Le spiagge affollate di ombrelloni dove una volta c’era il deserto. Le file di persone in attesa sotto il sole cocente a San Pietro, all’Ayers Rock, sulla Muraglia Cinese. Sequenze dove cambia solo la scenografia, tanto i turisti restano pressoché gli stessi: una massa indistinta di cappellini colorati, Birkenstock e smartphone prosciugati da Google Maps e InstaStories. Il turismo di massa 4.0, la nuova preoccupante versione delle vacanze per tutti. Che dal boom degli anni Sessanta in avanti, quando sono nati ufficialmente i concetti di weekend e ferie, sta iniziando a mostrare la sua faccia peggiore: la distruzione NON metaforica di alcuni dei posti più belli del mondo. Overtourism cos'è? Tristemente questo.

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Sempre più persone visitano luoghi incantevoli che una volta erano quasi inaccessibili senza capirne l’essenza. Commento classista? Provocazione, più che altro. La lotta di classe si è trasformata nel diritto/dovere inalienabile alle vacanze a tutti i costi, il più possibile, in un mordi&fuggi continuo in giro per le capitali europee. Viaggiare risparmiando è un diktat per la maggior parte dei turisti: spendere poco e vedere il più possibile. Fagocitare tutto insieme per il mero gusto di dire “io c’ero”. La sottile essenza della vera comprensione della bellezza di un luogo resta secondaria: l’importante è aver piantato la bandierina. Overtourism definizione = turismo cannibale, lo definisce senza mezzi termini Der Spiegel. Un modo di viaggiare che tende ad assaltare e divorare tutti i posti più belli senza comprenderli affatto. Turismo irresponsabile il più delle volte, e senza approfondirne le caratteristiche storiche (nemmeno quelle riportate sulle guide), ambientali (paradisi naturalistici inquinati dal continuo passaggio turistico) o geologiche (cfr. la Montagna Arcobaleno in Perù, già entrata nei luoghi a rischio per l’eccessiva massa di persone irrispettose che la raggiunge ogni anno).

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Il sociologo Paolo Giuntarelli, dirigente dell'Agenzia Regionale del Turismo del Lazio, ha regalato al giornale tedesco una definizione memorabile di questo nuovo turismo di massa: “È un fenomeno della società post-materialista. Possedere qualcosa non è più una priorità, vogliamo solo essere intrattenuti”. Infatti non sono i souvenir sbiaditi made in China o le cartoline dei viaggi ad essere collezionate, ma le esperienze, una via l’altra, per soddisfare una fame che non riusciamo a decodificare pienamente. Molto è stato favorito dalla grande esplosione delle compagnie aeree low cost, cresciute a dismisura dopo l’apertura delle rotte avvenuta a partire dal 1987: sempre più aerei, sempre più scali, sempre più aeroporti minori da sfruttare, sempre più viaggi nelle ex fasce di bassa stagione (come viaggiare a settembre), sempre più turisti che li scelgono come punto di partenza/arrivo. Poco importa se volare su Beauvais significhi fare poi un’ora e mezza di autobus in mezzo alla campagna per raggiungere realmente la periferia di Parigi: con l’utilizzo del piccolo aeroporto lontanissimo dal centro, la bellezza della capitale francese è (quasi) a portata di tutti. Overtourism significato: trasformare il viaggio da lusso da centellinare accuratamente a convinzione quasi politica di massimo picco di democrazia e del diritto alla vacanza. E da qui al vedere la propria caletta nascosta preferita assaltata da orde di persone è un attimo.

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Siamo tutti alla ricerca del posto disperso, dell’insider tip su passaparola: e restiamo malissimo quando quello che eleggiamo "posticino del cuore forever" diventa di dominio pubblico. È una violazione del nostro segreto, ce lo troviamo spiattellato sui social di chiunque. Molti suggerimenti sono stati portati avanti dai blog di viaggi della prima ora, poi dai siti specializzati che hanno scalato le chiavi di ricerca specifiche. Tanti posticini davvero minuscoli, inconsueti, con significati specifici solo per poche persone sono stati trasformati in pin su Google Maps: “attrazione turistica da non perdere”, nel linguaggio purissimo marketing. Sale sul banco degli imputati dell'overtourism il turismo social, di sicuro: le foto belle su Instagram #paradise fanno molti danni al concetto vero di viaggio. Ma di questa visione irresponsabile e predatoria del turismo molto si deve anche a location di serie tv e cinema. O al vip watching. Nel mito eterno del “se ci va lui ci posso andare anche io”, ci stiamo trasformando in greggi di turisti. Senza renderci conto veramente di cosa stiamo vedendo o vivendo in quel momento: basta un geotag.

