Una caldissima estate mi sono imbarcata in un viaggio verso mete indefinite in una vecchia familiare grigia metallizzata con altre tre persone. Erano tutti surfisti, tutti tranne me. Abbiamo fatto centinaia di chilometri senza fermarci, dandoci il cambio alla guida. Avevamo fermato due tavole da surf sul tettuccio della macchina e altre due erano distese di lato tra i due sedili anteriori, che attraversavano l’abitacolo della macchina in lunghezza, dal parabrezza al sedile di dietro, incastrate fra i sedili anteriori. Le tavole avevano la punta pericolosamente vicino al parabrezza e le code incastrate nella tappezzeria del sedile posteriore, praticamente dividevano la macchina in piccoli settori. Dividevano lo spazio fra i passeggeri. Non un viaggio comodissimo ma assolutamente pieno di fascino e libertà. Non sapevo molto del surf, sapevo che era un’alternativa con un’allure particolare agli sport a cui ero abituata e che veniva da lontano. Con la macchina piena di tavole da surf, mute e attrezzatura tecnica da far invidia ad un negozio specializzato in sport acquatici siamo arrivati sull’oceano. Non ero molto attratta dal surf allora ma in quelle circostanze non potevo far altro che provare anche io a cavalcare le onde. Dopo quella prima esperienza nell’oceano, ho fatto altri viaggi surf oriented e sono andati sempre meglio. Mi sono gradualmente immersa nella cultura del surf, che in realtà ha molto poco di sport e assomiglia a vera disciplina se non addirittura ad uno stile di vita.

Giorni selvaggi

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Lo stile di vita surfista è molto connesso allo yoga e in tutte le surfhouse in cui sono stata ho trovato spazi dediti allo yoga. È stato proprio lo yoga, che invece già conoscevo e praticavo, a portarmi dentro la cultura del surf. Le surfhouse sono case di privati o veri e proprio ostelli che offrono camere in affitto in luoghi dediti al surf, sono vicine al mare e solitamente molto umili. Oltre ad un letto ed una doccia calda offrono un’atmosfera molto rilassata e spazi per l’attrezzatura da surf, tavole, mute... Ormai le surfhouse sono disseminate in tutti i luoghi, gli spot, in cui si fa surf e sono frequentate quasi solo da surfisti, il che genera una grande affinità fra gli ospiti e l’atmosfera che si respira in questi posti è davvero magica e distesa. Le ore del tramonto dopo una giornata in mare e in spiaggia, dove tutti si lavano la muta e con calma ci si prepara alla cena sono uniche. Nelle surfhouse il relax è di casa e il tempo si ferma. I ritmi sono scanditi dalle uscite, ovvero dai momenti della giornata in cui le condizioni del mare sono le migliori entrare in acqua e fare surf. Si cena presto e si va a letto poco dopo, per svegliarsi introno alle sei ed essere in mare già nelle prime ore della giornata.

The History of Surfing (English Edition)

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Nonostante io adori dormire, le mattine in mare a fare surf mi hanno regalato molti ricordi di pace mentale e serenità. Ricordo anche molto dettagliatamente i piccoli pulmini pieni di sabbia che dalle spiagge remote ci riportavano nella surfhouse sfiniti dallo sforzo fisico, pieni di sale con la pelle che tirava e il cuore in pace. Mi ricordo la luce gialla dei tramonti e il senso di grandezza e infinito che ti trasmette l’oceano. In quel preciso periodo, quando mi capitava di prendere i pulmini sabbiosi e umidi, invasi dalla luce gialla del sole calante stavo curando il mio cuore infranto, dopo una storia finita molto male. Ricordo quella luce come un balsamo e quelle giornate a combattere contro l’equilibrio, il freddo e le onde come i mulini a vento di Don Chisciotte che però mi stancavano a tal punto da donarmi la pace interiore seppur per poche settimane.

