Di "scontrosa grazia" ne parlava già Umberto Saba descrivendo Trieste. L’asperità selvaggia e ancestrale di quei confini-non-confini su cui persero scarpe e vite migliaia di soldati allo sbaraglio, segnando una delle pagine più crude della storia mondiale, si avverte in fantasmi ungarettiani quando si sconfina rapidamente in macchina. Un colpo di frizione che cancella cento anni di storia. Italia, Austria e Slovenia: tre paesi che hanno avuto in comune pace, guerra, imperi e difficoltà. Tre paesi recenti che si sono sfidati, hanno perso, hanno subito disfatte e eretto muri di frontiera, pur sapendo che idee e persone difficilmente le puoi fermare con un filo spinato o una lingua diversa. L’esperanto delle montagne della Mitteleuropa è una fetta di formaggio di malga, uno shottino di schnapps, le erbe aromatiche che profumano di pietra e boschi eterni, il cibo offerto come premio ai camminatori instancabili che silenziosamente risalgono palmo a palmo i pendii, senza chiedere nient’altro che rifocillarsi e dormire. Bisogni essenziali che a migliaia di metri di altitudine si spogliano di ogni eccesso: un giaciglio in camerata o la tenda piantata fuori nel buio totale, dove le vette sfumano in ombre più scure. Il calore di una coperta leggera nel sonno regolare delle notti austriache. Il camminatore doc ha sempre i muscoli pronti a ripartire verso il prossimo sentiero. Il camminatore improvvisato avverte l'acido lattico, ma lo spettacolo è così magnetico che la fatica non si sente più.

Mountainous landforms, Mountain, Geological phenomenon, Mountain pass, Rock, Mountain range, Luxury vehicle, Sky, Vehicle, Alps, pinterest
Getty Images

Italia, Austria e Slovenia. Il disegno a tappe lo ha tracciato MADE – Malga and Alm Desired Experience, un progetto interregionale e internazionale del Consorzio di promozione turistica del Tarvisiano, che nel paese friulano ha il suo centro di gravità permanente. Cosa vedere in Friuli (e non solo) è una mappa del tesoro in una cartina geografica transfrontaliera, accessibile a chiunque abbia sviluppato la giusta curiosità, non si spaventi dei tornanti e custodisca un rispetto profondo per la natura. La montagna non vuole fronzoli: tu la vivi, lei ti premia. A modo suo. Lo scambio passa per scarpinate su costoni di roccia che svelano nevai commoventi, prati infiniti costellati di fragoline di bosco (mangiarle intiepidite dal sole è purissimo lusso), salti qua e là nel roaming europeo che ha contribuito, in qualche maniera, ad abbattere anche l’ultimo residuo di idea di frontiera.

Oggi i confini sono simbolici: pietre discrete sul sentiero a Egger Alm, dove bastano le iniziali su due facciate a farti intuire se sei sul versante austriaco o italiano. O le bandiere che svettano scolorite dal tempo sulla strada che da Cividale del Friuli (e dal primissimo spritz del benvenuto) scivola in un gioco di bianco, verde e azzurro fin dentro il primo avamposto della Slovenia: Hiša Franko, la casa professionale di chef Ana Roš, una delle tre imperatrici del gusto del nordest italiano assieme ad Antonia Klugmann e Fabrizia Meroi. Tre personalità distinte, diversissime, complementari nel carattere e identiche per la spinta determinata. L’approdo da Hiša Franko è un premio da meritare, il braccio di ferro che si decide di tenere con se stessi per esordire nella conoscenza delle asperità montane. Ci si sfida lasciandosi sconvolgere dalle scelte potenti e peculiari di Ana Roš: sapori angolari, forti e precisi, inediti anche per il palato più allenato, sui quali si appoggiano i vini di Valter Kramer. Accostamenti che fanno chiudere gli occhi e calare il silenzio al primo boccone, mentre la lingua azzera le sue antiche conoscenze e riscopre il valore della stratificazione del gusto. Un taco di piantaggine, piante selvatiche, dressing di miso di nocciola e fiori di sambuco, l’affumicatura che rivela la morbidezza insidiosa di una melanzana, il tocco di rafano e pancetta a sbalordire in un dessert, quel morso di pane acido di farro con burro di malga al polline per ristabilire le priorità dell’esistenza. Che comprendono, necessariamente, una sosta da Hiša Franko almeno una volta nella vita.

