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Valeria Golino: multipla bellezza

La nostra intervista a Valeria Golino: abbiamo parlato del suo film “Miele“ e della nuova pellicola a cui sta lavorando

Di Antonio Mancinelli
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Getty Images

Seduttiva. Malinconica. Intellettuale. Spontanea. Solare. Pensierosa. Estroversa. Introversa. Empatica. Antipatica. Carismatica. Se chiedi in giro: «Com’è la Golino?», riceverai in cambio una notevole quantità di apposizioni diverse, perfino opposte. Mentre chiacchieriamo, a Roma, con i suoi occhi da husky inchiodati nei miei, penso che se giocassimo al “se fosse” alla voce “cosa”, potrebbe essere una mirrorball, quelle sfere di specchietti appese ai soffitti nelle discoteche. A ognuno lei regala un riflesso di sé, una piccola luce, frammentandosi nella mente dei suoi interlocutori, uno per uno. Non di una, ma di tante Valerie, dunque, si deve parlare. Lei applica la creatività della moltiplicazione di sé in tutto quello che fa. C’è la regista che dopo Miele, film apprezzatissimo, ora si prepara a scriverne e a dirigerne un secondo (titolo provvisorio: Euforia, anzi Euphoria, in inglese, «anche se non sarà un film allegro»). C’è l’attrice multipremiata, che ha ricevuto due David di Donatello, quattro Nastri d’argento, tre Globi d’oro, tre Ciak d’oro e due volte la Coppa Volpi come migliore attrice protagonista alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia: la prima agli esordi, nel 1986, con Storia d’amore di Francesco Maselli, la seconda l’anno scorso, con Per amor vostro di Giuseppe Gaudino. C’è la Valeria esportabile, la diva che va in America ed è contesa dal Gotha di Hollywood («lì ti considerano per quello che sei. Non ho mai voluto sbandierare questa mia esperienza ai quattro venti. Negli Usa se ne fottono totalmente di quello che hai fatto: l’Italia non è un mercato cinematografico che ti possa sostenere, con una forza economica come quella del cinema francese o spagnolo, sono stata quasi incidentale. Ma è andata benissimo») che ha recitato in Rain Man, Hot Shots! e partecipato alle clip di band mitiche come i R.E.M. C’è la musa di registi giovani e sperimentali, dei sussiegosi critici d’Oltralpe che le dedicano rassegne e retrospettive (ora la vedremo con Margherita Buy ne La vita possibile, di Ivano De Matteo). E poi c’è la donna la cui vita sentimentale è stata scandagliata in lungo e in largo, la fidanzata di uomini belli e famosi, l’amica che s’interessa a te mentre la intervisti e ti presta attenzione, chiede consigli, dispensa perle di saggezza, scambia esperienze. E nelle sue relazioni professionali e private ha bandito una sola parola: “cautela”.

Sono passati due anni da Miele, che ha avuto un grandissimo successo. Come li ha passati? Con la paura della pagina bianca o con la tranquillità di chi ha visto che è già stata promossa al primo esame?
Sono stati anni complessi, tormentati. Segnati da domande tipo: «Allora, lo stai scrivendo il prossimo film? Di che tratterà?». Li ho trascorsi con quell’ansia che ti viene come quando ti chiedono «quando farai un figlio?», «quando ti sposerai?». Certo, dipende dal valore che dai a quegli interrogativi, ma devi fare i conti con il tuo modo di viverti le aspettative degli altri. Comunque, non è che non abbia fatto nulla. L’anno scorso ero così totalmente “gaudinizzata” da Per amor vostro, che non avevo tempo di pensare ad altro. Anzi, no: ci pensavo. E mi dicevo «sei proprio sicura di volerlo fare, questo film?».

Adesso è sicura?
Sì. Il punto è che, se in Miele ero partita da una base, il libro Vi perdono di Mauro Covacich - anche se poi la trama ha preso una piega del tutto diversa - per Euphoria sono partita da mie note, certe illuminazioni, alcuni personaggi che mi venivano incontro. E io prendevo appunti, connettevo situazioni diverse per vedere se potevano dialogare tra loro e formare una storia, che alla fine ha assunto una dimensione precisa…

Ovvero?
La contrapposizione tra due fratelli: uno gay, di successo, cinico, eccessivo, irritante: un Paperinik che non è dark, ma autodistruttivo, sofferente, inquieto. Ne ho conosciute tante, di persone così, divise tra ambizione e autolesionismo. L’altro è più tranquillo, forse più anonimo, provinciale, “perbene”: vive in una serena, opaca quotidianità. Non s’incontrano da anni, ma un evento li costringerà a convivere e a confrontarsi, ciascuno con il suo carico di esperienze, e delusioni. Dentro, ci sono le mie solite ossessioni: la morte, la malattia, l’abbandono, il distacco, ma anche l’amore che tiene unite due persone differenti. Vorrei che in superficie fosse festoso, mi piacerebbe sottolineare la “normalità” e non l’“anormalità” di questo rapporto. Ma non sarà una commedia di costume, anche se la storia si presterebbe a una commedia di costume. Vedremo come si svilupperà quando definiremo la sceneggiatura… Diciamo che sto facendo una cosa andandole contro, in un certo senso.