DGV Surf Shacks: An eclectic compilation of surfers' homes from coast to coast

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I luoghi in cui si fa surf sono quasi sempre spiagge con acqua molto fredda, dove la muta è d’obbligo anche d’estate per poter resistere in acqua più di 20 minuti. Nella maggior parte dei casi si tratta di spiagge sconfinate, poco popolate e con forte vento, tipiche dell’oceano a cui ci si affaccia dalle coste del nord Europa, Francia, Portogallo e costa ovest del Marocco. Gli ombrelloni, i venditori ambulanti e i lettini appartengono ad un mondo parallelo. Qua serve protezione solare altissima perché il vento inibisce la percezione dei raggi solari, stick totale su quasi tutto il viso e cibi energetici. Anche lo yoga e la musica sono parte integrante dell’atmosfera. Il contatto con la natura è il valore più importante che ti porti dentro di te da questo tipo di esperienze. Quando sali su una tavola da surf e prendi un’onda rimanendo in piedi, senti la forza dell’acqua che ti sospinge velocemente e ti fa scivolare sulla superficie. Serve un grandissimo controllo dei tuoi muscoli e una leggerezza nei movimenti difficile da trovare. Non posso certo dire di essere una grande surfista ma la sensazione di slancio e potenza è inequivocabile. Dopo tanti, tanti, tanti minuti a galleggiare sulla superficie marina con la tavola sotto di te, prendi finalmente l’onda giusta e scivoli sul mondo, un mondo blu, salato e potentissimo che per un istante si è alleato con i tuoi movimenti. È un momento mistico. James Cook nel dicembre del 1777 vide un indigeno di Tahiti farsi trasportare da un’onda su una canoa e nel suo diario di bordo scrisse: "Mentre osservavo quell'indigeno penetrare su una piccola canoa le lunghe onde a largo di Matavai Point, non potevo fare a meno di concludere che quell'uomo provasse la più sublime delle emozioni nel sentirsi trascinare con tale velocità”.

Serve anche stare sdraiati sulla tavola con la guancia appoggiata alla superficie, per riposarti, quando il mare è calmo e aspetti che arrivi un’onda, tu sei nell’acqua alta e intorno a te c’è solo sole e blu marino. Basta stare così, stesa sulla tavola a pelo d’acqua, per ricaricare tutte le tue energie e riempirti la mente e gli occhi di serenità.

Surf Graphics

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Nell’ultima surfhouse in cui sono stata ho conosciuto tre ragazze australiane. Solcavano le onde con una naturalezza incredibile mentre io annaspavo con la schiuma delle loro tavole. Inutile dire che erano nate con la tavola ai piedi. La sera, tutti noi ospiti ci ritrovammo su tetto della surfhouse che si affacciava sull’oceano, una distesa scurissima, senza alcuna luce, che iniziava subito sotto di noi. In quel particolare paese sperso sulla costa la luce andava via alle undici di sera, e dopo quell’ora le strade e la spiaggia cadevano nella totale oscurità e si sentivano solo i cani randagi nelle piccole stradine. Le stelle e il rumore dell’oceano cullavano chi di noi indugiava ad andare a letto. Stavamo lì con luci elettriche e circondati da mute gocciolanti appese ad asciugare, infagottati con felpe e coperte. Nonostante avessi poco in comune con quelle tre ragazze, mi hanno trasmesso un grande senso di libertà e di appartenenza che nel loro caso era veicolato dal surf. Mi hanno spiegato che la cultura del surf è strettamente legata alla cultura dei luoghi in cui è stato inventato: Polinesia, Indonesia e Micronesia. Il mare, il vento e la vegetazione erano, e sono tutt’ora, elementi spirituali per gli aborigeni di queste zone, divinità da temere e idolatrare. Elementi naturali fondamentali per la loro sopravvivenza da cui attingono e attingevano molto, e a cui era necessario rendere qualcosa in omaggio per mantenere un equilibrio sostenibile e continuare a godere dei loro frutti. È da qua che nascono le tradizioni olistiche australiane tipiche del Bush (la tipica boscaglia australiana, fitta e selvaggia) da cui si attinge ancora oggi.

