Ad Hans hanno rubato la bicicletta. Se n’è accorto prima di recarsi in ufficio, una quindicina di minuti a pedali da casa. In Danimarca non c’è insulto peggiore. Però Hans non sbanda. Con calma raggiunge il commissariato e, grazie alla foto della bicicletta che conserva sullo smartphone, riceve subito la ricevuta elettronica della denuncia. Appare sul dispositivo, è già inserita nel database della polizia danese. A questo punto il flemmatico Hans fa pressione con l’indice sull’icona della sua assicurazione. L’applicazione si apre, Hans digita i dati personali, posta la foto della bicicletta e la copia della denuncia. Sono le 8.43 del mattino. Alle 8.52 un beep rassicurante distoglie Hans mentre sta seduto nel taxi che lo porta al lavoro. È il suono che accompagna le notifiche della banca. I 450 euro, valore della bicicletta, sono già stati depositati sul suo conto. A fine turno potrà andare a comprarsene una nuova.

Passeggiando per Copenhagen si è assaliti da un dubbio ricorrente. Basta osservare i padri che passano intere mattine al parco con i figli mentre le mogli lavorano, è sufficiente farsi travolgere dal clima da vigilia natalizia perenne o lasciarsi abbagliare da ordine e pulizia disarmanti per chiedersi se in fondo noi gente del Sud (d’Europa) non siamo protagonisti inconsapevoli di un grande Truman Show. È tutto così levigato, rassicurante. Compreso il fatto che se ti rubano la bicicletta, nove minuti più tardi la tua assicurazione ti deposita i soldi sul conto. Stupore, incredulità e sospetto.

Danimarca felicepinterest
Courtesy Riccardo Romani
A Hovedbanegard, la stazione centrale di Copenhagen (sopra), non c’è bisogno di parcheggi per le auto. Intorno si vedono solo bici, la cui circolazione negli ultimi 20 anni è cresciuta del 70%.

Incontro Sophie Grønbaek nella sede di Undo, la compagnia di micro assicurazioni nata solo qualche mese fa. Sono quattro giovani irrequieti, un paio dei quali draghi della tecnologia. Il business plan è banale: «Ci siamo concentrati sul pubblico giovane, venti, trent’anni. Sono quelli intimiditi dalle assicurazioni tradizionali, dai contratti da firmare, le clausole capestro scritte in piccolo e così via. Per noi sono sufficienti alcuni dati e ciascuno assicura quello che gli pare, dall’iPhone fino all’automobile. I contratti si disdicono con un click. C’è chi assicura gli oggetti di casa il sabato prima di partire per il weekend e sospende la polizza al ritorno. Ci stiamo già espandendo nel Regno Unito. Siamo competitivi rispetto alle assicurazioni tradizionali che hanno tempi di rimborso lunghissimi qui in Danimarca. Anche tre settimane».

Tre settimane per il rimborso dopo un furto qui lo considerano un tempo biblico. Certo, al confronto dei nove minuti di Hans sembrano un’eternità. Sorrido. Sophie non capisce. Le chiedo allora se intendono allargarsi fino all’Italia. Mi dice che nel futuro immediato ci sono Spagna e Francia. Italia no, perché siamo al primo posto in Europa per le frodi assicurative. Arrivederci e grazie.

Il sorriso del Grande Fratello

Questo posto tutti gli anni è in cima alle classifiche dei luoghi più felici del pianeta. Comincio a capire perché. Ma non è il motivo per cui sono qui. Questo viaggio tra le bici rubate a Copenhagen comincia a New York, nell’ufficio della console generale danese, Anne Dorte Riggelsen, sostenitrice di Common-Pool-Resource (Cpr), il primo e più grande database civile al mondo. Un registro nato nel 1968 in Danimarca, oggi potenziato e reso di rapidissima consultazione. A ogni cittadino corrisponde un codice di dieci cifre, il Cpr appunto, sotto al quale si raccoglie ogni informazione sensibile che si accumula col tempo. Dal gruppo sanguigno all’esatta cifra guadagnata. Tutto conservato dal momento della nascita fino a vent’anni dopo la morte.

