Il fascino della Route 66 spiegato in 5 mega-tappe
Libri e discendenti della beat generation, ci hanno raccontato della leggendaria Route 66. E ancora, dopo tutto questo, non abbiamo capito esattamente cosa c'è oltre il mito. Eccolo finalmente spiegato, in modo un po' sentimentale, da un fotografo e un blogger
Il fascino della Route 66 sta nell'immaginario che abbiamo tutti assorbito dai film. Le lingue d’asfalto inghiottite dal deserto, il Gran Canyon, le bandiere a stelle e strisce che svettano alle finestre dei pub. Motociclisti, hot dog e una canzone in sottofondo mentre si consulta la mappa della Route 66, appoggiati al cruscotto. Anche chi non ci è mai stato la conosce a memoria. E il mito di questo percorso forse ha lasciato il posto a una sorta di deja-vù.
Stando in bilico tra il mito e una descrizione sincera, l' Historic Route 66 è chiamata la strada madre. Parte dal lago Michigan e l’arresta solo l’Oceano Pacifico. Sono circa 4mila chilometri, da percorrere canonicamente in una quindicina di giorni. Stando sul ciglio della strada, a contemplare l’America. In 5 mega tappe, con la giusta playlist.
(Le immagini del servizio sono tutte di Nicola Casamassima)
#1 Won't you please come to Chicago just to sing (Chicago – Graham Nash, 1968)
Un inizio musicale un po’ retrò è quello che ci vuole per calarsi nello spirito di un lungo viaggio che parte da Chicago. Per le strade sferzate dal vento (la chiamano Windy City) c’è l’eredità pesante del ’68, di Nixon, del Vietnam e della repressione. Chicago conserva una malinconia da blues. Dopo meno di quaranta anni dalla sua costruzione fu azzerata da un incendio, così si misero insieme le migliori menti d’architetto e nacque una nuova forma: il grattacielo. La Scuola di Chicago usa l’acciaio e finestre in serie, elementi classici e pochi decori. La città ha ancora oggi la più alta concentrazione di skyscrapers per metro quadro, con una indicibile foresta verticale nel loop, il suo centro. Navigarci in mezzo partendo dal Riverside è un’emozione infantile. Non sai da che parte girarti, vuoi vedere tutto, riempirti gli occhi. E questa euforia mette una gran fame. La risposta è un hot dog da Devildawgs, sulla Street, verso Sud. L’hot dog di Chicago ha sette ingredienti e niente ketchup, va mangiato così: nudo e ben abbrustolito.
#2 Tearing up the highway like a big old dinosaur (Cadillac Ranch – Bruce Springsteen, 1980)
La seconda tappa musicale avanza di una decina d’anni e parla di uno dei posti più assurdi che potrete incontrare lungo la Route 66. Amarillo, Texas, che nasconde due grandi sorprese. La prima è il Big Texan Steak Ranch. Ma solo se siete stomaci forti alla Man vs. Food, o volete vedere una sfida del genere dal vivo. Avete un’ora per far fuori due chili di manzo delle praterie meridionali e non pagare il conto. Se la bistecca non ti uccide, ti fortifica e la seconda tappa ad Amarillo è per vedere una delle installazioni più bizzarre che vi potranno capitare: il Cadillac Ranch. Nel 1974 un trio di architetti hippy di Frisco progettò un’installazione bizzarra. L’unico mecenate che diede retta all'idea fu un certo Marsh di Amarillo che mise a disposizione alcuni suoi pascoli per piantare in riga, a muso in giù, dieci Cadillac, in rigoroso ordine di matricola dal 1949 al 1963. I musi vennero prima bruciati e le Cadillac angolate seguendo le piramidi di Giza. Nella porzione di steppa che le ospita, si trova una distesa di bombolette spray che coinvolgono il pellegrino nel perpetuare l’opera pubblica.