Un aneddoto molto bello che ho imparato legato alla Polinesia e al valore spirituale del mare per gli aborigeni è legato al Taurumi (letteralmente abbraccio), il massaggio tipico polinesiano. Il Taurumi, fa parte della medicina tradizionale, era ed è utilizzato comunemente per calmare i nervi e come terapia medica per diverse malattie. È una pratica tramandata oralmente di generazione in generazione e quindi non segue un manuale ben preciso ma cambia a seconda della località o della famiglia che lo pratica. Generalmente è praticato tracciando linee energetiche sul corpo utilizzando le mani e i gomiti ed è rigorosamente fatto con olio di Monoi, ottenuto dalla polpa di cocco e dalla macerazione dei fiori bianchi di Tiaré che vanno rigorosamente colti dopo il tramonto. Il massaggio deve essere fatto all’aperto, preferibilmente sotto un albero, per connettere la mente alla natura tramite l’albero. Se il corpo viene stimolato con la pressione, la mente viene stimolata con il profumo di Monoi e la presenza dell’albero, che si trova sotto e sopra al corpo rispettivamente con le radici e con le fronde e rami, crea una zona in cui le energie negative si annullano. Il Tahua (letteralmente guaritore) ovvero il massaggiatore specializzato, strofina l’olio fra le mani e poi le avvicina ad una candela per sprigionare il profumo vibrante e caldo e farlo penetrare nei sensi. La tradizione vuole che dopo il massaggio, il Tahua sparga in mare una manciata di terra del luogo in cui è stato fatto il massaggio, per connettere gli elementi e chiudere il cerchio intorno a colui che è stato massaggiato.

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La spiritualità di questi massaggi deriva da pratiche ancestrali. Si narra che il figlio della dea Atèa, il dio Tanè, fosse nato senza forma e che sua madre temendo per la sua vita e la corruttibilità della sua integrità avesse commissionato una guaina di pelle con cui rivestirlo. Dopo che la guaina venne indossata dal piccolo Tanè, la dea Atèa la cosparse di olio di Monoi per ammorbidirne la pelle e plasmare la forma dandole fattezze umane e conferendo una corporeità al piccolo Tanè. Le donne aborigene hanno ripreso questa pratica. Subito dopo il parto cospargevano il neonato con l'olio per alleviare lo stress della nascita e farlo familiarizzare con gli spiriti che questo veicolava. Ad oggi non è più necessario che sia il Tahua a fare il Taurumi. È pratica comune, infatti, fare il massaggio in casa alla fine di una giornata che si vuole lasciare alle spalle. Inoltre l’olio di Monoi viene usato sulla pelle del viso e del copro per combattere l’inaridimento dovuto al sale marino, al sole e al vento. È infatti un ottimo doposole e perfetto impacco per i capelli contro il salmastro. È stato quindi spogliato del suo valore spirituale a favore di un uso più frequente e agile.

Sand & Sky Siero viso alla mela degli emù australiana con acido ialuronico bifase e vitamina C

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Oltre al Monoi e ai fiori di Tiarè ci sono molti altri frutti e fiori che nascono nel bush e che sono molto usati per via delle loro grandi proprietà. Il Pituri ad esempio, è una pianta le cui foglie sono masticate dagli aborigeni per gli effetti allucinogeni e psicotropi e, oltre che per svago, veniva usato prima della pesca, che richiedeva grande sforzo fisico, spesso apnee lunghe e una botta di coraggio notevole per affrontare il mare. Meno divertente ma più facile da usare è la Mela Emu, conosciuta anche come Muntaberry, una bacca bianca rossastra ancora poco conosciuta da noi ma già largamente usata nella cosmesi naturale. È una bacca rinvenuta solo nella costa australiana che se spremuta a freddo racchiude cinque volte di più il potere antiossidante dei mirtilli. La Mela Emu è infatti una fonte magica di vitamina C che permette al nostro viso di combattere l’invecchiamento precoce, conferendo alla pelle un incarnato radioso. Non per niente viene chiamata anche Glow berry. Se trattata con l’acqua la polpa si separa dalla sostanza grassa della bacca, producendo una cera vegetale di buona qualità che oggi viene usata come sostituto etico della cera d’api. In antichità si narra che gli aborigeni la usassero per cospargersi il corpo prima di immergersi in acqua e isolare il corpo per allontanare l’ipotermia. Molto poetico e molto sostenibile... Ma io vi consiglio di noleggiare una muta se volete buttarvi e provare il surf.

Il mondo del surf sul grande (e piccolo) schermo:

Resurface di Josh Izenberg su Netflix

Point Break di Kathryn Bigelow su Amazon Prime Video

Surf Nazi Must Die di Peter George su Mubi

Chasing Mavericks di Curtis Hanson su RaiPlay

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