Le donne sono davvero più empatiche? Aveva ragione l’antropologo Louis Leakey quando pensava che le donne fossero migliori come osservatrici? Non si era sbagliato quando mandò Jane Goodall, Dian Fossey e Biruté Galdikas a studiare scimpanzé, gorilla e orangutan. Un articolo pubblicato da Nature Conservancy sostiene che integrare più donne nei progetti di conservazione, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, li rende più efficaci. Quel che è certo è che Madre Natura, in seria difficoltà, sta chiamando a raccolta le proprie figlie per farsi dare una mano. Anche in Italia sono sempre di più le donne che lavorano nell’ambiente e con la fauna selvatica. Alcune di loro, trentenni, non solo hanno deciso di fare squadra, ma vogliono spiegare alla prossima generazione perché c’è bisogno di loro. Il gruppo Women for Wildlife Europe è una costola del movimento americano fondato dalla biologa marina Jennifer Palmer. Vuole mettere in luce il contributo di tante donne che lavorano a contatto con la natura: «Ricercatrici, ma anche artiste, fotografe, avvocate, poetesse, ed essere d’ispirazione per le ragazze che vogliono provarci». Mia Canestrini, zoologa esperta di lupi e ibridazione tra cane e lupo, sentiva lo stesso bisogno di connessione. Così un giorno, di ritorno da Yellowstone, ha trovato Jennifer sul web. E ha coinvolto le prime cinque amiche e colleghe italiane in una nuova avventura.

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Mia Canestrini, zoologa esperta di lupi e fondatrice di Women for Wildlife Europe.
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Valeria Margherita Mosca Caglio, chef, esperta di foraging, fondatrice di Wooding e membro di Women for Wildlife Europe.

Mia è in forza al Wolf Appenine Center nel parco dell’Appennino Tosco-Emiliano (progetto Life Mirco-Lupo) e mi spiega: «La natura si sta riappropriando in modo violento degli spazi che lasciamo. In montagna e collina ci sono molti meno allevamenti e campi coltivati di un tempo. Questo porta il bosco a incombere sulle periferie cittadine, con i suoi animali. Nella nostra zona, per esempio, si tratta del lupo. Più si scende a valle, più le persone sono impreparate a questo ritorno e hanno una visione disneyana dei predatori».
Arianna Spada, consulente zoologa che per un periodo ha allevato niente meno che cani da orso, opera tra Veneto e Friuli. E ora mi sfida a elencare venti specie africane di fauna selvatica e poi altrettante italiane. Alla seconda richiesta fatico a rispondere. Colpa degli “animali carismatici” (panda, giraffe, leoni, elefanti, orsi), belli e famosi, protagonisti al cinema o nelle favole. Secondo uno studio di PLOS Biology sono vittime di una fama che può nuocergli perché non ce li fa più percepire come esemplari a rischio estinzione.

Camosci in Abruzzopinterest
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Mamme e uccioli di camoscio nel Parco nazionale della Majella, Abruzzo.

È un rapporto da ricucire quello tra umani e ambiente, ma non in maniera romantica, come spiega Valeria Margherita Mosca Caglio, chef esperta di foraging, la raccolta di piante selvatiche commestibili. «Bisogna ricreare una relazione cooperativa con la natura. E siamo noi che ci lavoriamo a stretto contatto a doverci inventare un modo di comunicare questa urgenza. Non possiamo essere solo ricercatrici o esploratrici». Valeria ha trovato una via pop per parlare di biodiversità botanica con corsi di foraging nelle scuole, e un ristorante-bar a Milano. Mia ci è riuscita con la pagina Facebook del suo centro, seguita da 30mila persone: «I miei post su Facebook erano apprezzati e condivisi quando scrivevo in modo più intimo, pur se scientifico. Ho rotto le scatole ai vertici del Parco per aprire una pagina ufficiale altrettanto calda». Non più, quindi, il mantra retorico del “proteggere la natura” perché ci fa stare bene. Ci vuole equilibrio, e al pubblico bisogna offrire opinioni professionali: secondo Marta Gandolfi, zoologa ed esperta di comunicazione al Museo delle Scienze di Trento, «parlare del nostro rapporto con l’universo selvatico tocca pefino gli animi più cittadini. Per me che curo l’immagine di lupi e orsi, l’obiettivo è fare buona informazione non soltanto nel momento in cui se ne occupa la cronaca». Anche chi vive beato in città dovrebbe sentirsi coinvolto nella protezione della fauna senza dividere il bosco in specie buone o cattive.

