E sì che era cominciata come una sfilata normale, con le modelle in passerella, un allestimento sobrio e una colonna sonora – una cover al femminile di Wicked Games di Chris Isaak – piuttosto piacevole. Perlomeno nei primi minuti, perché dopo alcune strofe sussurrate con voce infantile, la cantante era partita con una serie di ululati in crescendo che avevano trasformato il brano in una cacofonia intollerabile: per farla breve, stampa e compratori erano una massa sghignazzante e se quello show del 2000 è rimasto impresso a fuoco nelle menti degli intervenuti non è stato per i vestiti. Era stata quella musica dalla sgradevolezza cercata e voluta – per i posteri, si trattava di I'm a victim of this song, performance del '95 dell'artista Pipilotti Rist – a lasciare il segno.

Poco importa che quei ricordi nello specifico non siano propriamente piacevoli: quando si tratta di conquistarsi un posto nell'immaginario comune la priorità è coinvolgere tutti i sensi creando un'esperienza che colpisca nel profondo. Anche in un settore squisitamente estetico e visivo come la moda. Simili commistioni sono state la collezione Haute Couture del 2000 di VIKTOR&ROLF, composta di abiti ricoperti di campanelli il cui tintinnio fungeva da etereo soundtrack, o la scelta di REI KAWAKUBO nel 2012 di far sfilare le modelle, munite di zoccoli, su una passerella di legno in modo da creare un ritmo di percussioni destabilizzante (bonus musicale, il trillo dei cellulari del pubblico); pure la decisione di ALEXANDER MCQUEEN di chiudere nel 2009 il suo ultimo show Plato's Atlantis con un brano inedito di Lady Gaga, Bad Romance, anche se più scontata rientra nel discorso: persino in quel caso l'intreccio tra suoni, abiti, performance e tecnologia digitale - la sfilata fu trasmessa in streaming con la direzione creativa di Nick Knight - ha portato a un risultato più straordinario dei suoi singoli elementi e la canzone ha concorso a rendere lo show una pietra miliare del pop.

Nulla di nuovo, sia chiaro: se nella moda l'interesse per l'interazione tra abiti e sonorità è montato relativamente di recente, il mondo dell'arte è da sempre ben consapevole dell'importanza del suono per ogni forma d'espressione. Anzi, tale è la massa di idee, ramificazioni ed esplorazioni del concetto avvenute nel corso dei secoli che risulta virtualmente impossibile una loro analisi esaustiva. A tentare di mettere ordine nella faccenda ci ha provato una mostra del 2014, Art or Sound, organizzata dalla FONDAZIONE PRADA nella sede di Ca' Corner della Regina a Venezia con la supervisione di Germano Celant: perno dell'evento era l'analisi del rapporto tra arte e musica dal Rinascimento a oggi. Mica facile. Le opere in mostra andavano dai dipinti del '400 agli automi-gioiello a forma di volatili del XVIII secolo (che non possono non richiamare L'usignolo, la fiaba di Andersen in cui il suono di una creatura vivente batte quello perfetto ma impersonale della macchina), passando per le partiture degli anni 50 fino alle invenzioni come il piano optofonico del 1912 di Baranov-Rossiné, macchina sinestetica in cui, come definizione del termine vuole, a una percezione sensoriale corrisponde una sensazione di natura diversa.

È in questa convergenza che sta la questione, e se a chiudere il percorso espositivo erano gli strumenti/ installazione di ultima generazione, è forse altrove che la compenetrazione di generi sta più progredendo, con la moda che gioca un ruolo da protagonista, visto che a fare la parte del leone è il tessuto: dopotutto i fruscii e gli scrocchi di sete e taffettà sono parte integrante del loro fascino. Ci sono le stoffe musicali della texana Alyce Santoro con mix di poliestere e nastri di musicassette che possono essere “suonate” sfregandole con la testina di un mangianastri, i ricami religiosi russi sonori di Tatiana Krupinina, fino alle antenne da indossare basate sulla magnetoricezione (la capacità degli uccelli di orientarsi basandosi sui campi magnetici degli ostacoli) che l'olandese Dewi de Vreeelabora assieme alla costumista Patrizia Ruthensteiner. Con Magnetoceptia hanno costruito una serie di copricapi smisurati che non sfigurerebbero sulle passerelle più avanguardiste, ma che in realtà attraverso fili di rame, aste di bambù e ricettori riescono a captare le onde magnetiche degli ambienti in cui si trovano, trasformandoli in vibrazioni musicali sempre diverse: una sorta di concerto indossabile. Magari il risultato non è sempre melodioso, ma di sicuro è difficile da dimenticare.

Verità universale, visto che il suono è il senso che più fa presa, quello con l'impatto emotivo più viscerale. Il concetto lo spiega bene Felice Limosani, passato da deejay e presente da cantastorie (per i moderni, “storyteller”) contemporaneo, uno capace di mescolare video, performance, reale e virtuale per coinvolgere il pubblico nei suoi racconti. A lui basta un esempio per mettere a fuoco il nocciolo di tutto: quante volte capita di ripensare a una canzone o a un ritornello, senza riuscire a smettere? Con le immagini non accade, perché è l'udito quello che incide di più sull'inconscio: nascono da qui, e dalla necessità di trasmettere quante più sensazioni possibili allo stesso momento per rendere l'esperienza il più possibile coinvolgente, i suoi progetti. Come Fragments - Euphonic Soundscape, con cui lo scorso novembre ha letteralmente portato a MIAMI ART BASEL i rumori e i silenzi registrati nei laboratori svizzeri di Parmigiani Fleurier (marchio di alta orologeria), ritrasmettendoli via 4 altoparlanti a forma di tromba oscillanti in sincrono e 24 microfoni attivati dal movimento del pubblico.

Complicato? Forse, ma intanto chi vi ha assistito si è ritrovato in un universo lontano mille miglia da Ocean Drive. Il suono, riflette lui, è il collante per creare un legame tra chi “narra” e chi ascolta che prescinde da età, cultura e anche razionalità. Si crea un'esperienza unica: merce rara e preziosa al giorno d'oggi. E qui, tanto per chiudere il cerchio, si ritorna all'uso che la moda sta facendo della musica: in un'epoca in cui tutto è visibile a tutti attraverso i social media, in cui la condivisione indifferenziata di qualunque esperienza ha reso sempre più difficile riuscire a trovare una propria voce distinta dalle altre, è proprio il suono a dare a ciò che si vede corposità e sostanza altrimenti impossibili da ottenere. Grazie al suono si aggiunge un'ulteriore dimensione sperimentabile solo da chi vi assiste e perciò capace di rendere unici quei momenti. È questo elemento in più la chiave per essere ricordati nel terzo millennio. In altre parole, lo stile di oggi non va solo guardato, va ascoltato. Anche questa è modernità, no?