la sterzata verso ovest e un lungo attraversamento della Germania fino a Colonia, infine Bruges, Amsterdam e Parigi ad allacciarmi il papillon.

Horse & carriage on Graben Street, Vienna, Austriapinterest
Getty Images
Cracovia

Ogni anno quasi 300mila europei fanno viaggi come questo (dato in ripresa dopo un declino che aveva portato il numero a 100mila nel 2005). È un rito di passaggio collettivo, una delle migliori e più avventurose cerimonie che abbiamo per iniziare a diventare adulti. Entro nel Clown and Bard Hostel di Praga con una voglia irresistibile di dire a qualcuno che avevo dormito in questo stesso posto per cinque notti nel luglio del 2002 e di spiegare che sto ripetendo lo stesso viaggio, sedici anni dopo, per vedere cosa è cambiato. Il biliardino, il bancone, la penombra e l’odore di chiuso sono gli stessi. Il bar è assediato da due addii al celibato, uno di inglesi e uno di polacchi, sul punto di gemellarsi. Dietro al bancone trovo Camilo, colombiano. Non sembra impressionato dalla mia storia di riti, iniziazioni e ritorni: «Queste sono le lenzuola, questo il lucchetto, la colazione costa cento corone, il check out è alle 11. Vuoi una birra?». Voglio una birra,certo. Me la versa Edera, è albanese, studia in Belgio, è qui in Erasmus, mi chiede se conosco Paracetamolo di Calcutta, mi presenta due volontari americani di Peace Corps reduci da due anni nel Caucaso. L’Interrail è questo: per tutta la vita stai a casa, i compagni di scuola, il tuo quartiere, il solito mare. Poi all’improvviso parti e ti arriva in faccia il mondo.

stazione di Vienna, prima tappa dell'interrail pinterest
Getty Images
Stazione di Vienna, prima tappa dell’interrail

Il me diciannovenne non è il solo fantasma di cui seguire le tracce in questo viaggio. Il 2002 era la prima estate dell’euro. L’Europa, come idea e come esperienza, era nella sua parabola ascendente. Nessuno ne parlava male perché non sembrava qualcosa su cui avere un’opinione, era solo una scala più grande su cui proiettare le ambizioni o i problemi, non il nemico. Oggi è l’esatto contrario: Perrine, francese di Nantes con cui mangio falafel a Berlino, mi dice che l’Europa sta sparendo e non le importa niente. Fa quel gesto che fanno i francesi per indicare disinteresse: puf con le labbra. «Andrà da dove è venuta, non ci serve più». Lei è arrivata per il weekend con un EasyJet via Amsterdam, dorme in un Airbnb subaffittato da spagnoli, ma non vede contraddizione in tutto questo. Non ci sono antidoti contro l’ondata di nausea anti-europea, ma a giugno l’Unione Europea ha regalato 15mila pass ai diciottenni. Non è una cura, ma è un’idea bella. Bombardati dall’elenco di quello che l’Europa toglie, viola, sottrae, per la classe ’99 su quel biglietto c’è scritto anche l’altro elenco: quello che l’Europa spalanca.

Italy, Milan, view to modern skyscraperspinterest
Getty Images
Lo skyline di Milano

Io con i miei trentacinque anni non ho diritto a nessun regalo e ho il sovrapprezzo. La signora della biglietteria di Milano ha una gran voglia di chiedermi: «Ma non sei troppo vecchio?», poi lascia perdere. Dal 1998 è stato tolto ogni limite di età, a sessant’anni si riconquistano anche gli sconti: forse il punto è che non sono abbastanza vecchio. Parto il giorno in cui mi arriva sul telefono la notizia della morte di Anthony Bourdain. «Viaggiare ha a che fare con quella meravigliosa sensazione di barcollare nell’ignoto», diceva, e io nel treno che si staccava dalla stazione Centrale mi sono sentito così. A vent’anni uno è più attrezzato, io a trentacinque per mitigarla sono partito con più app che vestiti. Tutto quello che prima implicava lo sforzo di uscire dalla propria bolla, prendersi un rischio e provare a farsi capire, oggi ha una scorciatoia che passa da un login, una foto profilo e un algoritmo. Ci sono app per verificare gli orari ferroviari d’Europa, conoscere gente del posto, incontrare altri viaggiatori, farsi invitare a cena, attaccare bottone con gli sconosciuti.

