Può una ragazzina cambiare il mondo? La risposta ce l'abbiamo già. Ed è: sì. Perché Malala Yousafzai c'è riuscita. La storia di Malala, la bimba diventata nel frattempo donna, è una storia di coraggio, di lotta, di sfida estrema contro i talebani in Pakistan. Neppure un colpo di pistola alla testa è riuscita a fermarla. Anzi, da quel 9 ottobre 2012 Malala è diventata simbolo di libertà, di emancipazione, di lotta per i propri diritti. Qualità che le hanno fruttato il Nobel per la pace. Nessuna festa, nessuna celebrazione particolare. Ci sarà da festeggiare soltanto quando il vero obiettivo sarà raggiunto. «Vincere il Premio Nobel potrebbe essere una grande opportunità per me, ma non è così importante perché il mio obiettivo non è vincere il Nobel, il mio obiettivo è la pace, il mio obiettivo è fare in modo che ogni bambino abbia diritto ad un'istruzione». Dice lei, sintetizzando in poche parole il suo sogno.

Gadget, Electronic device, Technology, Hand, Finger, Photography, Multimedia, Display device, Mobile device, pinterest
Getty

Questa ragazza nata il 12 luglio 1997 a Mingora, in Pakistan, avrebbe potuto crescere, vivere la sua vita e morire anziana come tante altre, senza scalpore. Ma il destino le riservava ben altro. Quando era piccola, la sua cittadina era conosciuta soprattutto per i festival estivi e come attrazione turistica. Malala era felice, come le altre ragazze della sua età. Quando i talebani hanno preso il potere, le cose sono però cambiate. Soprattutto per le donne. Malala frequentava la scuola fondata dal padre, Ziauddin Yousafzai, ma dopo il cambio di regime il suo diritto allo studio è stato messo discussione. Lei non ci stava. Nel settembre 2008 a Peshawar, ad appena 11 anni, sfidò apertamente quei talebani in cui non si riconosceva, con un celebre discorso: «Come possono portar via il mio basilare diritto ad un'educazione?», disse. Colta da un'immediata, inaspettata popolarità, la giovanissima pakistana divenne a tutti gli effetti una corrispondente della BBC, l'emittente nazionale britannica, per la quale curava la redazione di un blog che documentava le condizioni di vita di bambini e adulti sotto il regime dei talebani. Per nascondere la sua identità usava lo pseudonimo Gul Mukai. Ma nel dicembre 2009 qualcuno ne svelò l'identità e il blog di Malala Yousafzai fu immediatamente oscurato.

Eye, Temple, Maroon, Wrap, Tradition, Shawl, Makeover, Scarf, pinterest
Getty

Questo non impedì alla piccola combattente di continuare la sua battaglia. Il suo attivismo le valse l'International Children's Peace Prize nel 2011, ma attirò inevitabilmente la furia dei talebani, che ne decretarono la condanna a morte. Nessuno pensava che la furia di un regime, seppur fondamentalista, potesse scagliarsi addirittura contro una bambina. E invece, quando aveva già 15 anni, un giorno in cui si stava recando a scuola con due compagne, qualcuno le sparò alla testa. Malala fu ferita gravemente insieme alle altre due amiche. Ma non era ancora arrivata la sua ora. Ferita al cervello, venne salvata miracolosamente e trasferita in un ospedale di Birmingham, in Gran Bretagna, che si offrì di curarla gratuitamente. Mentre la notizia dell'attentato a Malala suscitava sgomento e rabbia in tutto il mondo, la ragazza subiva numerosi interventi chirurgici. Mentre lottava tra la vita e la morte, cominciò a circolare anche la lettera di un talebano destinata a lei in cui veniva avvisata che se fosse sopravvissuta ci avrebbero riprovato. Perché lei era diventata un simbolo degli infedeli e dell'oscenità. Le operazioni le salvarono la vita e le fecero recuperare la funzionalità di una parte del volto che era paralizzato. Nel marzo 2013 poté persino tornare a scuola. Per nulla spaventata dalle minacce, il giorno del suo 16mo compleanno, alle Nazioni Unite, Malala tenne un memorabile, commovente discorso. Dichiarò che nessun bambino, nessun ragazzo avrebbe dovuto avere paura di andare a scuola. Di lì a poco diede alle stampe il suo libro verità: Io sono Malala.

Human, Event, Headgear, Adaptation, Photography, Ceremony, Child, Ear, Performance, pinterest
Getty

Malala fu premiata con il Nobel per la pace nel 2014, anche grazie a una petizione che aveva raccolto migliaia di firme in tutto il pianeta. Appena 17enne, divenne la più giovane vincitrice della storia del prestigioso riconoscimento. Per questo motivo, attraverso la sua fondazione, il giorno del suo 18mo compleanno lo ha festeggiato con l'apertura di una scuola per rifugiati siriani in Libano: «Chiedo ai leader mondiali di investire in libri, non in pallottole», dichiarò in quella occasione. Nell'ottobre 2015 è uscito anche un film documentario di David Guggenheim, He Named Me Malala, sulla sua vita quotidiana: dove vive, come vive, cosa fa. Uno sguardo intimo, privato sulla vita della ragazzina che ha cambiato il mondo e non si nasconde. Nel 2017, ad aprile, Malala è diventata messaggero di pace delle Nazioni Unite con l'incarico di promuovere l'educazione femminile. Invece di cancellarla, i talebani hanno fatto di lei la più forte cassa di risonanza dei loro soprusi. Una star internazionale. Un epic fail, per dirla nel linguaggio dei social network.

Trovare il coraggio di opporsi ad un terribile regime fondamentalista, di battersi per il rispetto di diritti basilari dell'umanità non è affatto scontato. Malala, poco più che bambina, non ha mai abbassato la testa di fronte a minacce e soprusi. La sua storia è un esempio per tutti. Ma la battaglia non è ancora vinta. Solo se tutti continueranno a stare dalla parte di Malala il mondo cambierà davvero.

photo GettyImages.com