Questo non è un diario di viaggio. Casomai, la cronaca frammentaria di un passaggio in India - meglio, di uno scalo - fatto da chi in India non c’era mai stata, aveva in proposito letto/visto/ immaginato un guazzabuglio di cose contraddittorie, e poi per quattro giorni si è ritrovata catapultata lì in mezzo. Dove lì sta per nel Tamil Nadu, a sud del sud (sul golfo del Bengala, «nel cuore dell’India dravidica», come recitano le guide). E più precisamente, restringendo ancora di più lo zoom, a Pondicherry, a 160 km da Chennai (tranquilli, anche parecchi indiani continuano a chiamarla Madras, facendoti notare che i soldi spesi per il rifacimento di segnaletica etc. avrebbero potuti essere impiegati meglio).

Rue Romain Rolland, l’Hôtel de Ville, belle case allineate, vecchie piazze alberate in stile provenzale, un canale che separa la cosiddetta “ville blanche” dalla “ville noir” (Nehru street, traffico, bazaar)... Pochi dubbi: Pondicherry è la capitale dell’ex India francese, e non a caso è qui che Dior (la prima maison a fare una sfilata internazionale in India, nel ’62) ha deciso di “attraccare” per presentare il suo nuovo profumo da crociera: Escale à Pondichéry. E visto che Christian Dior diceva che «dopo i fiori, le donne sono la cosa più perfetta creata da Dio», proviamo a seguire proprio i fiori e le donne (e i colori e i profumi) per orizzontarci.

Bollino rosso sulla fronte (te lo mettono quando arrivi in hotel, al ristorante, al museo etnografico...), coroncina di fiori al collo (idem), e a ronzarti in testa quella stupefacente canzone (Where do you go to) ripescata dal regista Wes Anderson per il suo The Darjeeling Limited. Pronti via.

I fiori

Gialli zafferano, arancioni e rossi sovraccarichi, verdi e turchesi caramella. E quel bianco lì, che sembra il colore più colore di tutti. I casi sono due: o il gelsomino (Sambac) che coltivano qui è davvero speciale o quasi tutto sta nella fantasia e nella grazia con cui lo usano. Difficile incontrare una donna (vedi siparietto successivo) che non ne abbia una ghirlanda meravigliosamente intrecciata (va’ a sapere come) ai capelli. Un taxista che non ci addobbi fantasiosamente il suo Ganesh appiccicato al cruscotto per proteggere il viaggio (la sconsideratezza del 99% degli automobilisti locali non aiuta). O una statua - piccola, grande, XL - di qualsiasi divinità che non ne sia profumatamente rallegrata. Detto così suona retorico-turistico, ma il Flower Market di Pondicherry sembra il set naturale di un ipnotico e sensualissimo film: nessuno che ha fretta, nessuno che cerca di venderti per forza qualcosa. E ovunque ghirlande multicolor, erbe (e profumi) di ogni genere, immensi cesti di rose, sambuco, tuberose, foglie di tabacco, gelsomino... Milena Canonero, costumista da Oscar, dev’essere appena passata di qui.

Le donne

Ci sono quelle che stanno al mercato dei fiori (vedi sopra), intrecciando mirabolanti ghirlande e aspettando noncuranti i clienti. Di tutte le età, e tutte con la stessa espressione, regale: occhi che bucano, il sorriso che come un elastico un po’ ti avvicina e un po’ ti allontana, e quella postura di chi se ne sta lì, al centro del suo mondo, e potrebbe serenamente non spostarsi per ore. Ci sono quelle che vanno in moto (tutte col sari, tutte senza casco ma con svolazzanti trecce al gelsomino) e che si dividono in due: quelle che guidano, con una grinta invidiabile e buffa (quei vestiti così femminili e quei serbatoi/manubri/parafanghi così sgangheratamente maschili); e quelle che si fanno portare, con aplomb anni 50 e fiduciosità da extraterrestri: come si fa a stare sedute all’amazzone serenamente abbracciate a uomini che dribblano quel traffico e quegli incroci senza fare un plissé? E poi ci sono le teenaager, che sbucano improvvisamente da una via secondaria o incontri a gruppetti lungo i sentieri di Mahabalipuram (a metà strada fra Chennai e Pondicherry): strepitosi resti archeologici su una spiaggia di sabbia bianca, bassorilievi open air, un tempio del VIII secolo... Emozionante, potente. Epperò quelle ragazzette con la divisa della scuola grigio-viola e la ridarella, che si tengono per mano e che quando le incroci ti fanno un sorriso grande così, ti rimangono in mente anche di più.

I colori

Insieme sfrontata e struggente, surreale e malinconica: l’India a colori è una sinfonia pop dalla partitura perfetta e segreta (prova a suonarla altrove e ci sarà sempre qualcosa di troppo, o di troppo poco). E poi c’è quella in bianco e nero, che per libere associazioni sparse parla di: purezza, passato coloniale, eleganza, e di quel lusso sobrio a cui non siamo più abituati. Prendi ad esempio una di quelle meravigliose Ambassador bianche (sono belle, ma meno, anche le nere) che ondeggiano su queste strade: ce ne sono anche di scassatissime ma quando ne vedi una fiammante, e così solida, e così diversa da tutte le nostre auto “blu” design-omologate, daresti non so che cosa per portartela a casa. Ma poi prendi anche l’eccezione (che conferma la regola): a pochi chilometri da Pondicherry c’è Auroville, l’utopica “città dell’alba” fondata nel ’68 dalla “Mère”, discepola di Sri Aurobindo. Giovani da tutto il mondo, idee magnifiche e progressive per farne un’esemplare comunità spirituale... Poi le cose sono andate altrimenti, e quando oggi arrivi in cima al Matri Mandir - il suo gigantesco centro di meditazione con la forma del fiore del loto (d’oro) - dove dalla cupola filtra la goccia di luce che massimamente dovrebbe elevarti, be’, tutto quel bianco freddo e hi-tech (marmi, moquette, tappeti, l’effetto laser del sole) ti ispira solo incubi fanta-ospedalieri e reminiscenze stile Star Trek.

I profumi

Suona retorico-turistico. Però. Da quando metti mezzo piede fuori dall’aeroporto (oltre all’umidità) quello che ti entra dentro è quel profumo. Profumo, non odore. E via via cominci a distinguere. La voluttuosa dolcezza del gelsomino. Il sandalo: caldo, aspro, dolcemente penetrante. L’aroma del tè, come se l’aria che respiri fosse sempre vagamente fumé. E poi quel miscuglio di aromi che sa di muschio, e cardamono, e frangipane, e di chissà cos’altro ancora che non saprai mai bene. Ma in qualche modo riconoscerai per sempre. Magari aprendo un flacone di profumo. Namaste.