Sono serviti venti anni di silenzio e quasi anonimato, ma ora Sarajevo sta lentamente diventando una città nuova e ha trovato almeno 10 modi di conquistarci. Invito alla partenza, in compagnia di un lupo degli anni 80, alla scoperta di musei inesistenti, fashion collettivi e bunker con sorpresa.

1. Aggirare Google Maps
Provate voi a scovare il forno più antico di Sarajevo, chiuso in un cortile segreto nei pressi della moschea principale in Bašcaršija (città vecchia), per assaggiare le dolci "kifle" a forma di mezzaluna. Google Maps, arrivato solo qualche mese fa, non ci è riuscito. Troppe gallerie coperte e passaggi introvabili rendono gran parte dei luoghi irraggiungibili senza informazioni di prima mano. Obbligatorio per i turisti in aumento, dunque, è interagire con i passanti. L'arrivo dei primi volti orientali ha portato una sferzata di ottimismo: «Quando si iniziano a vedere, vuol dire che le cose stanno migliorando», si dice. In una città che vuole offrirsi con i suoi confusi e affascinanti pastiche estetico-architettonici.

2. Portare la campagna in città
Le colline sono tornate docili punti panoramici, dopo aver intrappolato la città per quattro anni. Si sale da Biban per polenta con panna acida e su al Kibe per un piatto di "keple" (ravioli). I fan dei cibi genuini saranno accontentati: non annoverare praticamente nessuna fabbrica sul territorio nazionale garantisce un'agricoltura non intensiva, anzi, praticamente famigliare. Proprio da famiglie o cooperative spesso gestite da donne arrivano tutti i prodotti del negozio di Malka Alić, Ujedinjena Hercegovina, accanto al mercato più tristemente noto della città. «Formaggio, olio, miele, ma anche creme di bellezza, ho cercato il meglio della campagna per buttarmi in questa avventura. Lavoravo nella produzione cinematografica, poi mia madre mi ha lasciato il negozio cheaveva gestito per trent'anni e ho voluto che rappresentasse il paese in modo nuovo». In coppia con la sua socia Jasmila Žbanić, regista Orso d'oro a Berlino per Grbavica - Il segreto di Esma. «Tutti si lamentano di quanto sia difficile fare qualsiasi cosa in Bosnia, ma non si deve essere pronti solo al fallimento, anche al successo», continua Malka. E il passato e le divisioni non contano? «Tra i tanti problemi di adesso, alla fine non pensi né al passato né al futuro, ma solo al presente. Non possiamo permettere che ci opprima, ma conserviamo la memoria. Ricordo bene siala morte di mio padre che la prima edizione del Film Festival durante l'assedio: tutti stretti per il freddo a guardare Pulp Fiction. La scena dell'hamburger a noi fece venire solo una gran fame».

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Il Tito Bar a Sarajevo

3. Lanciare una sfida on the road
Valicare i confini urbani per scoprire un paese che resiste. Cooperative capitanate da donne straordinarie, come la Insieme di Bratunac o la Orhideja a Stolac, vanno avanti con tenacia in ambito agricolo e sociale. Grazie anche al progetto di microcredito e consulenza di Oxfam Italia, che ha sostenuto ristoranti, b&b e attività come centri rafting,oggi raggiungibili con due app gratuite sviluppate da Oxfam per promuovere il turismo eco-sostenibile: BiH Guide e Somewhere.

4. Diventare una Bilbao underground
A guardia di una wunderkammer c'é il curatore più tenace di tutta la storia dell'arte: ama fare da guida a un museo che non c'é e ha il sogno di trasformare Sarajevo nella Bilbao dei Balcani. Enver Hadžiomerspahić ha raccolto negli ultimi venti anni opere regalate da artisti come Michelangelo Pistoletto o tramite fondazioni e musei, come il Luigi Pecci di Prato. Per ora pezzi firmati Marina Abramović, Anish Kapoor, Jannis Kounellis e Daniel Buren attendono nel deposito dedicato alla collezione Ars Aevi nell'ex centro olimpico Skenderija (con misteriosi orari di apertura al pubblico, ma fino al 24/11 sono in mostra all'Arsenale di Venezia, Tesa 105). Un progetto donato da Renzo Piano per il museo attende di essere messo in moto: si nutrono speranze di iniziare i lavori l'anno prossimo, in occasione degli eventi per l'anniversario dell'attentato che diede inizio alla prima guerra mondiale.

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Daniel Buren, La Place des drapeaux.

5. Piantare un giardino delle delizie
«Spesso non si riesce a entrare tante sono le persone ai vernissage, ma non vendo praticamente nulla in Bosnia, porto tutto a Parigi», racconta Pierre Courtin, fondatore della galleria Duplex100m2 (Obala Kulina Bana 22, altro anfratto introvabile senza aiuto), da nove anni punto di riferimento per chi ha voglia di scoprire l'arte bosniaca contemporanea. Qui ha esposto Mladen Miljanović, 32 anni, artista scelto per il padiglione bosniaco della Biennale di Venezia 2013, una piacevole sorpresa dopo dieci anni di assenza (per dispute puramente politiche). Il suo The Garden of Delights (un trittico in marmo, un videoclip e un'installazione) vorrebbe essere, oltre a una citazione di Hieronymus Bosch, quanto di meno la gente associa normalmente alla Bosnia. «Se non ti aspetti di vedere Picasso puoi trovare cose di buon livello nelle gallerie della città», racconta Zoran Herceg, artista e corrispondente per agenzie di stampa. Della stessa opinione Danijela Dugandžic Živanović, fondatrice di Crvena, associazione culturale femminista, che suggerisce di visitare il Collegium Artisticum dove espongono spesso loro membri, come Adela Jušić, Lana Cmajcanin e Nela Hasanbegović. Mentre le piccole realtà private sono piuttosto attive, il Museo Nazionale di Sarajevo ha chiuso tra le proteste circa un anno fa per mancanza di fondi.