Ecco: anche questa volta, ad affiancarla ci saranno due autrici, Francesca Marciano e Valia Santella, come in Miele… Quando la creatività è condivisa, ci si sente più protetti o più limitati?
Per me, lavorare con loro è uno dei motivi per cui girare questo film.

Nessuna competizione?
No, o almeno, non per adesso… Non è mai detto che le cose non cambino, la vita e le relazioni sono talmente fluide. Nei rapporti, sia creativi, sia sentimentali, sia d’amicizia le cose cambiano. Cambiano i momenti, gli stati d’animo, ci si squilibra e si riequilibra insieme… L’importante è che l’ego di ognuna di noi non cerchi di sovrastare l’altro.

C’è molta curiosità rispetto all’opinione delle altre, ci si vuole molto bene. Ho letto una sua frase molto bella: «Sono stata spinta dalla mia ansia di molteplicità»…
Oh sì. E più invecchi, più cresci, più la soddisfi, quest’ansia. Da giovane non riesci a posizionarla in una giusta cornice, la trasformi nella smania di fare viaggi, cambiare vestiti, conoscere di continuo gente nuova, essere cattiva con una persona e buona con un’altra. Più vai avanti negli anni, più le dai forma. Per esempio fare la regista e l’attrice mi regala due punti di vista, quelli di guardare ed essere guardata. Recitare mi rende possibile essere persone “altre” da me. Non penso di aver mai voluto trovare un’autentica rappresentazione di me stessa: a seconda dei momenti della vita in cui alcune persone mi hanno incontrato, hanno trovato una Valeria diversa, una “diavola sterminatrice” o un “angelo celestiale”. Non capita anche a lei? Ovvio che poi si cerchi di non causare dolori, di non infastidire gli amici, i fidanzati, i colleghi… Non ho mai voluto riversare sugli altri le mie angosce, se non sulle persone più intime. Ma sono sempre stata me stessa. Sempre. Nella mia molteplicità.

Mai fatto psicoanalisi?
No, però mi secca dire (fa il birignao da attrice snob) «la mia terapia è il mio lavoro». Comunque è proprio così. Ma non mi prenda per una snob che se la tira, eh? Io sono davvero affascinatissima dalle oscillazioni dell’animo. Lei è mai andato in analisi?

Di chi si fida, quando lavora come attrice?
Voglio fidarmi del regista: è bellissimo, deresponsabilizzante, piacevole. Puoi anche assumerti dei rischi. Quando non ti fidi, devi ricorrere a quella “cautela” che a me non piace proprio.

È mai successo?
Certamente. E mica è stato bello. La diplomazia non è il mio forte…

Di chi si fida, quando lavora come regista?
Del mio produttore, dei miei attori, del direttore della fotografia, del montatore: sono i coautori del film.

E di se stessa, si fida sempre?
Molto di più di quello che sembra (ride).

E dei suoi fidanzati?
Sempre meno.

Quanta e quale creatività ci mette, in amore?
Sembra strano, trovare la creatività in un rapporto d’amore. Eppure serve: significa rilanciare, inventare sempre nuovi giochi con l’altro. Il problema è che non si può giocare da soli. Alla fine, le relazioni amorose si fermano proprio quando uno dei due decide di smettere di giocare, perché ha la testa da un’altra parte, è interessato ad altro o crede di sapere proprio tutto di te…

Ma in amore non bisognerebbe sapere tutto dell’altro?
Certo, si anela a una comunione totale con il corpo e l’anima dell’altro… Però nell’eros, per esempio, mi piace che ci sia sempre un lato non conosciuto, come se ti affidassi a qualcuno che può, volendo, metterti in pericolo. Lo diceva Karl Kraus: «Non si vuol essere protetti se non da chi allo stesso tempo è un pericolo». Risuona in me il concetto che una persona che potrebbe danneggiarti, sia proprio quella che ti accoglie meglio.

È stata accolta benissimo all’estero…
Sì, e lo ripeto: con le mie forze. E mi fa piacere che ci siano altre colleghe - Monica Bellucci, Alba Rohrwacher - che lavorano in produzioni internazionali soltanto contando sulle proprie capacità.

Sean Penn si è speso in grandi lodi su ciò che fa…
Be’, anch’io spendo molte lodi su di lui… (ride). Sono più presuntuosa di quello che si può pensare. Come sono molto meno approssimativa di quello che do a vedere…

Ecco: il suo film non aveva una sbavatura. Tutto perfetto, le ambientazioni, i movimenti degli attori, le riprese…
Quando dirigi, anche se sei circondato da talenti eccezionali - e a me è successo -, ti trasformi in un grande punto interrogativo. Tutti, dagli attori alla costumista, dal tecnico delle luci allo scenografo, vengono a chiederti: «Va bene o va male?», «ti piace o no?», «è giusto o sbagliato?» e devi prendere una decisione immediata. Questo ti regala un certo senso di onnipotenza, sicuro, ma anche un forte carico di responsabilità.

