Del territorio di Cagliari fa parte un’Atlantide mai sommersa, una sorta di frazione liquida in cui annegare i dispiaceri metropolitani e sfumare nell’acqua i limiti topografici. Il Poetto non è tanto un grande arenile quanto un piccolo mondo: sta alla tipica spiaggia urbana, di norma minuta e pittoresca, come Central Park sta a un giardino condominiale. Al velivolo in atterraggio su Elmas il Poetto appare sulle prime come una luna appena nascente di sabbia bianca, tesa tra il verde di Capo Sant’Elia e il riflesso sullo Stagno Simbirizzi. In realtà è una spiaggia colossale.

È quell’alternarsi di bagnasciuga e città, alture e picchiate verso l’acqua, nonché delle varie sfumature di colori naturali e artefatti umani che vi si inframezzano, che rendono

Waikiki Beach il Poetto delle Hawaii e Rio de Janeiro la Cagliari del Sudamerica.

Ogni cagliaritano dimensiona il Poetto a modo suo. E non solo nei sensi della lunghezza e della larghezza (per la prima si va dai 13 agli 8 chilometri circa, mentre la seconda si è concordi tra i 10 e 150 metri), ma anche perché è l’unità di misura fondamentale della sua identità. Come certe creature del mare dispongono di un’intera casa in una conchiglia, così i cagliaritani, quando vanno al Poetto, si portano dietro Cagliari e, sulla strada del ritorno, trascinano il Poetto fino a Cagliari. Le spiagge urbane, in genere, sono l’aperitivo e il digestivo dell’estate: in mezzo c’è la spiaggia vera, quella per cui investire tempo e denaro, che si sogna mentre si è un ufficio e che è oggetto di saudade quando ci si rientra. Pensate invece a quanto cambierebbe la vostra vita marittima se la vostra spiaggia dei sogni – per qualità del mare turchese, per quantità dei ricordi affioranti – fosse sempre sotto casa, pronta all’uso. Se accanto alla vostra città invernale ne esistesse un’altra estiva, non distante voli o autostrade ma sempre accanto a voi, tutto l’anno, a ricordarvi, anche durante la più spaventosa delle riunioni, di polpastrelli raggrinziti e corse contro il tempo, da Bobocono all’ombrellone, con un gelato in mano.

Il Poetto è così esteso ed essenziale per la città di cui è l’appendice balneabile che non si contenta di dare il nome a un vero e proprio quartiere cittadino da 1200 abitanti, che d’estate arriva a contarne più di 100.000. Dal 1913 ha addirittura una linea di mezzi pubblici dedicata: la P. Ancora oggi, che il tram originale non c’è più, i tratti più importanti della spiaggia sono identificati in base alle fermate del bus della Linea P, e questo vale anche per chi l’autobus non lo prende mai. Dimmi a che altezza della Linea P ti fermi e ti dirò chi sei. Le stazioni e i relativi habitué sono definiti tramite coppie di opposti che tendono a evitarsi, ma che il destino ha voluto adiacenti. Nell’ordine: le élite e i gaggi (i semplici), i giovani e le forze dell’ordine, le famiglie e gli intellettuali.

Sarebbe riduttivo dire che il cagliaritano ami il Poetto.

Ogni episodio importante della sua vita ha un riferimento geolocalizzabile in un certo punto di un certo tratto del Poetto e, se così non fosse, anche gli episodi non avvenuti al Poetto vengono comunque riferiti a esso, probabilmente perché, trattenuto altrove, il cagliaritano si stava immaginando lì, soprattutto in caso di esami di varia natura o pranzi nuziali sciaguratamente organizzati nell’entroterra.

La prima fermata, con fondale basso, prediletto dai bambini e dagli adulti che amano chiacchierare molto e bagnare poco i costumi Gallo o Saint Barth, è ancora la più elegante. Come ricorda la scrittrice Milena Agus gli snob della prima fermata sono definibili “lidosi”. A questa altezza si cerca di mantenere vivi il più possibile i fasti Liberty dei primi stabilimenti balneari, quando la rotonda del Lido di Cagliari era il centro della mondanità isolana e Porto Cervo era ancora solo un’insenatura naturale a forma di corna. Il Lido e il suo unico vero rivale, il D’Aquila, sono ancora aperti e offrono servizi di ogni tipo, da discoteche e ristoranti su palafitta alle farmacie in situ che, di questi tempi, non sono certo amenità da sottovalutare. Le cabine del Lido di oggi si possono noleggiare anche d’inverno, a conferma del concetto di Poetto come dépendance della propria dimora cittadina.

