Il titolo della prossima mostra del MET, Manus x Machina. Fashion in an Age of Technology, evoca l'espressione latina “deus ex machina” che si usa metaforicamente per indicare qualcuno che, insperabilmente, risolve una situazione complicata, come accadeva nel teatro greco antico, quando una divinità che compariva sulla scena tramite un macchinario alla fine risolveva ingarbugliate vicende. Calato nella realtà della moda nell'era tecnologica contemporanea, il gioco linguistico si arricchisce: la manus che, al posto del deus, richiama tutto il valore che comunemente attribuiamo alla artigianalità e unicità di un artefatto, discende ex, cioè dalla macchina.

Ma come? Non erano in contrasto manualità e tecnologia? Non era sancita, soprattutto nell'ambito della produzione di moda, la separazione netta tra l'unicità dell'abito “fatto a mano”, collocato nella sfera della haute couture, e la serialità del prêt-à-porter, per non parlare del fast fashion, entrambi realizzati in modo meccanico e massificato, pur con le dovute differenze? La mostra intende sfatare questo stereotipo, in un certo senso “attraversandolo”: mette infatti a confronto indumenti e accessori di alta moda fatti a mano e i corrispondenti prodotti realizzati a macchina. Alterna le rappresentazioni dei tradizionali laboratori di cucito, maglieria, ricamo, confezione di orli, intrecci, pieghe, piumaggi e pellame, con quelle degli studi tecnologici in cui si utilizzano progetti computerizzati, ultrasuoni, neo-materiali per saldare invece che cucire, laser e naturalmente stampanti in 3D.

Le modalità per realizzare gli indumenti cambiano, ma gli effetti estetici e funzionali hanno molto in comune. Del resto, anche il sarto lavora su una macchina da cucire, che era originariamente a pedale, poi elettrica, poi elettronica e digitalizzata... L'opposizione tra “fatto a mano” e “fatto a macchina” è dunque fittizia. La natura stessa della mano è quella di estendere il corpo fino a toccare, sentire, lavorare, trasformare le cose. La mano è già in sé una “protesi” corporea, cioè etimologicamente qualcosa che si “pone avanti” e apprende le tecniche per compiere operazioni che, in un certo senso, la rendono la prima macchina che l'essere umano impara a far funzionare. Le macchine propriamente dette servono però a realizzare in maniera più veloce, potenziata e moltiplicata ciò che da sole le mani non possono. Ma aspirazione della macchina è in fondo sempre stata quella di imitare la mano, di simulare cioè funzioni del corpo umano; e quanto più sofisticata, perfetta è una tecnologia, tanto più ha l'ambizione di essere vicina al corpo. L'apporto diretto della mano umana e quello dell'innovazione tecnico-scientifica trovano piena consonanza nella produzione di moda.

Non è probabilmente un caso che alle origini della rivoluzione industriale, alla metà del XVIII secolo in Europa, vi sia stata proprio la produzione industriale tessile, che con i telai meccanici rese possibile la nascita della moda come forma di riproducibilità tecnica dell'indumento. Ancor prima della fotografia e poi del cinema, che, come dimostrò il filosofo tedesco Walter Benjamin, trasformarono l'opera d'arte perché ne permisero la riproduzione in serie e la avvicinarono alle masse, la moda rese così possibile l'esistenza stessa della modernità. E proprio la moda si pone oggi come un paradigma attraverso il quale intendere il rapporto tra arte e tecnica, tra natura e artificio.

A testimonianza della prospettiva filosofica e sociologica, oltre che estetica, che la moda offre nella nostra epoca, sono anche le mostre che quasi contemporaneamente a quella del MET riflettono sul rapporto tra moda e tecnologia: una, chiusa il 7/2 a Stoccolma, presso il Liljevalchs, intitolata Utopian Bodies: Fashion Looks Forward; e l'altra, Coded_ Couture, aperta a New York il 12/2 presso la PRATT MANHATTAN GALLERY, fino al 30/4, che girerà poi in altre città degli States.

La prima immaginava un mondo dove la tecnologia promuove la bellezza, la solidarietà e la sostenibilità della moda. Quella a NY, invece, si concentra su come la tecnologia possa fare dell'abito un'opera d'arte personalizzata sul singolo corpo. Queste prospettive sono lontane dai modelli estetici immaginati negli anni 80 di una tecnologia che produce corpi-cyborg in scenari metropolitani oscuri stile Blade Runner. E si distanziano anche dalla funzionalità delle tecnologie indossabili finalizzate alla comunicazione, dagli smartphone agli smartwatch.

Quello su cui molte intelligenze di moda oggi lavorano, mettendo all'opera le loro “mani tecnologiche”, ha a che vedere con due elementi: la complessità dei sensi e una nuova idea di unicità dell'indumento. In altre parole, il corpo torna ancora al centro della ricerca di moda. Torna perché l'innovazione produce l'idea che abiti e accessori si adattino al benessere individuale e si armonizzino ai sensi. La tecnologia e la moda fanno star bene in senso profondo ed etico. Pensiamo per esempio all'aspetto curativo o diagnostico di tessuti ipoallergenici o cicatrizzanti o in grado di calcolare pressione arteriosa, glicemia, battito cardiaco, rilascio di farmaci.

I nuovi materiali, le tecnologie informatiche e ingegneristiche, coniugate con arte, moda e design, si applicano inoltre anche alle protesi sostitutive di parti del corpo amputate. Ogni corpo è unico e la tecnologia permette oggi di esaltare tale unicità attraverso due strade possibili: quella, illusoria e narcisistica, che si può simbolizzare dai milioni di selfie, apparentemente unici ma in realtà uguali e standardizzati; e un'altra, che offre maggiori speranze e che la moda propone, di una nuova unicità dei nostri rivestimenti. Stampare in 3D il nostro abito o le nostre scarpe; farci tagliare un cappotto da un laser come nel laboratorio di una sarta; indossare un abito che invece degli strass riluce con led; decorarci con merletti di lattice; sembrare vintage con un abito in piume di silicone. Alcuni di questi esempi sono forse stranezze da passerella, altre sono realtà già ora sempre più praticabili nel quotidiano, a cominciare dall'uso crescente e personale delle stampanti.

Potranno i tecnopizzi sostituire quelli di Fiandra e Cantù degli antichi (e dei moderni) corredi delle spose? Potranno i led cancellare la preziosità di paillettes pazientemente cucite una per una? Certamente no. La tecnologia “rispetta” la manualità, perché non vi si oppone. Anzi, è interessante notare come molti progetti tecnologici di oggi tentino di imitare sia l'artigianato più classico sia elementi naturali, dai tessuti alle piume e alle pelli. Tecnologia e futuro non sono necessariamente sinonimi, come si dimostra proprio nella moda, che, per citare ancora Walter Benjamin, è «un balzo di tigre nel passato», in una memoria che non si perde.