A pochi chilometri dal Grande Raccordo Anulare, eppure lontanissimo dalla Capitale, Anzio è il posto più strano in cui i popoli laziali, da almeno 32 secoli, fanno il bagno. A differenza di quanto accade per altre località di villeggiatura prossime a Roma, infatti, Anzio non è un semplice prolungamento balneare dei vizi o delle debolezze coltivati entro le mura della città — vedi Ostia o Fregene — e neppure la parodia marittima dei suoi quartieri, bassi o alti che siano — vedi Torvajanica o Santa Marinella.

Anzio è un’altra cosa. È molto più di “un mare low-fi”, come i romani bene chiamano qualunque località balneare che si trovi a meno di due ore dal garage e che non sia Capalbio. È, piuttosto, la rappresentazione di due tipi di desiderio, apparentemente inconciliabili ma, tutto sommato, in equilibrio tra loro. Uno è quello dei romani di rivivere un loro passato glorioso a caso (importa poco se risalente all’epoca dell’impero di Nerone o a quella della prima gestione del chiosco del Lido Tirrenino). L’altro è quello degli anziati di essere lasciati in pace dai romani.

C’è una differenza tra vivere di ricordi e mangiare pesce crudo e bere Pecorino allo sfinimento

Anzio non si consiglia, ci si va e basta. Il club dei romani che hanno da sempre l’ombrellone ad Anzio è più o meno segreto. L’occasionale esposizione dovuta a incidenti di percorso come Il Salone delle meraviglie — trasmesso su Real Time dalla bottega del parrucchiere “dei vip” Federico Fashion Style — più che scoprire altarini, aiuta a celare meglio i veri, grandi nomi e cognomi che qui sono di casa, ma non compaiono mai sul citofono. Tanto che, come gli omosessuali in Proust, pur sapendosi riconoscere al volo, questi romani (capi azienda, scrittori, politici, artisti, musicisti) non sempre si salutano, soprattutto se fuori da Anzio, ma a volte anche nello stesso lido. Il fatto è che Anzio, prima ancora di essere un molo sul Tirreno, è un trampolino teso sui ricordi, sulla deformazione amatoriale della realtà chiamata memoria. E la memoria non sempre è un bene demaniale, soprattutto se si fa prendere la mano.

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La distruzione (pressoché totale) causata dal celeberrimo Sbarco alleato ha fatto sì che Anzio fosse la tela su cui dipingere, a partire dagli anni Cinquanta, il più bello e fantasioso autoritratto che il magmatico generone romano potesse concepire di sé, un’opera ben conservata dai suoi attuali eredi. Non c’è limite all’immaginazione di questi ultimi, quando cercano (e gli sembra davvero di trovare), nella loro Anzio, la nightlife di Forte dei Marmi e la signorilità amalfitana; le trasparenze della Costa Smeralda e lo stile di vita dei loro nonni.

A questa Anzio, che è un’introiezione, si contrappone quella, ben più verosimile, degli anziati. Il Molo Innocenziano divide il Capo d’Anzio in due riviere: quella di Levante e quella di Ponente. Due immense arene estive sui cui schermi vengono proiettate solo due rassegne: da una parte cinema onirico e, dall’altra, il neorealismo. Se Levante è un atto di fede in un mondo impossibile almeno dall’inizio degli anni ‘90, Ponente è il reality degli anziati. Ed è tutto da vedere se la parte migliore sia quella inventata. D’altronde, c’è una bella differenza tra vivere di ricordi e mangiare pesce crudo e bere Pecorino fino allo sfinimento. Le due valve della cittadina si escludono a vicenda né più né meno che in una disputa tra platonismo e aristotelismo. A Levante si sogna, a Ponente si esiste.

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Levante è i Parioli-on-Sea, la Marina di corso Trieste, tanto per motivi architettonici quanto antropologici. È come se una parte di Roma Nord, per via di una deriva non dei continenti, ma dei quartieri, si distaccasse dalla Capitale e si trasferisse, stagionalmente, una manciata di villini Liberty inclusi, settanta chilometri più a Sud. Ma il manifesto poetico di Levante è la rotonda dello stabilimento Tirrena, che ne è anche l’elemento architettonico più felliniano. Più felliniano perfino del Paradiso sul mare, il casinò di Roma che non aprì mai, ma che fu veramente scenografia per Amarcord. La rotonda del Tirrena oggi è spiaggiata, arenata, col mare che le è sfuggito da sotto i piedi, perché nel frattempo si è spostato qualche metro più avanti (per contrappasso, a Ponente la spiaggia si restringe). Perfino la grammatica, a Levante, è relativa. Il vero romano habitué di Anzio si riconosce da una particolarità linguistica: quando è ora, dice “vado a spiaggia" e mai “in spiaggia”.

Non c’è risposta alla fatidica domanda: che si fa a Levante dopo cena?

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Giovanni De Stefano

Un saluto alla compagnia del chioschetto detto Morbillo, che è il ritrovo del gruppo dello stand up paddle, e poi a letto, a sognare la gloria alla Scuffia Cup. Peccato che questa competizione non si tenga più da anni (vi partecipavano più di 100 barche, coi prodieri che le tenevano pronte e i timonieri che partivano dalle cabine del lido, a piedi, di corsa. Era sentitissima).

La prova d’amore finale per tanti romani d’Anzio è condurci la propria fidanzata high-maintenance — che villeggia al Circeo — sperando che vi si trovi bene; un po’ come, un tempo, genitori più pragmatici dei loro insegnavano a nuotare ai propri figli gettandoli da uno scoglio o, i più fortunati, da un cabinato.

