Si chiama Hands of God, Le mani di Dio, il docufilm di Riccardo Romani (presentato stasera in anteprima al Festival di Taormina) sulla paura e sul coraggio, dei ragazzi di Baghdad, di un Paese affondato nella guerra, della gente che crede e di tutti quelli che anche nel disastro sono capaci di coltivare il sogno.

Iraq, 2014. Romani, giornalista di lungo corso, è a Baghdad per un reportage, mentre l'Isis ancora minaccia la città. Macerie, distruzione: ma in un campetto di calcio sgarrupato un gruppo di ragazzi si è ritagliato uno spazio a parte. Fanno boxe. Non c'è un sacco, non c'è nulla, si allenano tirando pugni contro un muro. La nazionale irachena sono loro. Che ostinatamente si preparano in vista dei Giochi di Rio.
Alle spalle hanno 13 anni di guerra ma nella testa un'idea: diventare campioni olimpici. Hands of God (di cui Alfonso Cuaron è produttore esecutivo) è la loro storia. Per due anni Romani è tornato in Iraq per riprenderli e accompagnarli nella corsa. «Tra un allenamento e l'altro andavano al fronte a sparare», spiega. «Si univano alle truppe irregolari per resistere all'Isis. La quotidianità era quella. Tre attacchi bomba al giorno e una media di mille morti al mese. Da una parte la difesa della città, dall'altra il ring. La fragilità del loro presente prendeva luce dal quell'ostinato tirare pugni che significava futuro. Per me è stata una lezione di vita».

Una personale idea di pace

Ragazzi come tanti, ma non ragazzi qualsiasi, con radici in alcuni dei quartieri più perocolosi del mondo. Waheed, Jafaar, Saadi - lui, giovane promessa dei pesi massimi, costretto a una missione per liberare Falluja: riusciranno a ottenere che il mondo si accorga davvero dell'Iraq? «La situazione era disperata, assurda, ma contro ogni ragionevole speranza, a Baku, all'ultimo torneo utile per classificarsi, uno di loro ce l'ha fatta, primo pugile iracheno alle Olimpiadi dal 1984».

Ci sarà tutto questo stasera, a Taormina, con Hands of God. La storia recente di un Paese stretta nei pugni di un gruppetto di atleti ingenui che furiosamente desiderano e furiosamente combattono, "in nome di Dio", in nome di una personale idea di pace.