Intervista a Christina Kruse e Kate Orne
Cambi di percorso, pregiudizi da sgretolare e un’anima tenace: Christina e Kate, rispettivamente modella e fotografa, hanno molto in comune. Inclusa la residenza nell’area più creativa d’America: Upstate New York.
Christina Kruse: girl in evolution. Vivo, testardo, duro e vulnerabile. come lei. Sono le caratteristiche del legno e del metallo amate da questa artista tedesca, ex top model, che è passata dalle copertine più celebri alla scultura («basta guardare le mie mani per intuire il cambio»). Oggi vive con il figlio August tra la Grande Mela e la casa-studio fotografata nel nostro servizio, a nord dello stato di New York.
Cosa ama del lavoro di Kate come fotografa?
È una donna molto sensibile, con un occhio d’aquila per le sfumature. I suoi scatti in bianco e nero sono grandi esempi di composizione e trovano sempre il modo di rivelare la bellezza del soggetto. Si riesce a fare apparire qualcosa semplice solo quando se ne è colta l’essenza. E Kate lo fa splendidamente.
Una top model che diventa artista, ha dovuto fare i conti con dei pregiudizi?
Chiunque abbia avuto una carriera di successo in un certo ambito viene guardato in maniera sospetta quando intraprende un percorso completamente diverso. Sono certa che alcuni avranno avuto dei dubbi. Ma è quasi più facile affrontare i pregiudizi degli altri che le battaglie di autocritica con me stessa.
Il cambio di carriera è stato difficile da gestire, anche come madre?
È stata dura arrendersi al fatto di aver scelto un percorso altrettanto rischioso che quello di modella. La frustrazione deriva dal gestire gli orari di scuola di mio figlio August e il lavoro nel mio studio, che è piuttosto distante.
Artisti e modelle hanno in comune la disciplina?
Aiuta, perché la strada è per entrambi lunga, solitaria e a tratti scoraggiante. E tutto dipende dal giudizio degli altri, che sia riguardo al tuo look o all’idea che vuoi trasmettere con la tua arte. In entrambi i casi, si ha molto poco potere su come si verrà recepiti.
Come è stato incontrare Louise Bourgeois?
Ho partecipato a una delle sue sessioni con artisti: si poteva portare il proprio lavoro per ricevere una sua opinione. Ho pianto davanti a una dozzina di sconosciuti perché non riuscivo a rispondere alle sue domande, che toccavano punti dolorosi relativi a quelle opere. Solo molti anni dopo le ho capite e ho iniziato a pormi le stesse problematiche.
August ha mai recensito una sua opera?
Critica la mia palette di grigi, neri e bianchi: vorrebbe più verde. Ma adora arrampicarsi sui pezzi più grandi.
Se il mondo finisse domani, cosa farebbe oggi?
Mi siederei con mio figlio e il nostro cane Theodore sulle rive del lago Minnewaska. A cinque anni August mi ha chiesto se nella prossima vita potevo ancora essere sua madre e ho risposto di sì. Glielo direi di nuovo.
Kate Orne: donna consapevole. Non lasciatevi scoraggiare da nessuno. Sarebbe un mantra perfetto per questa svedese dall’eclettico curriculum: prima modella e fashion editor, poi fotografa a tutto tondo e oggi direttore di Upstate Diary, una nuova rivista dedicata all’universo creativo dello stato di New York. Ovvero: tutto ciò che accade a nord della City, un territorio vasto che arriva fino al confine con il Canada e che da sempre seduce gli artisti (si legge da Colette, a Parigi, o su upstatediary.com).
Come ha conosciuto Christina?
Tanti anni fa dovevo ritrarla per una rivista di moda, ma alla fine non se ne fece nulla. Ho scoperto poi che era diventata un’artista e abitavamo vicine: l’ho fotografata e intervistata nel primo numero di Upstate Diary (insieme, tra gli altri, agli artisti Carrie Mae Weems e Olaf Breuning, ndr). Mi interessava raccontare l’esperienza dei molti creativi che, in fuga dalla città, vengono a vivere qui, nello stato di New York. Oggi io e Christina siamo buone amiche.
Cosa ama delle sue opere?
Sono moderne e contemporaneamente senza tempo. Ci pongono domande interessanti sulla struttura e sull’equilibrio, del mondo e di noi stessi.
Cosa vuole raccontare della regione dell’Upstate New York?
Il suo inesauribile panorama creativo, che da oltre un secolo attira qui artisti di ogni tipo. Da Georgia O’Keeffe a Vladimir Nabokov, che in parte ha scritto qui Lolita, fino ad Alfred Stieglitz e David Bowie. Il Marina Abramovic Institute si trova in zona, a Hudson. E, ovviamente, l’eredità del grande festival di Woodstock è ancora viva. Se non altro nei tanti negozi di vintage, come il Funkanova, tappa obbligata proprio a Woodstock.
Cosa hanno in comune gli artisti che hanno scelto quest’area?
Cercano il contatto con la natura, la tranquillità e la libertà di lavorare. In più, New York è diventata talmente costosa che potersi permettere un grande spazio o uno studio non è da tutti.
Come Christina, anche lei ha cambiato carriera almeno due volte, prima da fashion editor a fotografa e ora a direttore di una rivista. Preconcetti da affrontare?
Nel primo caso mi chiedevano spesso se non avessi paura a tentare il salto nella fotografia a 34 anni e se temessi la competizione con tutti i fotografi uomini. Ma sono cresciuta in Svezia, un ambiente estremamente egualitario, e non percepivo questa presunta dominanza maschile. Quando ho iniziato con Upstate Diary, invece, ho ricevuto solo sostegno.
Come conciliava i suoi fotoreportage in Pakistan con la vita nel dorato “Fashion Circus”?
Banalmente il lavoro nella moda è servito a sostenere viaggi e spese per indagare e raccontare il mondo sommerso e doloroso della prostituzione in Pakistan. Non sento una vera rottura tra queste due anime della fotografia, perché a livello personale considero la mia vita un unico percorso di apprendimento sulla condizione umana.
Servizio di Ivana Spernicelli foto Kate Orne
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