Velistico e veristico non collimano, a Levante. C’è un particolare occhio di riguardo rispetto ai primati, che siano di estrazione marinara o gastronomica. Alcuni sostengono che la pizza al taglio sia nata qui, negli anni Settanta, da Pucci (detta Carla). Altri giurano che le ciambelle al vino non esisterebbero se non le avesse inventate il forno Marigliani di piazza Pollastrini. Gli anziati stessi non sembrano dare molto peso a queste leggende, con la tipica diffidenza dei Volsci rispetto ai Romani, che portò i primi a resistere più volte alle offensive dei secondi, che li conquistarono definitivamente solo nel 459 a.C., sebbene una certa rivalità sopravviva nei momenti più delicati della ricerca di un parcheggio o in fila alla gelateria Fornai.

Nerone statue night viewpinterest
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Ponente è una riserva degli anziati, che qui amano più che mai essere chiamati con la variante portodanzesi. È quasi impossibile imbattersi in un romano, da questo lato, a meno che non sia pugliese o marchigiano. Non c’è simbolo più riuscito della vita di Ponente dello stabilimento intitolato alla Dea Fortuna, che si estende dalle grotte di Nerone fino al ristorante Alceste. È così smisurato da somigliare a una balenottera che, sul suo dorso, nutra anche altri organismi parassitari, della cui esistenza spesso non è del tutto cosciente, tipo intere catene di grattacheccari o franchising di pannocchie arrostite. Controllarlo tutto sarebbe impossibile per le due agguerrite signore che trovate in direzione. Per questo, hanno dato vita a un sistema di bagnini vassalli, pizzaioli valvassori, tavole calde valvassine. Se le spiagge di Levante sono a numero chiuso, nella regina di Ponente c’è sempre posto, basta stringersi un po’ o passare la giornata a ingozzarsi.

Il grande vantaggio di Ponente è che è una spiaggia urbana, con dietro la città. Così, ti può venire il desiderio di un cono artigianale di Treccioni o di un fritto della Fraschetta del Mare, e puoi comodamente portartelo sotto l’ombrello (qui si dice così).

I negozi riflettono quasi sempre o l’uno o l’altro volto di Anzio. L’Emporio Venturi, in piazza Pia, è una spedizione speleologica in una stanza dei giochi di trent’anni fa. E non è una soddisfazione da poco vedere che balocchi di epoche passate — trenini, cucine, Memory — sono perfettamente conservati nel profondo della spelonca, come in un museo spontaneo, protetti dai raggi del sole e da acquisti incauti da parte di chi non li comprenderebbe; mentre giocattoli più recenti, di quelli che non durano più di una stagione, e magari sono anche un po’ bellicisti come Nerf o Liquidator, vengono lasciati alle intemperie, a ingiallire o scolorire.

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Giovanni De Stefano

Per inverso, non c’è esigenza nautica o clinica che non possa essere soddisfatta grazie a un passaggio da Peppino Tutto Mare (accanto alla sede della Lega Navale, vicino ai laboratori dei maestri d’ascia). Questi è una sorta di figura mitologica, per metà oracolo e per metà MacGyver acquatico. A lui si ricorre per qualunque tipo di malanno — del corpo e dello scafo — dai rimedi per le punture di meduse allo Svitol modificato. Se sei un tipico velista romano in crisi perché i grilli delle tue sartie sono troppo duri, vai da Peppino e risolvi. È l’archetipo del lupo di mare portodanzese che, anche in luglio, veste di lana, a volte anche con cappello abbinato, per stabilire una distanza di sicurezza, rispetto alla terraferma, da parte di chi non conosce poi altri confini.

Puoi trovare facilmente, seduti a due tavolini accanto, Paolo Gentiloni e Carl Brave

Solo in pochissime occasioni il meglio dei due mondi riesce a essere sintetizzato in una sola vetrina. Come quella del Bar dei Graziosi, che offre al pubblico l’ipertrofico pasticciotto dedicato a Gioachino Rossini (crema pasticciera, amarene, mele, Cognac, cannella), con la stessa evidenza con cui mostra i suoi colossali maritozzi con la panna. All’Enoteca del Gatto, in via Mazzini, puoi trovare facilmente, seduti a due tavolini accanto, Paolo Gentiloni e Carl Brave. Inoltre, può capitare che nascano amori tra Levante e Ponente, che puntualmente finiscono con grossi granchi presi dai levantini.

Qualche volta, uniti contro un fronte comune come spartani e ateniesi, anziati e romani rosicano all’unisono per il revivalismo della rivale Nettuno, agguerritissima, vicinissima, praticamente unita ad Anzio dal cordone ombelicale della Riviera Zanardelli. Non contenta di avere il suo castello sangallesco, il suo grattacielo, Santa Maria Goretti, Nettuno — che è Anzio attraverso lo specchio, col Levante al posto di Ponente — ora può vantare anche le feste hollywoodiane di Pierpaolo Piccioli, il direttore creativo di Valentino che non si è mai mosso dalle sue due case nettunesi, una di città e una di mare, con spiaggia annessa.

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Ma Anzio ha dalla sua un’altra arma. Da qualche tempo, soprattutto a Ponente, è sempre più frequentata da outsider indipendenti: studenti fuorisede nostalgici della propria Anzio, che sia in Salento o in Sicilia; giovani professionisti col senso del denaro; perfino qualche famiglia di commercianti cinesi. Sono questi il futuro di Anzio? È troppo presto per dirlo. Certo, però, queste categorie godono di un privilegio non da poco: pur non avendo un posto in prima fila da Romolo al Porto o non conoscendo il numero della hotline Whatsapp di Peppino Tutto Mare, sono liberi di amare tutta Anzio, senza riviere che tengano.