Ruanda, pomeriggio inoltrato. Il terreno è bagnato e scivoloso, la pioggia scivola dai cappucci fino sulle guance. Siamo appena usciti dal rifugio nella foresta, dove abbiamo passato un’ora con i gorilla, e siamo entrati nella nebbia mattutina che avvolge le montagne fino a un campo da bassi cespugli. Tengo stretta la mano del mio accompagnatore, Mike, la sua presa, ferma sul mio braccio, sembra una morsa, mi evita un altro probabile incidente e cerco di fare del mio meglio per non cadere tra le ortiche che crescono sulle pendici del vulcano. Chi traccia il sentiero è davanti a noi, tagliando coi machete tutto ciò che ci impedirebbe di avanzare. Camminiamo in un silenzio punteggiato ogni tanto da “attenzione, questo punge”. Abbiamo viaggiato insieme per una settimana e questo è il momento in cui siamo più quieti in assoluto. Credo perché ognuno di noi sta riflettendo su quello che è successo... Solo qualche attimo prima, quando i miei occhi si sono posati su uno di quei giganti gentili avevo abbassato la macchina fotografica e smesso di scattare. Siamo stati più di un’ora con i gorilla, ma sono sembrati 5 minuti o 5 ore allo stesso tempo. Mentre torniamo a piedi al campo, c’è qualcosa di indescrivibile nell’aria. Appagamento. Stupore. Felicità.
Accettazione. Gratitudine. Sto lentamente capendo che nulla sarà mai più lo stesso. Questo incontro è stato il culmine di uno dei viaggi più illuminanti della mia vita, mi ha aperto gli occhi. Tutto ciò che mi è accaduto finora, il bene e il male, mi ha portata fino a qui, e solo per questo lo rifarei di nuovo.
25 anni dopo il genocidio il Ruanda è conosciuto ancora e solo per questo passato oscuro, la sua storia getta un’ombra su questa terra dalle mille colline: per più di cento giorni nel luglio del 1994 il Ruanda ha vissuto le atrocità del genocidio più cruento della storia d'Africa che coinvolse prevalentemente l'etnia Tutsi. È un carico pesante che non può non essere associato quando si pronuncia il nome dello stato tra i più piccoli del continente africano. Eppure, appena atterriamo, capiamo subito che le nostre aspettative subiranno scossoni: positivi. In tutto il paese, da Kigali al lago Kivu, le strade sono più pulite di qualunque altro posto in cui sia mai stata, le persone spazzano le foglie cadute e i bambini vanno felicemente a scuola: nuove generazioni crescono allontanandosi da quei fardelli drammatici? I paesaggi sono verdi lussureggianti, le colline rotonde sembrano onde all’orizzonte e la nebbia del mattino aggiunge un tocco di mistero. Non è tutto un paradiso, non può esserlo dopo un passato che ha i suoi strascichi sociali, culturali ed economici: ma l'aria è quella di una rinascita in costante crescita alimentata da forza di volontà.
Questa nazione ha cambiato rotta, o almeno ci sta provando, si sta concentrando sull’adattamento e sul modo di avere tutti un interesse in comune (rimbalzano, non a caso, le notizie della nascita di una prima azienda che produce smartphone 100% made in Africa dai prezzi democratici ndr). Con una delle più ricche biodiversità dell’Africa, e gli animali selvaggi che soffrono dall’aumento del bracconaggio e della caccia, il governo del Ruanda non ha altra scelta che l’adattarsi, e cambiare completamente a livello di nazione. Gli ex cacciatori e le loro famiglie oggi lavorano come custodi per favorire il reinserimento della fauna in pericolo e la tutela delle specie animali più uniche al mondo è uno dei pilastri della nuova economia ruandese.
Il Ruanda ha fermato la mia vita e l'ha fatta ripartire. Ha cambiato per sempre il mio modo di viaggiare e fotografare, di guardare e immortalare. Il Ruanda ha scosso tutte le mie aspettative e mi ha fatto riflettere su quello che conoscevo fino a ora. Mi ha insegnato che il viaggio non è solo guardare e fotografare ma è anche connessione. Connettersi e imparare, dagli uni e dagli altri.
** Kim Leuenberger è una fotografa svizzera di 27 anni che ha studiato e vive a Londra. Ambassador Leica Kim ha un blog di viaggi ed è una viaggiatrice seriale, meglio se con un volante tra le mani.