In Danimarca nessuno ha segreti per lo Stato. Il Grande Fratello ha il sorriso accattivante di Anne: «Mi capita spesso di dover spiegare a chi non è danese che per noi questa è la normalità. I vantaggi che si traggono da un sistema di database centralizzato sono tali che il problema della privacy, oltre che ampiamente gestibile, risulta marginale. Vogliamo incoraggiare altri Paesi a seguirci. In fatto di ambiente, di welfare e di assistenza medica, le applicazioni del sistema sono infinite e migliorano la qualità della vita».

Danimarca, Big Datapinterest
Courtesy Riccardo Romani
Secondo uno studio Unesco, la Danimarca vanta il titolo di "Stato più felice del mondo". Grazie anche alla virtuosa gestione dei dati custoditi alla Danimark Statistiks (sopra, l’entrata della sede centrale).

Che cosa c’entra tutto questo con Hans e la sua bicicletta? C’entra. Consegnare al proprio Stato i dati più sensibili consente di mettere a disposizione di aziende private come Undo un certo numero di informazioni, sulle quali si costruiscono modelli commerciali. La storia di vita di Hans (precedenti penali, rate del mutuo saltate, salario medio di quelli che vivono nel suo quartiere, tasso di furti nella sua via eccetera) consente a Undo di creare polizze iper personalizzate in pochi istanti. Le procedure burocratiche più spinose sono risolte da una serie di algoritmi che “leggono” il tuo Cpr.


Danimarca, Undopinterest
Courtesy Riccardo Romani
Sopra, da sinistra, Nikolaj, Andres, Sophie e Soren, fondatori di Undo, compagnia assicurativa specializzata in polizze iper personalizzate, studiate in base ai dati dei clienti.



Per capire meglio bisogna spingersi fino alla Silicon Valley, a Palo Alto, dove la Danimarca è il primo Paese al mondo ad aver aperto un ufficio di diplomazia tecnologica. Il primo Tech Ambassador della storia si chiama Casper Klynge, un 45enne che è una star in Danimarca e che gira il pianeta, oltre agli uffici delle grandi corporation, con lo scopo di creare un mondo tecnologico migliore. «Viviamo in una società che cambia ad alta velocità», spiega Casper, «ci sono lavori che fra dieci anni scompariranno, ma altri ne nasceranno mentre sorgono opportunità che non possiamo farci scappare. La Danimarca è all’avanguardia, ma sappiamo bene che dobbiamo coinvolgere le istituzioni, le aziende più grandi per trovare una strada comune ed etica. Il nostro sistema Cpr era guardato con sospetto, ma oggi sempre più colleghi europei vogliono capire. Far nascere una specie di European Valley tecnologica è alla nostra portata. Quando penso al numero di violazioni telematiche subite da piattaforme politiche e commerciali nell’ultimo anno, circa 140 milioni, la mia domanda è: come possiamo evitare tutto questo? Tutti assieme, con trasparenza e coraggio. Non ho la sfera di cristallo, ma so che in futuro condivisione e protezione comune di dati saranno tra le strade più efficaci per migliorare la qualità della vita di molti, il livello di legalità e sviluppo, anche nei Paesi più in ritardo».

La fiducia dentro una scatola nera

A nord, in un quartiere anonimo, tra palazzoni e svincoli autostradali, sorge la Danmarks Statistik, ovvero il luogo fisico in cui sono custoditi i segreti di milioni di cittadini. La scatola nera di una nazione è difesa da mura inviolabili. Responsabile del dipartimento di statistica, ovvero l’uomo che accede a quei dati per trasformarli in utilità pubblica, si chiama Jørgen Elmeskov ed è esattamente come te lo immagini. Vestito di grigio, misurato, pacato, vagamente ironico. «I danesi non sono ossessionati dalla privacy. Per noi consegnare allo Stato il dato esatto di quanto guadagniamo è logico. Pagheremo le tasse adeguate. Non una corona di più. I commercialisti da noi sono pochi. E qui nessuno farebbe mai una domanda tipo: “Ma tu le paghi le tasse?”. Certo, il nostro lavoro non è quello di spiare dentro l’esistenza dei nostri cittadini. Noi facciamo semplici analisi, utilizzando un tesoro inestimabile. Come statistici siamo viziati. Ma lavoriamo per anticipare i problemi. L’esempio migliore è la ricerca medica. La Danimarca risparmia miliardi perché da noi non si sperimentano medicinali. Ogni paziente ha fornito spontaneamente ogni dato necessario a sviluppo e ricerca. Col vantaggio che, in caso di emergenza, la persona può essere curata in tempi rapidissimi. In ogni pronto soccorso basta inserire il Cpr in un computer e accedere alla storia medica di ciascuno. Parliamo invece dei censimenti? In America serve un anno per completarli e cinque milioni di persone da assumere per realizzarli. Da noi sono sufficienti due persone e qualche pulsante».