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Mladen Miljanovic, The Sweet Simphony of Absurdity.

6. Fare una discesa libera nella storia
Forme positive di revisionismo storico? Al bar dedicato a Tito la faccia paffuta del Maresciallo proietta in un'altra era: però non siedono fedelissimi vecchietti in divise sgualcite, piuttosto studenti più o meno affascinati da un'ondata di cosiddetta "Jugostalgia", nostalgia di un tempo in cui non erano nemmeno nati. Dopotutto, è poco più che una passione per l'estetica vintage. Come quella per Vucko, lupo- mascotte delle olimpiadi invernali 1984 che invade negozi di souvenir su t-shirt e calamite (indossereste una maglietta con il "Ciao" di Italia 90? Voi no, ma forse i turisti sì). A Konjic, invece, 50 km da Sarajevo, i seimila mq del bunker sotterraneo di Tito sono tornati a nuova vita con l'applaudita biennale di arte contemporanea D-0 ARK Underground.

7. Allenare un dream team di moda
«Non è considerata qualcosa di serio: non si pensa che la moda possa portare guadagno. Non si stampano vere riviste di moda in Bosnia, facciamo riferimento a quelle in Croazia e Serbia, ma noi cerchiamo di fare piccole produzioni, vendere i pezzi dei designer nello showroom, connetterci con altri nei Balcani partecipando alle fashion week dei paesi vicini». Gasha Miladinović, stylist e interior designer, racconta come è nato Modiko, collettivo di stilisti, truccatori, hairstylist e fotografi, che ha portato la propria mostra Hang On fino a Londra, dove ha studiato Gasha. È stato quasi un atto di resistenza personale da parte di tutti: «Non esistevano iniziative di moda collettive, ma solo qualche designer di talento e una fashion week di cui è meglio non parlare. Niente si evolveva nel senso giusto, allora ci siamo uniti noi». Una visita è obbligatoria allo showroom in centro (Maršala Tita 58) e, con la scusa del pezzo unico-deldesigner-emergente, si fa bottino.

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Il team di Modiko.

8. Offrire paparazzate da Oscar
Seduto al bar, davanti a un caffè, con una t-shirt slavata, Danis Tanović, regista premio Oscar per No Man's Land, ultimo Orso d’Argento a Berlino (An Episode in the Life of an Iron Picker) ed eroe cinematografico nazionale, non saltava esattamente agli occhi. C’è persino chi giura di aver bevuto una birra con Morgan Freeman quando era in città ospite del Film Festival, dopo averlo visto da solo al tavolino di un bar. Nemmeno Bono e i Brangelina hanno nascosto il loro amore per l’anonimato che la città consente. La stagione dei festival internazionali (uniche attività che paiono funzionare economicamente) è il momento migliore per la caccia alla celebrity. Se si riesce a trovare un posto in albergo, basta scegliere tra quello del cinema, del teatro, del jazz o lo storico festival d’inverno che continua senza interruzioni dal 1984.

9. Ispirare video dichiarazioni d'amore
«Vorrei che al le persone venisse voglia di visitarla, dimenticando la fretta di volerla ‘capire’, immergendosi nel suo tempo dilatato, con i lunghi caffè, la storia stratificata negli edifici. Non è chiaramente una cit tà come le altre, ma approcciarsi come se lo fosse aiuta a superare i pregiudizi», racconta Giulia Levi, 28 anni da Torino, che è rimasta più di un anno a Sarajevo per studiare. Al suo ritorno ha coinvolto l’amica Emina Omanović, Marco Rubichi, Federico Sicurella e il regista Rocco Riccio e ha creato Sarajevolution, documentario sulle istituzioni culturali cittadine, e in particolare sul la riaper tura del la biblioteca bruciata all’inizio dell’assedio. Un atto d’amore che vorrebbe raccontare una città contemporanea, non uno scheletro fermo a vent’anni fa. Anche il team di Sarajevolution non smentisce una diceria: chi va a Sarajevo torna sempre una seconda volta. Sarà colpa della leggendaria fontana accanto alla moschea centrale, che promette di far ritornare ogni viandante che beva un sorso: è come l’oroscopo, nessuno ci crede, ma bisogna fare la fila per avvicinarsi.

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10. Fabbricare risate terapeutiche
Parla di Angelina come “The Director”, senza mai pronunciarne il nome. Zana Marjanović, 30 anni, è stata protagonista del discusso film della Jolie Nella terra del sangue e del miele, mentre da tre anni è la star dei Magacin Kabare, gruppo di comici che tiene svegli ogni settimana gli abitanti di Sarajevo nell’affollatissimo Club Gogo, e sulla tv nazionale con una serie a episodi. «Ne sentivano tutti il bisogno, noi per primi: ogni giorno siamo sommersi da notizie negative. Le abbiamo prese e ci abbiamo fatto cabaret, che è anche impegno sociale, perché scegliamo temi attuali e a volte controversi».

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I Magacin Kabare.