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L’ultima fermata, ben oltre la torre di avvistamento spagnola, è il regno dei liberospiaggisti di osservanza più stretta. Fra gli estremi rappresentati dall’una e dall’altra stazione c’è una serie sterminata di sfumature. Il Poetto and the City potrebbe essere il titolo di un pezzo di costume in cui a ogni tratto di spiaggia corrispondesse una delle protagoniste della serie HBO. Il primo tratto sarebbe Charlotte e l’ultimo Samantha. Ma per descrivere appieno quello che c’è in mezzo non basterebbero le mezze tinte psico-attitudinali di tutte le Carrie e Miranda del mondo.

Il nome del Poetto viene fatto derivare sia da poeta che da pozzo o da porto. Insomma è un posto inclusivo fin dall’etimologia.

Dalla parte di Margine Rosso (verso Est) musica e voci continuano a farsi sentire fino all’alba, sincronizzate sullo stesso numero di battiti per minuto dei colpi di pestello sul fondo dei tumbler. Nei villini della prima fermata il tempo score invece lentissimo, scandito dagli zampironi che consumandosi fungono, oltre che da repellenti per le zanzare, da clessidre.

Numerosi stabilimenti e tratti di spiaggia libera sono affiancati nel senso della lunghezza dell’arenile; altri sono sovrapposti in quello della larghezza; in alcuni casi una concessione forma una curiosa enclave nel mezzo di una spiaggia libera, e viceversa. Ovunque le forme di chioschi e baretti, sebbene in grossa inferiorità numerica, hanno preso idealmente il posto dei tanti casotti privati a righe colorate che, fino a metà degli anni Ottanta, erano il marchio di fabbrica del Poetto. Anche la Chiesa locale, dedicata alla Vergine della Salute, con le sue forme bianche a tenda, decorate a mattoni con motivi tratti da tappeti tradizionali sardi, rispecchia lo spirito di epoche passate:

è come se fosse un casotto di Dio, opzionato per l’eternità.

In nessun altro luogo d’Italia è così interessante la dialettica tra spiaggia libera e concessioni e tra diverse spiagge libere e diverse concessioni. I lidosi da più generazioni vengono al Poetto orgogliosamente a mani vuote, perché hanno depositato nelle ampie cabine tutto l’essenziale per la vita sulla spiaggia, dalle pinne corte alle AirPods Max. Dal canto loro i liberospiaggisti consumati, con altrettanta fierezza ma più acclamazione popolare, si presentano talmente carichi di accessori che sono di fatto un piccolissimo lido personale e semovente, un one-man beach resort più carico di ombrelloni, sdraio, reti, teli e gadget di quanto lo spazzacamino Bert in Mary Poppins lo fosse di strumenti musicali e sorrisi a trentadue denti, epifanie tra la fuliggine.

Fisicamente e moralmente il Poetto è l’opposto esatto della Costa Smeralda. Se a Porto Cervo ogni cosa, visibile o invisibile, nella relativa ristrettezza degli spazi a disposizione, è consacrata al tentativo di equilibrare natura e artificio (con uno sbilanciamento sempre più smaccato verso il secondo), l’immensità del Poetto è da sempre a tema libero. Tra tutte le attività che i suoi frequentatori vi svolgono, dalle più tradizionali alle più innovative, dalla regata storica Poetto-Cagliari-Poetto alla contemplazione dell’alba sull’Instagram del parente che ha fatto in tempo a svegliarsi, lo sport più estremo è tollerarsi gli uni con gli altri, come un unico popolo poettiano. I frequentatori del Poetto sembrano sempre pronti a battagliare, come popoli del Mediterraneo e, al tempo stesso, a vivere in armonia, come diverse piste tematiche di una sola grande discoteca. Gli amori tra lidosi e liberospiaggisti sono delicati ma le partite a burraco ancora di più.

