Viaggiare ai tempi del Coronavirus è un concetto a effetti multipli. Quello di chi doveva venire in Italia in vacanza ed è stato dissuaso dal suo stesso governo, quello di chi doveva andare in vacanza dall’Italia all’estero, ma non è più ospite gradito, e quello di chi, comunque, si deve spostare per lavoro o per motivi familiari e deve scendere a compromessi con il kit di cautele e disagi che comporta un’epidemia. Come tre giornaliste di MarieClaire.it che raccontano la loro esperienza.

NB: visti i costanti aggiornamenti sul tema, le norme e le limitazioni si ricorda che questo articolo riporta esperienze effettuate nell'arco di tempo dal 24 al 25 febbraio.

Volo Milano / Londra.
Nervosismo, ansia, malumore: sono le sensazioni, negative ovvio, che si avvertono all’aeroporto di Milano Linate, il day after l’outbreak del Coronavirus nel Nord Italia. I gate sono quasi deserti, i viaggiatori mantengono le dovute distanze di sicurezza (almeno un metro e mezzo) e i saluti tra i familiari al check sono meri ciao-ciao e buon viaggio a distanza mentre i baci sono solo da prendere al volo. D’altronde, non si sa mai. Prendere un volo British Airways Milano Linate/London Heathrow il giorno dopo significa partire con 90 minuti di ritardo perché il tuo velivolo ha accumulato ritardo durante la giornata. Motivo? Un passeggero sulla tratta precedente Londra/Milano, all’ultimo, leggendo le news e il numero dei contagi in rapida ascesa, ha chiesto di scendere dall'aereo. Le procedure di sbarco hanno causato quell’ora e mezza di ritardo. Legittimo e giustificato, anche se, quando ti rendi conto che a parte il numero di mascherine circolanti esorbitante e il sapone finito nei dispenser del bagno, tutto è alla normalità. Nessun controllo della temperatura, nessuna misura straordinaria. Ma poi, appena superata la dogana, leggi la notifica sul cellulare: italiani respinti all’aeroporto di Mauritius. E allora sì, che il dubbio di non riuscire a raggiungere non London Heathrow, ma proprio il centro di Londra, la tua casa e tuo marito a Canonbury, ti viene. Eccome se ti viene. O peggio ancora, di finire in quarantena in un base militare, o chissà dove, per quattordici lunghissimi giorni. Questa storia ha un lieto fine: arrivata a casa sana e salva, as usual. All’arrivo in UK, nessun controllo o misura ad hoc per quelli del Nord Italia. Unico brutto ricordo: un padre che mortifica la figlia piccola, di circa 7 anni, e di conseguenza sgrida la moglie, perché la mascherina non era posizionata alla perfezione. Anche se per consumare il pasto della business class e toccare quel tavolino pieno di germi, nessuno si è fatto problemi, padre incluso. (Chiara Ugo Baudino)


Treno Roma / Milano. “Si segnalano ritardi fino a 190 minuti per controlli sanitari”, rimbomba la voce in stazione, e tu pensi “okay, se è il massimo che ci si deve aspettare in una situazione di emergenza la sopporteremo, pur di andare a casa”. Invece un semplice viaggio da Roma a Milano si trasforma in un incubo di 8 ore e 20 minuti, quasi 5 di ritardo che ti saresti risparmiato volentieri se gli operatori della compagnia fossero stati sinceri, perché avresti semplicemente rimandato la partenza di almeno un paio di giorni. Il mio viaggio è iniziato alle 16.50 di lunedì 24 febbraio ed è terminano il giorno dopo all’una di notte, se escludiamo la difficoltà di trovare un taxi a Milano (deserta) a quell’ora e ritrovarsi alle fine, nel proprio letto quasi alle tre. La cosa più surreale che ti viene in mente mentre ormai il tuo corpo e il sedile sono fusi insieme – se potessi parlare con la me stessa di qualche giorno fa la ringrazierei di aver scelto il vagone comfort – sono le tante misure adottate dai comuni per evitare aggregazioni e contagi: cinema chiusi, eventi annullati, la lezione di yoga cancellata, la scuola di recitazione sotto casa con le porte sbarrate. Ma tu sei in un lungo tubo di metallo fermo da un’ora a Firenze, e poi ancora un’altra ora a Bologna e così via, a stretto contatto con centinaia di persone potenzialmente a rischio, fra le quali ne basta una sola positiva e inconsapevole per contagiarne parecchi, e ogni cautela è andata in malora. La gente segue giustamente i consigli e si lava le mani spesso, per cui è normale che dopo la quarta ora di viaggio il sapone dei dispenser dei bagni sia già terminato, e poiché si pensava di essere a casa alle 20.00 nessuno si era portato la cena in borsa e i panini dal carrello delle vivande sono andati via come banconote da 100 euro sparse sull’asfalto. Poi si cede al sonno, e ti risvegli con il torcicollo più atroce della storia dei torcicolli, come è giusto che sia dormendo seduta e tesa di rabbia. Forse sta andando peggio ai due neonati che piangono, e ai due barboncini che mugolano sotto i piedi del padrone. Il giorno dopo, ne avrai da raccontare. (Debora Attanasio)


Nave, Treno Genova / Roma / Bari / Barcellona. Negli ultimi 15 giorni ho viaggiato molto fuori Roma, dove abito. Ho preso treni verso nord e ritorno, aerei per il sud, persino una nave da crociera. Sono stata fortunata, disagi ne ho riscontrati pochi, anche perché non era ancora scoppiato davvero il panico: un ritardo in partenza per guasto tecnico al treno Roma-Genova, poi recuperato. Le uniche differenze rispetto al solito sono i dispenser di igienizzante mani sparsi qua e là, e il controllo sanitario alle “frontiere”. Il primo termometro a infrarossi l’ho sperimentato a Bari, dove con discrezione, dei cartelli freschi di stampa erano appesi ovunque per spiegare i protocolli di sicurezza: un breve rallentamento all’uscita dell’aeroporto, meno di dieci di minuti di fila per misurare la temperatura. La camera termica all’imbarco in crociera a Savona, dopo aver compilato un’autocertificazione scrupolosa sul proprio stato di salute (e i medici ringraziano per la coscienza civile), è stato il secondo passaggio. Ultimo, al rientro da Barcellona: visto il flusso di passeggeri da tutto il mondo, a Fiumicino il controllo della temperatura è obbligatorio, e tutto sommato, rapido e indolore. (Arianna Galati)