Mamma orsa con cucciolipinterest
Bruno D'Amicis
Una femmina di orso bruno (Ursus Arctos) con i suoi cuccioli di circa due anni. Dai monti Tatra occidentali al Parco d’Abruzzo, fino alla Spagna, questa specie ha ritrovato casa, amici e nemici.

«Le più giovani cercano rassicurazioni. In Italia le aspiranti naturaliste sono molte. Dai messaggi della community capisco che hanno bisogno di sapere come si arriva a questo mestiere e se si deve sacrificare qualcosa», spiega Mia, mentre racconta divertita di quando è stata invitata come esperta in tv e ha deciso di mettere i tacchi. Non tutti hanno apprezzato: «Sembrava che per rappresentare la serietà della categoria avrei dovuto indossare gli scarponcini. A volte perfino io mi dimentico che sono femmina, ma quella volta non volevo». Lo stereotipo della foresta come posto per uomini veri è duro a morire. Ma negli ultimi dieci anni il cambiamento c’è stato. Arianna è la prima presidente donna dell’Associazione Faunisti Veneti. Le difficoltà non nascono tanto con i colleghi uomini, ma con altre figure come allevatori o cacciatori. Ma quando vedono che le ragazze lavorano sodo cambiano subito idea. Nadia Cappai, veterinaria, si sente dire spesso frasi tipo: «In una gara di sollevamento cervi non vinceresti mai. Mi fanno ridere: quale uomo solleva due quintali di cervo adulto?». Ma le battute infelici non hanno impedito a Nadia di diventare la prima veterinaria assunta a tempo indeterminato da un parco nazionale, quello delle Foreste Casentinesi.

Arianna Spadapinterest
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Arianna Spada, zoologa ed esperta di impatto ambientale.
Marta Gandolfipinterest
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Marta Gandolfi, zoologa, illustratrice, esperta di comunicazione sui grandi carnivori per il Museo delle Scienze di Trento.

Comunque ci siano arrivate, tutte le Women for Wildlife italiane si emozionano quando descrivono il primo incontro della loro carriera: «Quegli ululati notturni che annunciavano l’arrivo di una cucciolata» (Paola). «I peli di orso su una corteccia che mi hanno indicato la strada dopo settimane di appostamenti» (Arianna). «Una coppia di lupi che passa a venti metri mentre ero sola nella radura» (Nadia). «Quella mattinata passata a guardare un branco di lupi al sole» (Marta). O «una mamma che portava pezzi di carne ai cuccioli» (Mia). È vero, sentirle raccontare riaccende gli istinti. Di protezione.

Nadia Cappaipinterest
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Nadia Cappai, medico veterinario al Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi.

COME SI DIVENTA NATURALISTA?
LAUREA: biologia, ecologia, scienze naturali o medicina veterinaria.
SPECIALIZZAZIONI: seguire quelle che approfondiscono conservazione e gestione della fauna selvatica. Un consiglio dalle Wild Women per scegliere l'università: è utile controllare i filoni di ricerca dei singoli docenti e le loro connessioni al lavoro sul campo.
MASTER: parola d’ordine europrogettazione, perché la maggior parte dei finanziamenti arrivano dal programma europeo Life per la salvaguardia della natura.
ESPERIENZE: sempre valido un periodo all’estero, così come il servizio civile (attenzione ai bandi dei parchi) o stage e volontariato: servono per costruirsi i contatti e accumulare punti per future candidature e concorsi.
CONTRATTI: Paola Fazzi spiega: «Le opportunità sono al 90 per cento consulenze e contratti a progetto. Ho la partita Iva e unisco varie attività: sono guida, faccio valutazioni di impatto ambientale e collaboro con il Parco delle Alpi Apuane su diverse specie animali».

LINK UTILI
Il gruppo Facebook Women for Wildlife: Europe.
Per l’Italia: il sito Parks.it (bandi, stage); siti e pagine Facebook di Società Italiana di Scienze Naturali e Associazione Teriologica Italiana.
Per l’estero: The Wildlife Society; Conservation Job Board; Society for Conservation Biology.

Paola Fazzipinterest
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Paola Fazzi, biologa esperta di mammiferi, appassionata di fotografia.