Definizione di borsa, accessorio capace di andare in sold out in un paio di minuti, e scatenare accesi dibattiti, guarda caso, sull'appropriazione culturale e sulla bontà del fenomeno del reselling? Succede, se sono le borse di Telfar Clemens. Lo strano caso è di qualche giorno fa, anche se la fascinazione per il brand fondato da Telfar Clemens quasi 15 anni fa (ospite di Pitti Uomo 97 nell'area Special Project e nuovo wunderkind amato dall'arte contemporanea) è cosa nota da un po' negli ambienti modaioli. Classe 1985, liberiano e americano, nero e dichiaratamente gay, vive nel Queens, e dopo il diploma, semplicemente, rifiuta l'idea di una scuola dove formarsi all'arte del prêt-à-porter ("forse odio la moda" ripete diverse volte in molteplici interviste) e inizia a vivere. Attività da dj, amicizie con quelli che poi diverranno gli alfieri della second wave dello streetwear, come Shayne Oliver di Hood by air, forse proprio perché in un rapporto conflittuale con la moda, la rivoluziona – o almeno, rivisita i canoni del classico stile wasp americano. Genderless, prima che questa parola divenga di uso comune, mette le tasche nelle maniche delle t-shirt, sulle polo il colletto è al contrario, i top per lui e per lei sono monospalla. Ad accompagnarlo come partner nel brand e direttore di tutte le operazioni è l'amico Babak Radboy, altro talento multiforme nato nel mondo dello streetwear e che poi ha ricoperto cariche di creative director per Kanye West, Hugo Boss e Fatima Al Qadiri e ha diretto Bidoun Magazine, che per 15 numeri ha seguito la scena culturale del Medio Oriente.

new york, ny   february 10  designer telfar clemens at the end of the show salutes the crowdat the telfar presentation during february 2017 new york fashion week at skylight clarkson sq on february 10, 2017 in new york city  photo by gonzalo marroquinpatrick mcmullan via getty imagespinterest
Gonzalo Marroquin//Getty Images
Telfar Clemens alla Fashion week di New York, a febbraio 2017

Poche sfilate – anche perché gli show costano moltissimo – molte presentazioni in formati diversi, e molteplici collaborazioni con l'arte contemporanea, dal vestito che crea per Solange in occasione di una performance della cantante al Guggenheim di New York a progetti con la Biennale di Berlino e la Serpentine Gallery di Londra. Quando nel 2017 vince il CFDA/Vogue Fashion Fund (400 mila dollari da investire nel marchio) riesce ad assumere a tempo pieno un team che lo aiuti a strutturare un brand a cui il New York Times dedica un articolo dal titolo "A lot of fashion insiders say Telfar is the brand to know", anche se Telfar è presente sulla scena da più di 10 anni, ma nessuno sembra essersene accorto, forse perché, come ha detto Babak Radboy in un'intervista del 2014 a Dazed «Telfar è così nuovo che continua a sembrare uno stilista emergente». Se fino a qui il suo percorso sembra simile a quello dell'altro creativo americano di colore, partito dallo streetwear e oggi divenuto il suo nume tutelare (il direttore creativo del menswear di Louis Vuitton, Virgil Abloh) la differenza, sostanziale, è nell'intenzione di iper-democraticizzazione del mercato. Laddove Abloh è sempre stato abilissimo product designer (e mai stilista, per sua stessa ammissione) capace di intravedere nei desideri dei clienti, e creare prodotti che vi rispondessero, con prezzi tutt'altro che raggiungibili, lo slogan di Telfar Clemens, visibile quando si arriva sul suo sito è di tutt'altro tenore: "It's not for you. It's for everyone". E alla portata di tutti sono proprio i prezzi delle sue borse, grazie alle quali il business decolla: realizzate totalmente in eco-pelle, le tote bag con manici e tracolla sono disponibili in 3 taglie diverse, con un prezzo base di 150 euro. Disponibili anche in Italia ( a Milano sono da Slam Jam) sono divenute vessillo anche di tutta la comunità black e queer statunitense, tanto da essere ribattezzate come "Bushwick Birkin", la Birkin di chi viene da Bushwick, quartiere a nord di Brooklyn, sinonimo con la sua street art, della comunità black. Così il business è passato dai 102 mila euro dichiarati nel 2016, ai più di 2 milioni di entrate sancite nel 2019.

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E qui si ritorna al dibattito degli esordi: se il finanziamento ottenuto dal CFDA/ Vogue Fashion Fund – e proprio il CFDA lo ha appena inserito nella rosa dei suoi award, come designer di accessori dell'anno – ha permesso al marchio di produrre un maggiore quantitativo di borse, ormai divenute sinonimo della rivendicazione radical-e della creatività della comunità black, quello che succede ogni volta che Telfar immette nel suo e-shop gli oggetti del desiderio, è il sistematico sold out. Nell'ultimo di questi drop mensili, avvenuto solo il 23 luglio, i prodotti sono scomparsi in una manciata di minuti. La manus longa responsabile del ratto, secondo i furenti e potenziali clienti, è dei gruppi di reselling – quelli che nel mercato delle sneakers comprano le scarpe appena uscite sul mercato, più o meno in accordo con i brand, che gli consentono delle preview in anticipo sugli altri per poi rivenderle sui siti come Grailed o Hypernova a prezzi ben più alti –che tramite dei bot hanno operato acquisti folli di tutto il campionario presente in store. E così sono partite critiche, furenti discussioni su Twitter, indirizzate proprio all'Hypernova Group, identificato come principale responsabile. L'idea che un gruppo guidato da uomini etero – e per la maggior parte bianchi – possa trarre un profitto e un margine dalla vendita di un prodotto il cui prezzo iniziale è un atto di democrazia radicale nei confronti dei suoi utenti finali – per la maggior parte la comunità black, ma non solo –ha ovviamente riacceso le fornaci dell'indignazione, sull'onda delle proteste di Black lives matter. Il brand si è subito impegnato nell'investigare sulla faccenda, mettendo in chiaro che l'idea stessa del reselling è contro la sua etica, consigliando ai suoi clienti di non cedere alla tentazione di comprarle tramite il resell, ma attendendo con fiducia la prossima vendita online.

«Abbiamo migliorato i nostri controlli di sicurezza proprio poco prima dell'ultimo lancio» hanno spiegato a Dazed i rappresentanti del marchio. «Telfar è pensato per le persone, non per i bot. Non stiamo provando volontariamente a creare una finta scarsità del prodotto, per poterne alzare i prezzi. Abbiamo semplicemente un numero folle di richieste». E in effetti, dopo un'inchiesta interna, i responsabili hanno fatto sapere che il sito è andato in crash per l'eccesso di domanda e che, con o senza reseller, rispetto ai quali sono dichiaratamente contro, le borse sarebbero finite comunque molto velocemente». Da Hypernova scrollano le spalle, liberandosi di qualunque senso di colpa, come hanno scritto su Twitter. «Ci sono metodi peggiori e illegali per guadagnare. Siamo brave persone, che non hanno creato questa fascia di mercato. Abbiamo solo visto l'opportunità». L'unica arma che hanno gli appassionati di Telfar? Non comprare dai reseller, e aspettare il prossimo lancio. L'opportunità di acquistare un prodotto così identificativo di un'intera comunità, a un prezzo equo, è merce rarissima. E non la vendono di certo i reseller.