Arriva un momento in cui ogni Festival regala la sua eccezione alla regola, facendoci mettere in discussione tutto quello che potevamo fosse possibile raccontare, in questo caso, sul genere western. Dopo la pellicola dei fratelli Coen, la Mostra del Cinema di Venezia 2018 accoglie l’atteso The Sisters Brothers, il nuovo lavoro di Jacques Audiard, uno dei grandi autori del cinema europeo, da Il profeta, Un sapore di ruggine e ossa, a Dheepan, capace qui di riadattare cinematograficamente il romanzo già affascinante di Patrick DeWitt, uscito nel 2011, da noi tradotto col titolo, Arrivano i Sister.

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Di nuovo quindi l’epopea del grande west, nell’Oregon e California del 1851, dove inizialmente due sicari pistoleri, e per di più fratelli, Eli (qui anche voce narrante e cosciente) e Charlie – Joaquin Phoenix, vengono assunti per trovare il cercatore d’oro Hermann Warmer (interpretato da Jake Gyllenhaal,) accusato di essere un ladro. Ma è quando lo trovano che capiscono di aver sbagliato tutto. In un lampo decade lo stereotipo del cowboy macho a tutti i costi, sì perché ogni personaggio, nel bene o nel male, cerca di trovare il proprio angolo in quel paesaggio sperduto, scandito da violenza, brutalità, regole scritte, che loro stessi attuano senza pietà. Eppure nello stesso tempo inseguono la propria felicità, chi rifugiandosi nel bere, chi invece in una sensibilità quasi atipica. Eli (uno straordinario John C. Reilly) svela la propria intimità, si masturba, commuovendosi alla morte del proprio cavallo, vuole redenzione, bacia una prostituta, a cui chiede però di fingere, perché desidera la promessa di avere il suo scialle, solo per avere una memoria da custodire.

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Fragili e spacconi, un po’ bambinoni, sanno trasformarsi, vagano in un mondo corrotto, privo di morale ed etica, dove alla fine però, stanchi, tornano a casa, riabbracciando la madre e valori creduti perduti. Basta divisioni! Crolla così il mito dell’eterno duro da saloon? Non proprio, ma c’è però una chiave diversa, che The Sisters Brothers libera dai pregiudizi e stereotipi, parlando d’amore, parità, fratellanza e rispetto reciproco, anche nei confronti delle donne. Illuminata appare così la chiosa del regista, che alla fine dice «Vedo gli stessi uomini da anni, cambiare ruoli, ma sono sempre loro. Smettiamola di riflettere, interroghiamoci su cose semplici, io ne faccio una questione di uguaglianza e giustizia, la prima si conta, la seconda si applica. Per questo bisogna agire».