Mi chiedo se gli hackers lo preoccupino: «Esistono talmente tanti livelli di protezione da garantire una quasi totale blindatura. I cancelli di sicurezza sono davvero tanti. Ovvio, l’errore umano non manca, ma cerchiamo di limitarlo. La cosa curiosa è che i danesi non si sono preoccupati del nostro database fino all’ultimo anno. Poi il livello di ansia è salito per colpa di aziende come Facebook, la gente ha visto cosa può accadere ai loro dati personali e così ci chiedono maggiori garanzie. Noi siamo contenti, perché è una sfida che ti fa tenere la guardia alta nell’interesse comune. In Danimarca la parola chiave è “fiducia”. Senza una fiducia assoluta dei cittadini nei confronti dello Stato, ovviamente ciò non sarebbe possibile».

Margit Anne Petersen, antropologa della Syddansk University, mi spiega quanto il Cpr sia un motivo di orgoglio per i danesi. Un orgoglio che sfiora il nazionalismo più becero, quando si parla di integrazione: «La Danimarca è un Paese aperto, ma non per questo accogliente. Di fronte ai richiedenti asilo, ci sono molte resistenze. C’è la pretesa che gli stranieri entrino nel sistema Cpr, senza deroghe. Ma tanti vengono da Paesi in cui consegnare dati sensibili al governo è un suicidio. Capita così che diventiamo rigidi, persino ostili nei confronti di chi non appartiene a questa società».

Tecnologia & voglia di tenerezza

Mi accolgono con un invito a pranzo, negli uffici di GoMore, una start up che pullula di ventenni creata dal quarantenne Matias Dalsgaard. Ogni giorno alle 12.30 un impiegato a rotazione prepara la tavola aspettando che gli altri lo raggiungano per mangiare assieme, senza parlare di lavoro. Un rituale. GoMore è un servizio di car sharing molto originale. Vi accedono privati cittadini che prestano la loro auto a chi voglia usarla nei weekend. O anche solo per uscire a cena con qualcuno. Persino per una breve vacanza. Sigrid Brindorf mi spiega che la compagnia ha avuto una crescita esponenziale e sta sbarcando in Gran Bretagna. Scopro che l’idea iniziale nasce dalla pessima reputazione delle ferrovie danesi (sono umani, dopotutto). «La gente qui preferisce guidare. I treni hanno sempre ritardi anche di mezzora, il car sharing è molto
diffuso».

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Courtesy Riccardo Romani
Anche il car sharing in Danimarca è facilitato dalle banche dati. Sopra, una foto di Matias Dalsgaard: la sua start up, GoMore, fa prestiti d’auto per i weekend.

Ritardi di mezzora. Sigrid fa tenerezza. Poi aggiunge: «Dopo il car sharing è arrivata l’idea della macchina a prestito. C’è chi l’auto non la usa nei fine settimana, quindi gli conviene offrirla in prestito, incassa qualche soldo per la rata mensile e magari si fa qualche nuovo amico. Tutti sono al sicuro, per accedere all’applicazione devi depositare il Cpr. Da un’indagine di mercato abbiamo poi scoperto che i danesi hanno grandi problemi nel socializzare e che il nostro modello di business per tanti di loro è l’opportunità per fare nuove conoscenze e sconfiggere una storica freddezza. Creare rapporti. Pochi giorni fa abbiamo celebrato la nascita del primo GoMore baby. Una coppia di clienti che si sono conosciuti grazie a noi».

Per un attimo avevo pensato che questi danesi amanti di avanguardia e tecnologia volessero demolire tutte le nostre certezze. Invece mi sa che stanno cercando soltanto un po’ di affetto e qualche attenzione.