Mai avuto paura di non farcela?
Mi piacerebbe tantissimo dire di no… Invece sì, talvolta avverto un senso di inadeguatezza che non mi dà pace. Di recente, ho rivisto Storia d’amore: be’, ero così bella, così intensa, che se ripenso a quando l’ho girato, mi viene in mente che io credevo di “bluffare” interpretando una bella, una intensa. Una certa paura non ti lascia mai: è il corpo che invecchia, ma la mente, gli impulsi rimangono gli stessi. Magari, con l’età, acquisti una nuova eloquenza, uno humour che prima non avevi. Il punto è che dentro non si cambia. Per fortuna ho uno sguardo molto oggettivo su di me: quando mi guardo sullo schermo, ho la lucidità di riconoscermi una certa bravura o meno. È capitato di ammirarmi, come di dirmi «potevi farlo meglio!».

Ritornando al titolo del libro Vi perdono da cui ha avuto origine Miele, lei chi ha perdonato?
Mi viene in mente il biglietto di congedo dal mondo di Cesare Pavese quando, suicida, scrisse: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono». Mi commuove moltissimo. Allora: perdono nel profondo quasi subito dopo aver ricevuto una ferita, ma non in modo visibile. È accaduto che mi sia allontanata da persone che mi avevano fatto male - anche solo con una frase - pur avendoli intimamente perdonati.

Da chi vorrebbe farsi perdonare?
Da quasi tutti. Da coloro che si sono occupati di me e di cui non ho avuto abbastanza cura. Le colpe peggiori sono le omissioni: non aver commesso certe cose che potevo commettere. “Les actes manqués”, dicono i francesi. Scusi, ma a lei non capita la stessa cosa? A chi sente di dover chiedere perdono?

Servizio esclusivo di Ivana Spernicelli per il numero di marzo 2016 di MClikes. Ha collaborato Nadia Bonalumi. Trucco Mirian Langellotti per Greenapple using YSL Beauté. Capelli Nicholas James per Piero Bastiani using L'Oréal Professionnel.

Fotografo: Stefano Galuzzi

Si ringraziano per Cinecittà Studios, Giuseppe Basso (ad) Désirée Colapietro Petrini (ufficio stampa) e Francesco Rotondo (sales manager). Si ringrazia inoltre Panalight.

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Valeria Golino in sahariana oversize in lino camouflage e mini abito con paillettes, SAINT LAURENT BY HEDI SLIMANE; jeans 501, LEVI’S. Scarpe in suède con fibbie, ROBERTO CAVALLI. (foto: Stefano Galuzzi)

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Blouson in nappa con dettagli di shearling e maniche staccabili, body in cotone maculato, BOTTEGA VENETA; jeans LEVI’S. Basco vintage. (foto: Stefano Galuzzi)

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Valeria Golino, multipla bellezza (foto: Stefano Galuzzi)

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Valeria Golino con un blouson in pelle, MIU MIU. (foto: Stefano Galuzzi)

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In questa foto di Stefano Galuzzi Valeria Golino indossa una giacca multitasche in cotone con spilla-fiore smaltata e pantaloni in seta, VERSACE. Occhiali GUCCI; orologio “Boy. Friend” in oro con cinturino di cocco, CHANEL HORLOGERIE.

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Sahariana in gabardine di cotone stampa tie-dye con ricami di perline multicolore, VALENTINO. Cintura in pelle con fibbia-logo e occhiali, GUCCI. (foto: Stefano Galuzzi)

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Valeria Golino con lungo spolverino in lino grezzo con coulisse di pelle, TRUSSARDI. Orologio CHANEL HORLOGERIE. (foto: Stefano Galuzzi)

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Kimono in seta con profili ricamati, ETRO; camicia vintage; jeans LEVI’S. Valeria Golino fotografata da Stefano Galuzzi

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Bomber in tessuto tecnico con maniche a palloncino, GIVENCHY BY RICCARDO TISCI. Camicia e cravatta vintage. Orologio CHANEL HORLOGERIE. Occhiali GUCCI. (foto: Stefano Galuzzi)

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Parka oversize in gabardine di cotone e scarpe, ROBERTO CAVALLI, per Valeria Golino; canottiera MICHAEL KORS COLLECTION; pantaloni e cintura vintage. (foto: Stefano Galuzzi)

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Valeria Golino in blazer in suède con profili a contrasto e camicia in shantung di seta, PRADA; pantaloni militari vintage. Occhiali e mocassini in pelle con logo di metallo, GUCCI. (foto: Stefano Galuzzi)

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Blazer in canvas di cotone e lino con dettagli di ecopelle, EMPORIO ARMANI. Occhiali GUCCI. Pantaloni, cintura e basco vintage. (foto: Stefano Galuzzi)

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Valeria Golino – Trench in tessuto “GG Supreme” stampa floreale con dettagli e cintura di suède e occhiali in metallo, GUCCI; canottiera in viscosa a coste, MICHAEL KORS COLLECTION. (foto: Stefano Galuzzi)

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