A METÀ degli anni Duemila un tornado di eccessi e accelerazioni ha rovesciato i valori della moda negli armadi di tutto il mondo. Man mano che il fenomeno del fast fashion - l’aggressivo sistema basato su rapidità del mercato e manodopera a basso costo in Bangladesh e Cambogia -cresceva fino a diventare il modello dominante, i consumatori abbandonavano criteri consolidati come qualità, tradizione e autenticità artigianale per buttarsi su microtendenze di massa. E a prezzi senza precedenti nella storia. Il mondo dei beni di lusso ha iniziato quindi a copiarne certi aspetti. Non c’è da sorprendersi: Christopher J. Berry, nel saggio del ’94 L’idea del lusso, affermava che questo muta in modo da riflettere norme e aspirazioni sociali. Alcuni marchi hanno quindi scelto di incrementare la produzione con approvvigionamenti esterni da economie a basso costo, anche tramite giganteschi terzisti. Gli intervalli nel processo di realizzazione si sono ridotti drasticamente, ma a quale costo? Il prezzo in termini di reputazione lo ha colto la giornalista Dana Thomas nel suo libro sull’industria dei luxury brand intitolato Deluxe. Come i grandi marchi hanno spento il lusso. Oggi il lusso ha riscoperto la sua magia? Chi scrive e altri addetti ai lavori pensiamo di sì, e questo è da attribuirsi ai marchi che hanno optato per un focus sostenibile. Sia benvenuto il secondo atto del lusso. Nella sua definizione più esplicita, la sostenibilità è infatti l’impegno di consegnare il pianeta alle prossime generazioni almeno nelle condizioni in cui l’abbiamo ereditato. Non peggiori, semmai migliori. Quando i leader internazionali si incontreranno a Parigi a dicembre, convocati dall’Unione Europea, dovranno darsi da fare per trovare un sostituto al Protocollo di Kyoto e abbassare le emissioni globali di due punti. Un’impresa ardua, se non facciamo tutti la nostra parte. Non è stato chiaro da subito che anche l’alta moda dovesse dare il suo contributo. Sono state le griffe più autorevoli a cogliere per prime la tendenza, rendendo reale un rapporto 2012 della banca Sarasin secondo cui, nel XXI secolo, gli articoli di alta gamma saranno realizzati solo in maniera sostenibile, sposando design estetico e qualità artigianale. La moda ha un enorme e spesso misconosciuto debito nei confronti dell’ambiente che va dalle coltivazioni agricole - come quella del cotone - all’industria mineraria per le pietre preziose, fino all’allevamento di migliaia di capi di bestiame per il cuoio e di coccodrilli per le pelli.

Un brand del lusso veramente responsabile deve saper leggere nel futuro: l’impennata di vendite negli anni recenti, di pari passo con l’ingresso nei nuovi mercati, richiede che sia in grado di prevedere quante borse potrebbe produrre non oggi, ma tra dieci o vent’anni, senza compromettere la sua immagine. Perché oggi basta un passo falso per finire in pasto ai social media in pochi secondi. «Ci riforniamo da miniere su cui controlliamo la tracciabilità della catena di approvvigionamento », dice Anisa Kamadoli Costa, vicepresidente del settore sostenibilità globale e responsabile collegiale di Tiffany & Co. «L’azienda, che è tra i membri fondatori dell’Irma (Initiative for Responsible Mining Assurance), fa affidamento sulla generosità del pianeta Terra da più di 175 anni». Per continuare a farlo nei prossimi 175, deve salvaguardare queste condizioni.

Anche la maestria artigianale sta attraversando un momento felice. L’artigiano è diventato una figura eroica, un antidoto alla produzione di massa, ai prodotti impersonali di provenienza incerta, enfatizzati dalla cultura dell’usa e getta. All’interno del Victoria and Albert Museum di Londra, su una cupola nella galleria della moda, vengono proiettati filmati di artigiani all’opera il cui lavoro torna a essere riconosciuto come componente dell’esperienza umana. Nel 2012 Kering, gigante del lusso di François-Henri Pinault, ha imposto una serie di obiettivi che devono essere raggiunti entro l’anno prossimo: il reperimento di materie prime, carta e imballaggi, la riduzione del consumo di acqua, gli scarti e le emissioni di carbonio, sostanze chimiche e materiali pericolosi, il controllo sui fornitori e lo sviluppo di professionalità. «Ci troviamo in una posizione unica dalla quale influenziamo e decretiamo tendenze e aspirazioni», ha dichiarato agli inizi dell’anno Marie-Claire Daveu, responsabile della sostenibilità alla Kering: «Possiamo ispirare il cambiamento fino a un punto di svolta definitivo». La missione della holding per la sostenibilità è ambiziosa e introduce una mentalità ecologista sexy e desiderabile. Sposando la sostenibilità, il lusso definisce una nuova priorità. In passato le persone associavano l’ecologia a una serie di privazioni. Il lusso sostenibile, invece, arricchisce anziché togliere. Anche Livia Firth, direttore creativo del londinese Eco-Age per consulenze ambientali, lavora con alcuni dei più noti marchi, incluso Chopard. Nel 2012 ha dato vita, insieme a chi scrive, al Green Carpet Challenge per il quale Livia, moglie dell’attore Colin, ha usato i suoi contatti nel mondo del cinema per convincere le celebrity di Hollywood a indossare moda ecologica. Ha poi collaborato con Lanvin e Stella McCartney, fiore all’occhiello del gruppo Kering, per ristrutturare le catene di approvvigionamento, dalla seta alla pelle. Il Green Carpet Challenge è riuscito a introdurre design d’ingegno nella produzione ecologica, compresa una collezione ricavata da bottiglie di plastica riciclate, un processo che fornisce un materiale simile alla seta. «Ci rifiutiamo di compromettere la bellezza di un capo in favore dell’etica. Piuttosto, troviamo soluzioni per garantire che il design possa comprendere entrambe», spiega Livia che ha avviato una collaborazione con la co-presidente di Chopard Caroline Scheufele per l’approvvigionamento di oro e gemme etici. Nel 2014 Chopard ha lanciato a Cannes una parure di diamanti provenienti dall’oro sostenibile di Fairmined, network di miniere che ricevono una certificazione di sostenibilità. Nel 2015 Marion Cotillard ha disegnato per loro gioielli d’oro proveniente da una comunità mineraria del Sud America. «Perché mai la creazione di sogni di lusso dovrebbe trasformarsi in un incubo per le persone che forniscono le materie prime?», ha detto l’attrice. Il cambiamento non è semplice. Talvolta bisogna convincere un’intera generazione di produttori che vale la pena di sposare la sostenibilità per accedere a un mercato redditizio e in crescita, come è avvenuto con le borse a zero deforestazione di Gucci. Si tratta di valorizzare la tradizione degli artigiani, e traghettarla nel nuovo. L’attenzione è puntata su quei brand del lusso che stanno mettendo insieme le tessere del puzzle. Sono loro i pionieri di quel famoso “punto di svolta" che stiamo attendendo impazienti.

MORE TO KNOW: Un magazine online: businessrespect.net. Un film: The True Cost, documovie di Andrew Morgan, prodotto da Lucy Siegle e Livia Firth. Tema: L’impatto dell’industria del fast fashion sul nostro pianeta.