Ci sentiamo l’informazione a portata di dito: con un tocco leggiamo le notizie dal mondo o possiamo dire la nostra in 140 caratteri. A costo zero, o così pare. Un potere che diamo per scontato? «Non ne capiamo fino in fondo l’importanza, finché non proviamo la sua assenza». La giornalista Arzu Geybulla, 33 anni, parla di libertà di espressione, tema del secondo Festival dei diritti umani di Milano (2-7 maggio alla Triennale), di cui sarà ospite mercoledì 3 maggio Giornata mondiale della libertà di stampa. Lo spiega mentre racconta che non può tornare a casa in Azerbaijan, perché ha ricevuto minacce di morte e stupro, soprattutto per aver collaborato con un giornale armeno ma anche per la sua posizione critica e indipendente. Oggi vive a Istanbul, dove continua a fare la giornalista e l’attivista, occupandosi di Turchia e Azerbaijan.
Anche la Turchia ha limitato molte libertà (ne parliamo qui), sente la pressione? Tutti la avvertono, come giornalista e donna ho iniziato a “censurarmi” da sola. Penso due volte a quello che scrivo online o twitto, perché c’è sempre la possibilità di offendere il presidente. E alla sera cerco di non uscire da sola in alcune zone della città. Dal colpo di stato dell'anno scorso centinaia di giornalisti sono stati arrestati o sono sotto processo: sono sempre più comuni anche i cosiddetti "gag order" che i giudici inviano ai media per bloccare la pubblicazione di notizie relative, per esempio, a esplosioni e attentati.
Cosa ha provocato il referendum costituzionale del 16 aprile? Anche prima del voto, qualsiasi risultato si sarebbe ottenuto (ha vinto il sì alla riforma costituzionale che ha garantito maggiori poteri al presidente, ndr) il paese era già spaccato in due come conseguenza della campagna governativa. Il partito di governo accusava quelli che volevano votare no di essere sostenitori del terrorismo, mentre solo chi sceglieva il sì alla riforma si preoccupava, secondo loro, della democrazia e del futuro della Turchia.
I social media hanno una doppia faccia? Online sei un target senza difese per diffamazioni e umiliazioni e i tuoi profili sono fonte di informazioni su di te. Io stessa ho ricevuto gravi minacce rivolte a me e alla mia famiglia. Ma i social danno la possibilità unica di raggiungere un pubblico globale e di trovare sostegno, perché grazie ai tuoi follower puoi inviare il messaggio ben oltre il tuo raggio di azione.
Riceve ancora minacce? Non gravi come anni fa, ma convivo con una sottile e costante paura: devi trovare quell’equilibrio per cui non ti paralizza, altrimenti hanno vinto loro. Eliminarla non si può. Scrivo per una piattaforma web sotto inchiesta in Azerbaijan: non temo tanto di non poter rientrare, quanto di non poter uscire. Vivo l'intimidazione anche quando parlo a eventi internazionali, perché spesso sono messa a confronto con emissari o rappresentanti del governo dell'Azerbaijan, che tendono a diminuire la mia credibilità come giornalista e come donna. Queste accuse sono portate avanti da uomini, molto più grandi me: ai loro occhi sono una traditrice.
Cosa ha in comune con i colleghi che incontrerà al festival (tra cui i giornalisti Paolo Borrometi e Amalia De Simone, che lottano contro le mafie)? La resistenza alla nostra paura, ai tentativi di sminuirci e la determinazione a non abbassare la voce.
Diamo per scontata la libertà di stampa perché non abbiamo mai provato a non averla? Credo sia così. La maggior parte delle persone non riesce a immaginarsi che si possa andare in carcere per un articolo o un commento pubblicato, come capita in tanti paesi. Diamo per scontato tutto ciò che non arriva a limitare direttamente le nostre vite: quando accade, capiamo che non è poi così lontano da noi.
Qual è il ruolo delle fake news in tutto questo? Sono una realtà del 21° secolo e vengono sfruttate per influenzare le decisioni delle persone. Come giornalista metto il "fact checking" come priorità numero uno in tutto ciò che scrivo, ma anche come persona mi preoccupo di tutto quello che ritwitto, siano notizie, foto o video. Tutti, giornalisti e non, dovremmo essere più responsabili e consapevoli che quando ritwittiamo o condividiamo qualcosa possiamo contribuire a diffondere una notizia falsa. Alcuni governi, come in Germania, hanno capito la gravità della faccenda, ma sui controlli istituzionali ho qualche dubbio, perché rischiano di limitare la libertà dei media.
Pensa mai di lasciare anche la Turchia? Ci ho riflettuto molto nell'ultimo periodo, perché il mio spazio personale è stato intaccato da quello che è successo nell'ultimo anno, ma la considero casa e non è una decisione così semplice.