Dalla Slovenia all’Austria cambia il paesaggio ma non l'elasticità mentale, superare le frontiere significa soprattutto modificare il proprio ordine di idee. Così si può scoprire come è fatta una sala di affumicatura vecchio stile, con l’odore profondo e impregnante che diventa l’essenza della serata. A Hermagor Pressengger See lo Schloss Lerchenhof è un castello che risale a fine Ottocento dove si dorme in stanze che sembrano uscite da una rappresentazione d’epoca, e si mangiano i prodotti locali in una cucina sobria e tradizionale quanto basta per accettare qualche variazione sul tema. È qui che si produce il gailtaler speck con maiali allevati in amore e devozione dalla famiglia Steinwender, controllati ad ogni stadio della vita prima di ricavare l’affettato simbolo delle montagne. Che a queste latitudini conosciamo a malapena, ma al confine tra Austria e Italia è una vera cultura di taglio delle parti grasse, salatura, aromatizzazione, affumicatura con legno di faggio (che varia a seconda delle esigenze finali) e soprattutto debito riposo. Lo stesso principio vale anche sul versante caseario, con i formaggi protagonisti assoluti. Che sia sul confine austriaco a Egger Alm, un agglomerato di microbaite in legno -ambitissime dagli amanti dell'altitudine- dove la käserei è pronta a soddisfare ogni voglia di aumento di colesterolo, o alla ariosa Malga Montasio dove si produce l’omonimo formaggio in un paesaggio da cartolina mentre il casaro Adriano ti racconta la (sua) vita e la dolcezza delle mucche esalando un gioioso “Non potrei fare altro”, latte e latticini di malga sono la quintessenza lussuriosa, avvolgente e rivelatrice delle montagne transfrontaliere. Serviti a triangoli su taglieri strabordanti, mascherati in fili goduriosi in un piatto di spätzle da mangiare durante un temporale improvviso, trasformati in dolcezza goduriosa nel più buono dei kaiserschmarren, i formaggi di malga sono il peccato divino da concedersi dopo chilometri di camminate in assenza di 4G.

Lago di Fusine - Friuli Italypinterest
Alberto Masnovo//Getty Images

Non servono i social, ma la socialità sì. Nell’armonia dei silenzi che ad alta quota diventano quasi insostenibili la montagna ti mette di fronte a te stesso, a limiti da superare, a riflessioni che possono spaventare. Le persone giuste diventano imprescindibili per aprire cuori, far nascere dibattiti che terminano con un cin cin (chi con camomilla e menta di montagna, chi con splendidi vini), confidare segreti sul nastro magnetico di una cena. Al Rifugio Celso Gilberti, nel gruppo del Monte Canin fra Sella Prevala e Bila Pec a 1850 metri di altitudine, c'è uno degli spettacoli più clamorosi cui la natura e l’uomo possano aspirare, con la notte che avvolge di buio denso l’ultima luce accesa e rimette in bolla lo spirito.

Niente angoscia, anzi, un invito alla filosofia. Fabio e Irene, che hanno deciso di gestirlo con un meraviglioso colpo di testa dettato dall’amore per la montagna, ci tengono alla naturale essenza dei rifugi alpini. Fronzoli pochi, bisogni primari garantiti: giacigli, ristoro, bagni. Stop. Chi arriva a piedi o con la cabinovia (che funziona anche durante il No Borders Music Festival, con concerti ad alta quota) impara la sottile arte di rinunciare gioiosamente agli estremi della privacy. “Qui ci sono condivisione e contaminazione: se c’è un posto libero ad un tavolo ci si siede a mangiare, se c’è un posto a dormire si divide la stanza perché nessuno può restare senza dormire. Non è albergo, non è ristoro, è rifugio: tutti devono avere la possibilità di stare” sottolinea Fabio. La differenza qualitativa di questo rifugio è il cibo: una volta si puntava a rifocillare senza troppe sovrastrutture. Gli attuali piatti serviti al Rifugio Gilberti, invece, sono degli spunti di altissimo livello per reinterpretare gnocchi, polenta con morchia (burro fuso con la stessa farina di mais della polenta, una carezza ruvida per il palato), funghi, erbe di campo e carne di cervo secondo dettami più creativi che non dimenticano mai l'essenza della montagna. Serve a non sentire il freddo anche in estate, a scaldare lo stomaco e predisporre a sogni confusi nel profumo di abete della camerata condivisa. Dove l’atmosfera è da gita scolastica, con venti anni di ritardo e molta più conoscenza dei vini da bere.

Mountainous landforms, Mountain, Highland, Mountain range, Sky, Ridge, Hill, Atmospheric phenomenon, Wilderness, Fell, pinterest
Courtesy Archivio Co.Pro.Tur. (Fabio Tabacchi)

Le lezioni di rispetto della montagna seguono tornanti che si superano più facilmente dormendo a tappe, mentre i pensieri ripuliti dal vento fresco e il cervello rigenerato dalle sfumature di verde, grigio e azzurro trovano la loro collocazione. Le montagne della Carnia solo l'ultimo avamposto dell'avventura, nella sperduta e deliziosa Malga Glazzat si siede su tavoli di tronchi di abete per la delizia finale. Dal Ristorante Laite di Sappada è ospite gradita Fabrizia Meroi, chef stellata Michelin e vincitrice dell’edizione 2018 del premio Atelier des Grandes Dames, per un'apparizione magistrale. Una timida fatina dalle idee limpide come un lago tra le rocce, che impiatta ravioli di patate e mele essiccate ripieni di ricotta acida e saltati con burro d’alpeggio con la stessa delicatezza con cui ti farebbe una carezza. La dolcezza di Fabrizia Meroi è racchiusa in un filo di voce delicata come un fiocco di neve, gli occhi fermi e curiosi raccontano di aver guardato proprio alle montagne per la sua rivisitazione della pastiera napoletana realizzata con farina di grano saraceno, ricotta, composta di albicocca e accompagnata da una pallina di gelato al fieno. Eccola, la vera essenza curativa delle montagne di Italia, Austria e Slovenia: lasciare ampio respiro alla contaminazione fertile. E spostare i confini politici del palato e del corpo finché non ce ne saranno più.

Scopri di più cliccando qui