Railway stationpinterest
Getty Images
La stazione Centrale di Milano

Nel mio scompartimento trovo Silvia, senza aiuto digitale. È di Milano ma studia biologia a Graz, in Austria, il suo fidanzato è nato in Polonia, lei sta tornando dall’Erasmus in Montenegro. Lì ha trovato un amore e pure una missione: liberare il mondo dalla plastica. Potremmo stenderci e dormire, invece parliamo fin quasi al confine. Ci addormentiamo nel cuore della notte, Silvia scende a Graz e penso che non l’ho salutata per bene. Ma posso farlo su Facebook. Nell’estate del 2002, Zuckerberg non si era ancora iscritto ad Harvard e ci sarebbero voluti otto anni perché tutto il mondo fosse catalogato con nome e cognome su Facebook. Anna, finlandese con cui avevo passato tre giorni piuttosto intensi a Berlino, mi salutò scrivendo il suoindirizzo e-mail su un pezzo di carta. Giorni dopo mi accorsi di averlo perso econ quel foglio avevo perso anche lei. Il tempo che avevi era il tempo che avevi: tendenzialmente non c’erano seconde possibilità, era facile e anche molto sano perdere le persone per strada, faceva parte della cerimonia di iniziazione. Sono allo Yaam, il mercato di arte africana sulla riva della Sprea, a Berlino, uno dei posti più fricchettoni d’Europa. Grazie a Couchsurfing ho conosciuto Elena, israeliana, sposata con un nigeriano arrivato a Tel Aviv dopo aver attraversato l’Egitto a piedi. Elena è riuscita nell’impresa di non fare il servizio militare, parla arabo, ha una betulla tatuata sul braccio e idee molto radicali. Ci raggiunge Nour, studente siriano di ingegneria che fino a quattro anni fa viveva ancora a Damasco: «Non ho mai conosciuto un’israeliana come te», le dice. Poi il ragazzo siriano compra una birra e venti euro di erba: penso che questa scena, col suo relax etico e geopolitico così lontano dai cliché della politica raccontata coi meme e gli insulti, mi piace e mi piacerebbe ancora di più se avessi vent’anni. Non tutti i discorsi politici del viaggio sono così rilassati. Günseli, studentessa turca di Ankara, mi predice davanti a uno schnitzel che l’incomunicabilità che vede in giro farà sparire l’idea stessa del viaggio. Sul treno tra Repubblica Ceca e Germania incontro una coppia di anziani tedeschi, Sylvia e Andreas. Lei tiene corsi di meditazione e canto, lui è uno storico, esperto dei rapporti tra Polonia e Germania nel Novecento. «Sono sempre stato un ottimista», mi dice, «ma se non provassi ansia per l’attuale rivoluzione conservatrice in tutta Europa non sarei un bravo storico».

La nuova stazione di Berlinopinterest
Getty Images
La nuova stazione di Berlino

Il mio momento preferito del primo viaggio Interrail era stato arrivare alla stazione di Berlino e trovare i due treni pronti a partire: Copenaghen o Cracovia, con un biglietto in tasca che mi permetteva di scegliere seguendo solo l’istinto. Sono sentimentale, lascio il mio ostello e provo a replicare lo stesso bivio nella stazione di Hauptbahnhof: a destra il treno per nord, a sinistra quello per est. Non funziona, non c’è nessun treno diretto per Copenaghen, forse non c’è mai stato. Con quest’immagine ho ammorbato chiunque per un decennio e mezzo e me l’ero inventata. Decido che mi va bene uguale, quello che conta è avere una stazione internazionale e un biglietto per prendere qualsiasi treno. Bourdain diceva anche: «Se avete vent’anni e siete in salute, avete voglia di apprendere e migliorarvi, vi invito a viaggiare, quanto lontano vi riesce. Dormite per terra, se serve, osservate come vivono e cucinano gli altri, imparate da loro». Quello dell’Ue ai diciottenni è il regalo migliore che si possa immaginare. Se conoscete qualcuno in dubbio, spingetelo a partire, anche da solo, senza paura, gli farà bene e l’Europa è ancora aperta. Tra sedici anni ne avrò cinquantuno, sarà ancora presto per gli sconti ma credo proprio che tornerò qui a controllare se quel treno per Copenaghen l’hanno rimesso.

Iron, Transport, Train station, Metal, Architecture, Building, Vehicle, Sitting, Tree, Railway, pinterest
Getty Images
La stazione di Praga