Socio-antropologicamente il Poetto funziona un po’ come un pezzo formato listicle alla Rino Gaetano.

Qui c’è chi va a cavallo e chi in rollerblade e chi ancora in pattini quad. Chi salva tartarughe e chi ammazzerebbe i vicini. Chi spera nel maestrale da terra per un mare piatto e limpidissimo, e chi spera nel levante per la soddisfazione di vedere gli altri sommersi dalle alghe. Chi ha un pedalò di famiglia con targa in ottone tipo banco della chiesa e chi usa come temporaneo comodino il lettino sfitto di un lido adiacente, allungamento il braccio e la radio oltre il cordino di separazione. Chi detesta il chiasso e chi anche il silenzio. Chi ama lo scoglio e chi odia la sabbia. Chi invece rimpiange la rena bianchissima di un tempo e chi si contenta di sapere che, tutto sommato, quella sabbia vive ancora idealmente nei ricordi e fisicamente nelle mura delle tante case costruite qui intorno. Chi non potendo più fare vela a scuola – vuoi perché è agosto, vuoi perché fa il commercialista a Sestu – ci viene per ricordare le gioie di una vela passata. Chi lotta per un buco per l’ombrellone e chi ha pronto il posto barca allo Yacht Club di Marina Piccola. Chi insabbia angurie per mantenerle fresche e chi spera che la borsa termica stia mantenendo bene il calore del sugo alla campidanese dei maloreddus. Chi esplora il relitto della Colonia DVX con nostalgismo non mussoliniano ma di quando, un giorno, ci portò una ragazza tutta casa e Poetto e chi ci prenota al Lido una rappresentazione del Rigoletto. C’è persino chi beve un’Ichnusa e chi un’Ichnusa non filtrata.

La Sella del Diavolo (Sedd'e su Diaulu) è il promontorio che costituisce il confine occidentale del Poetto: oltre comincia la spiaggia di Calamosca. È una specie di gigantesca moto d’acqua in arenaria di formazione miocenica destinata, secondo la leggenda, al diporto di Satana. I fatti sono questi: in ere remotissime una cooperativa di demoni – avente come rappresentante legale Lucifero in persona — dopo essere rimasta piacevolmente colpita dalla bellezza del Golfo di Cagliari e, in particolare, della spiaggia del Poetto, tentò per prima l’impresa di privatizzare la spiaggia dei cagliaritani. Dal demanio al demonio il passo sembrò troppo breve agli angeli (i liberospiaggisti primigeni), che accorsero in gran numero per darsi guerra. Temporaneamente, la vinsero.

Lucifero, così, fu disarcionato dal suo cavallo di battaglia. Di questa cosa gli angeli dovettero godere moltissimo. Anche perché per dei liberospiaggisti ci sono poche immagini piacevoli come quella di un conducente di moto d’acqua (qui concederemo che la tradizione parlasse di un cavallo, ma i miti si possono attualizzare) che, dacché filava saldo e tronfio a cavalcioni del suo bolide nuovo di pacca (ancora non eroso da vento e onde), facendo un rumore — non a caso — infernale, viene restituito con un tonfo e degli spruzzi spaventosi all’elemento acquatico, cosa che contribuisce non poco a rinfrescargli le idee. La sella, distaccata dal mezzo, genera la conformazione rocciosa intitolata a Belzebù e dà il come al Golfo degli Angeli, cioè quello di Cagliari. Eppure, nonostante questo, oggi gli scontri sembrano ripresi.

Ripensando al Poetto dall’alto, è intrigante rilevare come alla grande varietà della situazione in spiaggia corrisponda quella del sistema di saline retrostanti che, viste dal Colle di Sant’Elia, secondo l’ora del giorno, possono sembrare appezzamenti multicolore nella resa infantile di un paesaggio agricolo, o un cofanetto Pupa. Ma se i tanti universi che compongono il Poetto, ciascuno col suo colore guida, così come le spiagge libere fatte di pixel art astratte di ombrelloni, fanno parte di una tavolozza preparata dall’uomo, il Tirreno no.

La soluzione del Poetto ai conflitti è: per quanto si possa essere diversi e discordi il mare, per fortuna o per malasotte, resta sempre lo stesso per tutti.