#3 I'm looking in on the good life I might be doomed never to find (New Slang – The Shins, 2008)
Note dolci indie/rock made in New Mexico per esplorare la gentile Santa Fe. Tagliata fuori dalla Route 66 per accorciare e rendere più funzionale il percorso, Santa Fe ha preso un’altra strada. Differente. E’ una delle città di fondazione europea più antiche d’America, con la casa più antica degli Usa, è il capoluogo di stato più alto (con quasi 2200 metri sopra il livello del mare) e in Canyon Road ci sono più gallerie d’arte che pali della luce. È definita The City Different, per il grado d'integrazione fra cultura nativa, ispanica e angloamericana. Piccoli gioielli le casette in adobe (argilla, sabbia e paglia essiccata). Per lo shopping vale la pena di passate da Chocolate+Cachemire, il paradiso del cozy. Scialli morbidissimi e una quantità esagerata di cioccolato, tartufi fondenti, barrette al caramello salato. Lasciando la città bisogna fermarsi a Taos, una mini-Santa-Fe. Lenta, sofisticata, con l’unico Pueblo (comunità di nativi americani) ancora abitato di tutta l’America. Ha un fascino dolce. Qui ti sorride e saluta persino il gatto randagio. Happy end: ci si può concedere il lusso di dormire al Luna Mystica, un vintage trailer hotel, dove roulottoni anni 50 riadattati fanno da alloggio
#4 Seeing the beauty through the pain. You made me a believer (Believer – Imagine Dragons, 2017)
Percorrendo la Route 66 si attraversa una consistente zona desertica. Arizona, Utah, Nevada. In mezzo a un nulla che fa quasi male sorgono Monument Valley, Antelope e Gran Canyon. E lei, la signora delle Nevi, Las Vegas. In Nevada non si pagano tasse, si può acquistare un’arma senza licenza se hai 18 anni ed è legale il gioco d’azzardo. È anche consentito l’uso ricreativo della marijuana, ma non nei luoghi pubblici. Una città che sembra dover emozionare per forza e forse, proprio per questo, fa l’effetto opposto. L’incanto della Strip di notte, dalle vetrate di una camera al 26esimo piano dell’hotel Mgm, svanisce con la luce del mattino. Spente le luci sembra quasi la periferia di Milano. Soddisfatti o meno da questa immagine si procede in cerca di pace verso il Gran Canyon. Si potrebbero dire tre come cento cose sul Grand Canyon, tutte più o meno risapute. Sono consigliate le sveglie all’alba per assaporare il panorama in solitudine, magari con gli Imagine Dragons in sottofondo e una buona dose di riflessione sulla propria esistenza. Le misure del Grand Canyon sono straordinarie e poco descrivibili. Lungo due volte la Sardegna, profondo quasi duemila metri, largo sino a ventinove chilometri. Roosevelt ci andava a caccia di puma e condor, cervi e scoiattoli girano a piede libero. Il succo è che per capirlo, bisogna andarci.
#5 Leave the heart of the city for the heart of the world (Calexico – The Black Light, 1998)
Verso la fine delle Route 66 si può piegare verso Palm Springs. Impressiona l’aridità del deserto e l’imponenza del parco eolico che conta più di 4000 mulini a vento e rifornisce di elettricità l'intera Coachella Valley. È un’oasi tartassata da oltre cento farenheit, con una collezione di ville da annuario di architettura contemporanea, gallerie e caffè raffinati in Palm Canyon Drive, una statua gigante di Marylin Monroe, palme ultragotiche che prolungano al cielo l’infinita lunghezza dei viali.
Los Angeles conta quattro milioni di abitanti e sembra che siano tutti a scorrere sui marciapiedi di Melrose Avenue. Un'altra parte si rannicchia nelle meravigliose villette di Beverly Hills. Un'altra si sdraia sulle stelle calpestate senza riguardo dell’Hollywood Boulevard. Verso l’ora del tramonto bisogna rendere omaggio all’arrivo della R66, simbolicamente marcato dal cartello al Santa Monica Pier. The end of the trail. Forse è davvero necessario trovarsi davanti la vastità dell’Oceano Pacifico per mettere un punto su quasi 4000 chilometri di emozioni. Per finire in bellezza cenare in uno dei ristorantini sul molo di Santa Monica.
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