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Tra i campi di lavanda della Provenza, l’invasione dei turisti cinesi sobillati da un video popolarissimo in Cina ha costretto molti agricoltori a trasformarsi prima in professionisti del turismo con l’offerta di servizi, poi in rigidi controllori del rispetto dell’ambiente. I filari viola vengono irrimediabilmente devastati dal passaggio di oltre 60mila turisti l’anno, mettendo a repentaglio la raccolta dei fiori. E sull'altra costa del Mediterraneo a Dubrovnik, in Croazia, è stato il Trono di Spade la causa scatenante: meta di crociere di affamatissimi fan che vogliono vedere il set della serie tv a tutti i costi. La splendida fortificazione della città vecchia è assaltata dal turismo di massa storia che rischia di far perdere lo status di Patrimonio Unesco per i troppi accessi che la stanno rendendo instabile. Sotto minaccia, il governo della città ha promesso di prendere provvedimenti restrittivi, ma per ora nulla di fatto.

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Una soluzione univoca al turismo di massa distruttivo non c’è. In alcuni casi si stanno sperimentando delle regole limitanti per scongiurare disastri ambientali (le Galapagos, ad esempio) o di rapporti civili. “Il turismo è un fenomeno che crea parecchi profitti privati ma crea molte perdite sociali” spiega Christian Laesser, professore di Turismo all’Università di St. Gallen in Svizzera, sempre allo Spiegel. Lo svuotamento progressivo dei servizi utili ai cittadini nei paesini più caratteristici ne é un esempio: dove l’abitante può aver bisogno di un ferramenta, di un idraulico o di una merceria, il turista imporrà (senza rendersene conto) solo bar e ristoranti. Perché di questo ha bisogno chi passa per turismo: mangiare e bere. Le antiche botteghe sono state spesso eliminate da questo motivo, più o meno consapevolmente, ma di certo c’entra la questione economica: basta alzare il prezzo di un affitto per perdere un manovale o un artigiano in nome del “paese da cartolina”.

Il fenomeno era stato osservato già nel luglio 2004 da un’inchiesta del Manifesto, che aveva parlato di “pienzizzazione” dei borghi toscani in nome di una necessità estetica di conformazione al gusto comune. Il fenomeno prende nome dalla cittadina di Pienza, in Toscana, tra le prime a diventare triste simbolo di un “turismo da cartolina” che passa, fotografa, mangia al volo e se ne va. In questo modo nelle casse dei privati entrano parecchi soldi, ma chi ci perde è la città in sé: basti guardare un quartiere simbolico di Roma come Trastevere, che sta vivendo un progressivo e inarrestabile spopolamento suoi veri trasteverini per far spazio a case ad affitti brevi, baretti, locali dove bere e mangiare. Sempre più pittoresco in accezione turistica, ma sempre meno autentico e con pochi baluardi di resistenza (umana, innanzitutto).

L’unico investimento a lungo termine che si dovrebbe promuovere davvero è l’educazione al turismo. Imparare a fare il turista non solo in relazione alle proprie tasche, ma soprattutto per il posto dove si va in vacanza. Significa rispettare l’ambiente, gli abitanti del luogo, le città stesse così come spiagge, montagne, fiumi e tutto ciò che concerne la natura. In Italia qualcosa si muove: per salvaguardare i suoi abitanti dal turismo di massa Venezia, simbolo straziante dell'overtourism, ha cercato di sperimentare nel 2018 dei varchi d'accesso per la deviazione del flusso turistico e il decongestionamento delle principali calli. In Sardegna si parla da tempo (e comincerà in via sperimentale nel 2019) di accessi controllati e ticket giornalieri ad esaurimento su alcune delle spiagge più belle dell’isola, come Cala Goloritzé, per far fronte all'invasione turistica. E in altre meraviglie come la Pelosa a Stintino, fioccano multe sonore a chi non rispetta il luogo, inquina, sporca o semplicemente non usa le stuoie per evitare di incollarsi la rena sull'asciugamano (e svuotare la spiaggia, già colpita dall'erosione delle coste).

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Pioniera delle città affollate da turismo di massa (800mila abitanti a fronte di 18 milioni di turisti annui), persino la progressista e apertissima meta da weekend Amsterdam sta sperimentando nuove forme di rispetto dei locals per evitare che i residenti abbandonino i quartieri nel nome del profitto facile: massimo 60 giorni di affitto esterno su piattaforme di home-sharing verificate come Airbnb (ma i giorni verranno abbassati a 30 nel 2019) e nessuna costruzione di nuovi hotel nell’area metropolitana. Ancora più stretti i divieti sulle nuove aperture di negozi di souvenir, cartoline e franchising popolari di formaggio olandese e waffle houses (come in Italia quelli di patatine fritte, per intenderci) dove un abitante di Amsterdam non metterebbe piede nemmeno per fame suprema. La città olandese è il primo centro urbano in assoluto a promuovere politiche di contenimento turistico. Che dovrebbe diventare la prossima buzzword di molti amministratori locali per salvaguardare i loro gioielli migliori.